Ho avuto a che fare con molte persone, e mi capitava di trascrivere le registrazioni e curare le interviste che facevo. Questo mi ha insegnato come parlano le persone. Ho capito che non parlano nel modo in cui lo fanno i personaggi nei romanzi.
La parola. Forse l’elemento cardine e senza la quale non esisterebbero i film di Éric Rohmer, uno dei principali maestri della Nouvelle Vague francese. Già dalla sua dichiarazione si avverte il peso drammaturgico che assumono i dialoghi nei suoi racconti, che, non a caso, vengono soprannominati “chiacchieroni”.
Nato a Tulle, nel sud della Francia, Jean Marie Maurice Schérer, il suo vero nome, è cresciuto circondato da botteghe, cattedrali, fiumi e colline. Se si pensa all’immaginario filmico in cui Rohmer ambienta le sue vicende, non è tanto lontano dal paesaggio bucolico della sua infanzia.
Nel 1980 fonda la sua casa di produzione con la quale realizzerà il famoso ciclo di film Commedie e proverbi: ogni storia racchiude un proverbio popolare o una citazione letteraria portatrice di una morale ben precisa.
L’universo filmico del regista
Il filo rosso che lega la trama di queste pellicole è senza dubbio l’amore, romantico o tragico che sia. I protagonisti solitamente sono persone semplici, spesso giovani donne appena subentrate nel mondo adulto o che stanno per diventarlo: affrontano quindi problemi di vita quotidiana, confrontandosi soprattutto con amici, o addirittura con sconosciuti incontrati al caffè o per le strade di Parigi. Spesso mosse da sentimenti di insoddisfazione e solitudine, Rohmer riesce a catturarne le emozioni come se stessero avvenendo per la prima volta davanti alla macchina da presa.
Gran parte del minutaggio è dedicato a lunghi dialoghi che affrontano argomenti di ogni tipo, dalla filosofia alla psicologia, dalla letteratura alla scienza: lo spettatore assiste a dei flussi di coscienza diventando lui stesso un interlocutore. Si creano così simpatie e antipatie che lo coinvolgono emotivamente facendogli altresì sviluppare una propria opinione.
Un elemento che enfatizza il realismo di queste lunghissime sequenze è la totale assenza di musica extradiegetica (quella che non fa parte del mondo filmico e che i personaggi non potrebbero sentire): gli unici elementi che compongono il paesaggio sonoro sono i rumori diegetici dell’ambiente circostante,rurale o urbano che sia. Il cinguettio degli uccelli, le tazzine del bar, i clacson delle automobili; tutto questo contribuisce a rendere la narrazione il più vicina possibile alla realtà con un intento che oscilla tra il documentario e il neorealismo.
Anche le forti emozioni che provano i personaggi, ognuno dei quali ha una personalità ben strutturata, con paure e insicurezze tipiche della giovinezza, permettono allo spettatore di empatizzare.
Comédies et proverbes
Il primo di questa serie di lungometraggi è La moglie dell’aviatore (1981), la storia di un’amore passato che tenta invano di riemergere. La citazione associata al racconto prende ispirazione dal titolo di un’opera di Alfred de Musset: “Non si dovrebbe pensare a niente”. La frase assume quindi un significato negativo, in quanto il protagonista, François, sospettando un tradimento, inizia un tormentato pedinamento per far emergere la verità. L’età della giovinezza, da sempre contraddistinta dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere, viene qui intralciata da questi pensieri tipicamente adulti.
Le beau mariage
Ne Il bel matrimonio (1982) è Jean de la Fontaine a concedere il motto che racchiude il significato del film: “Quale mente non divaga? Chi non fa castelli in aria?“. La protagonista è Sabine, la quale, stanca di inseguire l’uomo di cui è innamorata, decide di ricominciare la propria vita mettendo al primo posto la sua felicità. La donna è attanagliata dal desiderio di trovare l’amore e creare una famiglia, ma rischia di precipitare in un circolo vizioso senza una reale prospettiva per il futuro. Il proverbio si riferisce al fatto che la protagonista ripone la sua fiducia nelle persone sbagliate, fantasticando su una vita che non le si addice.
Pauline a la plage
Nello stesso anno Rohmer realizza Pauline alla spiaggia, in cui diversamente dai film precedenti la protagonista femminile è una ragazza di 15 anni alle prese con i primi amori. “Chi parla troppo si danneggia”, diceva Chrétien de Troyes, scrittore medievale francese. La frase fa riferimento alla fitta rete di bugie, intrighi e inganni che coinvolge i numerosi personaggi, tutti accumunati dalla ricerca di una relazione stabile e, più in generale, del vero significato della parola “amore”.
Les nuits de la pleine lune
Un detto popolare introduce il quarto dei sei lungometraggi del ciclo, Le notti della luna piena (1984): “Chi ha due donne perde l’anima, chi ha due case perde il senno”. Qui il tema principale è quello della solitudine, che minaccia costantemente l’esistenza di Louise, una donna stanca della sua relazione sentimentale e che vorrebbe sperimentare una vita meno sedentaria.
Le rayon vert
Forse il film più famoso di Rohmer, Il raggio verde (1986) è la pellicola più profonda ed esistenzialista di tutta la filmografia del regista. Ansie, paure e timori per una vita che non è degna di essere vissuta, contribuiscono a creare uno stato di apatia e insoddisfazione in cui si rifugia Delphine. Solo alla alla fine del racconto la ragazza riesce a ritrovare quella pace interiore che da sempre ricercava. Come scrisse Arthur Rimbaud, “Ah, venga il tempo in cui i cuori s’innamorano”.
L’ami de mon amie
Nel 1987 si conclude questo capitolo di Commedie e proverbi con L’amico della mia amica (1987). L’amore è ancora l’elemento che smuove gli animi dei protagonisti, ma l’amicizia assume un’importanza da non sottovalutare. “Gli amici dei miei amici sono miei amici”, recita un proverbio popolare: in questo racconto ci sono tutti gli elementi per la nascita di una storia d’amore, ma a volte, troppe insicurezze rischiano di rovinare ciò che si è costruito.
La morale rohmeriana
I racconti di Rohmer catturano l’essenza dei personaggi mostrando degli eventi comuni, spesso ritenuti insignificanti, della loro vita quotidiana. Quelli che possono sembrare degli interminabili dialoghi o delle monotone pause del tempo del racconto, rappresentano invece gli elementi cardine dell’universo narrativo del regista francese, fatto di silenzi, colori, paesaggi, immagini, ma soprattutto di parole. Queste, hanno come obiettivo finale quello di condurre lo spettatore, con l’ausilio di innumerevoli discorsi, nella realtà quotidiana più profonda.
Le giovani donne di Éric Rohmer, grazie alla loro intraprendenza e perseveranza, diventano specchio di una generazione sempre più rivolta al futuro e al progresso.