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Uno sguardo ai lavoratori invisibili dello spettacolo

All’inizio si trattava solo di alcuni spettacoli in Asia e in Europa, poi è arrivata la cancellazione del Coachella, uno degli appuntamenti musicali più importanti degli Stati Uniti, e delle date dei tour di moltissimi artisti, dai Pearl Jam ai Rolling Stones, passando per i Dry Cleaning e i Mogwai, due delle band di rock indipendente più note in Europa che avrebbero dovuto esibirsi a gennaio in Italia, a fianco della sospensione di eventi e di spettacoli di qualsiasi natura in tutto il mondo. Solo a metà aprile 2020, a un mese dall’inizio della pandemia, l’intera industria dello spettacolo era stata messa in pausa con l’annullamento a catena di eventi e concerti, con la conseguente perdita di professionalità specializzate.

Ripartire dai lavoratori

Tutte le maggiori istituzioni a livello internazionale ed europeo hanno stimato che l’impatto della pandemia è stato particolarmente duro per il settore dello spettacolo, i cui lavoratori, una delle categorie più colpite dagli effetti del Covid-19 a causa della chiusura di moltissime attività artistiche, in alcuni periodi si sono trovati non solo fermi anche al 100%, ma anche senza accesso alle tutele o ai sostegni economici. Un quinto dei tecnici dello spettacolo non ha ancora ricominciato a lavorare nel settore, mentre la metà di essi, soprattutto nelle fasce di età intermedie, ha deciso di abbandonarlo completamente.

Stando ai report dell’Istituto Sindacale Europeo e agli studi della Fondazione Centro Studi Doc che svolge attività di ricerca e documentazione per sostenere la dignità del lavoro, l’86% dei lavoratori ha evidenziato come la pandemia abbia mostrato il ruolo essenziale e imprescindibile della protezione sociale nel contesto attuale per rendere sostenibile e meno challenging il proprio lavoro. Per molti lavoratori il continuo alternarsi di committenti e l’isolamento sul mercato del lavoro rendono particolarmente difficile negoziare buone condizioni di pagamento e rappresentanza, tema che ricorre in generale nel mondo dello spettacolo.

Di fatto sono molte le sfide che i lavoratori dello spettacolo devono ancora affrontare. La maggior parte di loro si trova ancora isolata nel mercato del lavoro e soffre della mancanza di potere contrattuale, che spesso porta al lavoro sommerso o all’accettazione di condizioni di lavoro con un alto livello di precarietà, con conseguenze negative in termini di sicurezza, salute e previdenza sociale. Come in ogni momento di difficoltà, a subire con più forza l’impatto della crisi sono i lavoratori meno qualificati e precari, ma ugualmente fondamentali perché un evento sia organizzato e realizzato. Tra questi sono soprattutto donne e lavoratori tra i 30 e i 50 anni che già nel 2019, quando ancora non si era entrati nella bufera del Covid-19, contavano una retribuzione media annua di appena 10.664 euro, con meno di 1 giornata di lavoro su 3 da gennaio a dicembre, spesso con una famiglia a carico o un mutuo.

Un settore già fragile

La crisi sanitaria ha svelato dunque le già latenti fragilità dello spettacolo, portando a galla tutta una serie di problematiche legate soprattutto alla discontinuità, eterogeneità e instabilità nel lavoro e di reddito che oggi rendono gli effetti di quanto è accaduto negli ultimi anni non solo devastanti per le economie del settore, ma anche per un intero patrimonio creativo, artistico e artigianale difficilmente trasmissibile. Uno dei maggiori pericoli a seguito dell’emergenza degli ultimi anni, e tutt’ora in corso, è proprio la dispersione dell’enorme professionalità e conoscenza dovuta all’abbandono di tanti professionisti. In particolare, le aree professionali che hanno visto un tasso di abbandono più alto sono quelle della produzione, delle scenografie e degli allestimenti, e l’area delle strutture.

La consapevolezza che quello dello spettacolo è un lavoro che deve pretendere tutti i diritti e le protezioni sociali è cresciuta soprattutto tra i tecnici dal 2012, dopo la morte dei giovanissimi Francesco Pinna a Trieste e Matteo Armellini a Reggio Calabria, deceduti a causa di incidenti durante il montaggio di palchi per concerto. Da quel momento qualcosa nel mondo dello spettacolo è cambiato e sono stati fatti diversi passi avanti. Gli artisti e i tecnici dello spettacolo da sempre anticipano e amplificano i cambiamenti dei tempi, nella società come nel lavoro, e le conquiste fatte dai lavoratori negli ultimi anni possono indicare una chiave di apertura dei diritti anche per le professioni più recenti che soffrono la multicommittenza, la precarietà, la mancanza di programmazione e di sicurezza sociale.

La crisi come occasione per il movimento cooperativo

Se da un lato è chiaro che la pandemia abbia mostrato con estrema chiarezza tutte le lacune di un settore che conosce poco sé stesso, dall’altro è stata motore per cercare una nuova consapevolezza, l’appartenere a un ecosistema in cui il riconoscimento della professionalità e il rispetto delle regole sono le strade maestre per il consolidamento dell’industria. Con la ripartenza delle attività dopo il lockdown della primavera 2021, al di là di una fascia ristretta di tecnici iper-specializzati che hanno aumentato le proprie tariffe, la maggior parte dei tecnici che lavora nella fascia medio-bassa si è infatti vista costretta a lavorare con compensi minori, complice, secondo i committenti, l’incertezza dell’effettiva possibilità di svolgere gli eventi e i limiti legati alle capienze.

Per questa ragione, negli ultimi tempi in Italia si è osservato un aumento del numero di cooperative di spettacolo, modello di organizzazione già diffuso negli anni Ottanta, tramite cui alcuni musicisti e tecnici dello spettacolo scelgono di riunirsi per poter lavorare in regola e ottenere riconoscimento professionale, e allo stesso tempo per essere liberi di gestire la propria specifica attività e “collaborare” nella cooperativa stessa dividendo i costi di gestione, gli investimenti e le aspirazioni come comunità.

Oggi, oltre il 50% dei tecnici lavora in cooperativa, mentre il 21,4% è lavoratore autonomo e il 16,3% è dipendente di un’azienda. Solo l’1,9% utilizza contemporaneamente più gestioni fiscali, mantenendo, ad esempio, sia la Partita IVA che la posizione nella cooperativa, oppure cambiando spesso gestione fiscale a seconda delle attività lavorative. Tra le ragioni si trova il fatto che in cooperativa i tecnici ottengono margini di guadagno più alti, possono scegliere i clienti e non devono occuparsi della burocrazia, completamente gestita dalla cooperativa stessa.

Con questa modalità, i lavoratori “invisibili” dello spettacolo, spesso vestiti di nero e che si muovono dietro i palchi e le quinte, sperano di non dover andare più incontro alla difficoltà di ottenere pagamenti adeguati e puntuali, all’assenza di protezioni sociali garantite e alla mancanza di continuità nel loro lavoro. Anche perché, anche se potessero, ammettono, il lavoro non lo cambierebbero mai, a nessuna condizione.

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