Centosette anni dopo, il relitto dell’Endurance è stato ritrovato in Antartide, a quasi tremila metri di profondità nel mare di Weddell.
La storia
Era l’autunno del 1915 quando l’Endurance – la nave dell’esploratore polare Ernest Shackleton – naufragò al largo delle coste dell’Antartide. Le ventotto persone che formavano l’equipaggio si accamparono sul mare ghiacciato, esposte al gelo e all’incertezza della salvezza. Furono tratte tutte in salvo, ma non si riuscì a liberare la nave dai ghiacci: la morsa della natura era troppo stretta. Nei giorni che precedettero il suo affondamento, non riuscirono a stabilire la posizione esatta della nave, che rimase un mistero fino allo scorso 11 marzo.
L’Endurance aveva lasciato le coste della Georgia del sud il cinque dicembre 1914, mentre il mondo veniva sconvolto dalla Prima Guerra Mondiale. L’equipaggio, scelto con attenzione da Shackleton, si trovava in prima linea, proprio come i soldati al fronte. Il nemico era, però, diverso: il mare di Weddller, definito dall’esploratore come “il mare peggiore del mondo“. Da una parte, infatti, era costellato di iceberg. Dall’altra, i venti burrascosi non facevano sconti a niente e nessuno. Dal ponte, l’equipaggio poteva vedere la nave piegarsi.
Shackleton: un capitano coraggioso
L’obiettivo di Shackleton era compiere una spedizione imperiale transatlantica, finanziata dal governo britannico. L’Endurance doveva essere solo un mezzo per portare a termine il progetto ambizioso: l’attraversamento a piedi e in slitta del continente antartico.
Il capitano lasciò l’equipaggio sull’isola Elephant in attesa dei soccorsi mentre con altre cinque persone percorse ben 1.500 km per cercare aiuto. Si dice che quando riuscirono a raggiungere la stazione balneare in Georgia del Sud, Shackleton era così magro e trasandato da essere irriconoscibile. Shackleton non abbandona il suo equipaggio, lotta con esso per sopravvivere, riuscendoci. La nave affonda a poco a poco, dieci mesi dopo essere stata bloccata nei ghiacci.
Il ritrovamento
Un team di ricercatori ha guidato la spedizione Endurance 22 e il 5 marzo vengono trasmesse le prime immagini della nave, grazie a un veicolo sottomarino. Il gruppo capisce immediatamente che si tratta dell’Endurance e non di un altro relitto perché sulla poppa erano visibili delle lettere in bronzo che formavano la scritta Endurance.
Centosette anni dopo, l’imbarcazione di Shackleton torna a casa, riemerge dall’acqua che l’aveva nascosta per un secolo. E con essa riemerge anche la storia del naufragio, si torna a parlarne sui giornali e in televisione. Una storia che conquista e toglie il fiato, quella di un esploratore ambizioso la cui nave si incaglia nel ghiaccio per affondare senza lasciare traccia.
Il viaggio di Shackleton e il mistero che avvolgeva la nave sono stati oggetto di film (Endurance, 2000) e libri (Endurance. L’incredibile viaggio di Shackleton al polo sud, Alfred Lansing). Il prossimo autunno sarà disponibile su Disney+ un documentario targato National Geographic, realizzato in collaborazione con History Hit, Little Dot Studios e Consequential. Cento anni dopo, la vicenda dell’Endurance è più attuale che mai e torna a occupare articoli e schermi.
Naufragi moderni
Pensando ai naufragi, ai più moderni, la mente corre inevitabilmente a quel 13 gennaio 2012, quando la Costa Concordia urta uno degli scogli delle Scole, in Toscana, nei pressi dell’Isola del Giglio. La nave comincia a riempirsi di acqua, il comandante Schettino avverte la Capitaneria di Porto di Livorno, ha inizio un complesso e intricato succedersi di eventi raccontati con professionalità da Pablo Trincia nel libro e podcast Il dito di Dio. Schettino lascia l’equipaggio, nessuna camminata nella neve come Shackleton: sono cambiati i tempi, i capitani non sono più coraggiosi.
I primi soccorsi vengono forniti dagli abitanti dell’isola, che mettono a disposizione alcune barche per giungere nei pressi della nave e recuperare le persone che abbandonano l’imbarcazione ormai pericolosamente inclinata su un lato. Sulla piccola isola si è creata in breve una vera e propria emergenza sanitaria, in quanto scarseggiano i medicinali per le cure e l’assistenza dei numerosi naufraghi. Nei giorni successivi cominciano i lavori per il recupero dei corpi dei passeggeri rimasti senza vita, lavori destinati a interrompersi tra gennaio e febbraio del 2012, a causa delle condizioni metereologiche avverse. Alcuni di questi saranno trovati solo un anno più tardi, quando la nave era già un relitto.
Schettino sarà condannato a sedici anni di prigione per omicidio plurimo colposo. I giudici della Cassazione definirono la sua condotta “negligente”: abbandonò la nave senza prima assicurare la vita dei viaggiatori e del personale di bordo. Dopo quasi cinque anni dal suo ingresso a Rebibbia, dieci dal naufragio della Concordia, il comandante potrebbe tornare in libertà prima del previsto, beneficiando di misure alternative alla detenzione.
Relitti del Mediterraneo
Nel Mediterraneo, i naufragi sono all’ordine del giorno. Tra la pandemia e la guerra non ne abbiamo sentito parlare per un bel po’, eppure continuano ad avere luogo. I barconi sovraffollati continuano a ribaltarsi, affondare, soccombere e con loro i tanti che cercavano salvezza al di là del mare. L’acqua li inghiottisce, non ha pietà per nessuno.
Lo scorso 3 aprile un centinaio di migranti partiti dalle coste libiche vede il proprio European Dream dissolversi. Sopravvivono solo in quattro, salvati dalla petroliera Alegria 1. Era da giorni che si trovavano in mare, poi il naufragio in acque internazionali. Vengono riportati in Libia, nonostante l’appello di Medici Senza Frontiere parlasse chiaro: avrebbero subito detenzioni, abusi e maltrattamenti, serviva un luogo sicuro. “Un altro naufragio nel Mediterraneo centrale, ancora una volta di dimensioni catastrofiche. Sono solo 4 i superstiti di una barca con circa 100 persone a bordo partito giorni fa dalla Libia. Enorme dolore, enorme rabbia”, ha twittato l’ong Sea Watch.
Sono 1.581 le persone che hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale, un centinaio nei primi mesi del 2022: un’emergenza dentro l’emergenza.