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Era digitale e memoria culturale, abolire i supporti fisici è pericoloso?

La nostra vita quotidiana è ormai plasmata dalle tecnologie digitali. È diventato inevitabile incontrarle in tutti i contesti. Nel mondo della cultura, soprattutto, il digitale ha cambiato profondamente la nostra esperienza, non solo in termini di accesso, produzione e diffusione, ma anche in termini di fruizione e creazione, apprendimento e partecipazione a una società della conoscenza.

Con l’arrivo del Covid-19, ormai quasi più di due anni fa, questi sviluppi tecnologici sono diventati una nuova risorsa, soprattutto in seguito alla chiusura delle istituzioni del patrimonio culturale (i musei ad esempio), per reinventare l’interazione con un pubblico composto da utenti costretti a rimanere a casa. In questo modo i beni tangibili e le esperienze localizzate hanno acquistato un’ulteriore dimensione che va oltre la tradizionale concezione materiale.

Tuttavia, questo stesso impulso porta con sé molte domande senza risposta. La digitalizzazione esponenziale di contenuti, risorse e presentazioni, così come la creazione di arte digitale, in tutte le sue forme, ha sollevato preoccupazioni sulla definizione, la conservazione e la trasmissione di questo patrimonio. Se da una parte la tentazione e la possibilità di dar vita a realtà nuove, all’alba del Metaverso, non è una novità, dall’altra in un futuro non troppo lontano la digitalizzazione di libri, musica, arte, film, a discapito dei supporti fisici come traccia delle azioni umani, potrebbe facilitare certe operazione di reset culturale.

Il patrimonio culturale nell’era digitale 

La conservazione del materiale culturale è di fatto una parte intrinseca del nostro bisogno di raccogliere, organizzare e mostrare cultura, come società. Si tratta di un complesso processo intellettuale e fisico che solleva molte sfide etiche, tecniche e filosofiche, ma attraverso le quali otteniamo una migliore comprensione del mondo com’era, come è e, in una certa misura, come sarà.

La digitalizzazione si presenta così come un potente anello di congiunzione tra la conservazione e la trasmissione del sapere. Nelle mostre e nell’ambito educativo, per esempio, le pratiche tradizionali del mondo analogico incontrano sempre più spesso il digitale. In questo modo, le opere tangibili convertite da scienziati, artisti, istituzioni e altri attori diventano intangibili e rimangono tangibili allo stesso tempo. Le variazioni risultanti consentono di lavorare sulla forma digitale senza arrecare alcun danno all’originale. È possibile così passare avanti e indietro tra vecchio e nuovo, nuovo e vecchio.

Oltre a tali pratiche artistiche, le testimonianze e le pratiche digitali acquistano importanza anche per le più tradizionali istituzioni della memoria. Alle domande “Qual è il futuro delle biblioteche e della cultura contenuta in esse? La chiusura delle sedi fisiche e il trasferimento in un nuovo contesto digitale? Oppure la perpetuazione dell’accumulo di manufatti?” una risposta ibrida ce la dà la Library of Congress, la biblioteca del Congresso di Washington, che con circa 32 milioni di libri catalogati in 470 lingue e oltre 61 milioni di manoscritti, dai volumi dello statista americano Thomas Jefferson fino al materiale contemporaneo, dal 2010 archivia anche una selezione di tweet realizzati da cittadini americani e da istituzioni pubbliche. Un archivio che ha tutte le caratteristiche per essere uno dei lasciti più importanti alle generazioni future.

Lo spazio della memoria nella cultura

La memoria nelle sue forme sociali, collettive e culturali e nel suo significato per l’identità della società è stata lungamente studiata e documentata. Dall’ampia letteratura emerge che la cultura è intrinsecamente connessa alla memoria. Come osserva Astrid Erll, professoressa di letteratura all’università di Francoforte, la tecnologia dei media è in continua evoluzione e i suoi effetti includono nuove possibilità di archiviazione e allo stesso tempo di costruzione della memoria collettiva.

La scelta del tipo di media per salvaguardare la memoria culturale digitale è perciò legata al compromesso. Trovare il giusto equilibrio tra un potenziale flusso infinito di informazioni e la perdita di contenuti digitali è un problema ancora aperto. Il continuo pericolo di questa “perdita”, per errore o per uno scopo ben preciso, è più reale e determinante di quanto alcuni potrebbero aspettarsi.

Sebbene sia la memorizzazione che la perdita di tutti i dati siano due scenari abbastanza improbabili, rimane necessario realizzare un trasferimento consapevole dalla memoria di archiviazione a quella funzionale al fine di rendere accessibile e mantenere la struttura di una memoria culturale digitale in espansione.

Sono ancora possibili le diverse culture nell’era digitale?

In questo contesto, gli studiosi sottolineano il ruolo dell’essere umano nel contribuire attivamente al processo di archiviazione e, più a fondo, alla produzione di significato attraverso l’utilizzo di strumenti a propria disposizione, digitali o cartacei.

Nel corso dei secoli il sapere umano è stato diffusamente affidato a supporti materiali, in particolare alla carta. Negli ultimi decenni, però, come constatato, la produzione stampata è calata in favore della diffusione di contenuti in digitale, e così la permanenza della cultura, di cui i principali strumenti di divulgazione della nostra epoca si fanno promulgatori, dipende ora tutta da Internet. Ma cosa accadrebbe se tutto o parte del contenuto di internet venisse cancellato? Nelle varie epoche di fatto non raramente sono state eliminate le tracce di migliaia di popoli e di culture diverse, con le motivazioni più disparate.

Internet dà l’illusione di essere un contenitore inesauribile, ma è, in realtà, non meno fragile dei supporti fisici. La possibilità universale di produrre qualsiasi tipo di contenuto, provoca una sovrapproduzione di contenuti in rete che non verranno mai fruiti. “Il web è un’insalatiera, nella quale diventa sempre più difficile individuare i contenuti di qualità. E tutto quello che c’è dentro, è destinato a perdersi nei meandri dei più remoti server, fino a spegnersi completamente.” Questa affermazione è stata pronunciata dall’informatico Vint Cerf, conosciuto come uno dei padri di internet, creando molto scalpore sui media per aver affermato che a causa dell’obsolescenza dei dati digitali, un intero secolo potrebbe finire dimenticato.

Inoltre, all’idea del digital black hole si accompagna quella più antica della damnatio memorie, per cui il “tribunale del web” decide “democraticamente” quale sia il limite tra giustizia e libertà, tra contenuto nocivo da rimuovere ed espressione lecita. Si tratta di un meccanismo reiterato nel corso della storia dell’uomo, una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona come se essa non fosse mai esistita. Cosa bisogna ricordare, allora, del nostro mondo in cui i supporti fisici vengono sempre meno, e su che basi costruiamo queste decisioni? Alla luce di questi presupposti, dobbiamo cominciare a pensare a modi per dimenticare? O modalità di curatela della cultura e della memoria più completa? E che dire di incidenti e guasti, ad esempio, degli stessi virus informatici?

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