At Sunday night’s Oscars, […]nearly swept the below-the-line awards, taking home six trophies at the ceremony.”
Con queste parole, nel 2016, Variety commentava il trionfo tecnico di Mad Max: Fury Road all’88esima cerimonia degli Oscar. Oggi, a sei anni di distanza, cambiano gli interpreti ma non il risultato finale. Dune, kolossal fantascientifico diretto da Denis Villeneuve, si è imposto come vincitore indiscusso dei 94esimi Academy Awards, ricalcando proprio il percorso compiuto da Mad Max e aggiudicandosi, nella notte tra domenica 27 marzo e lunedì 28, ben 6 premi tecnici sulle 10 nomination di partenza.
Il futuro desertico e apocalittico del film di George Miller ha dunque lasciato spazio alle dorate distese del pianeta Arrakis, la guerra “fiammante e cromata” per la benzina agli intrighi politici delle case Atreides e Harkonnen per il controllo della “spezia”. Un passaggio di consegne che, lungi dal poter essere annoverato nella categoria delle semplici coincidenze storico-artistiche, può invece dimostrarsi un utile parametro di valutazione relativamente a una tendenza che va affermandosi di anno in anno.
Dune: la tecnica
Il critico cinematografico Gianni Canova, abitué dei canali Sky durante la nottata Oscar, ha infatti evidenziato come ormai da diverse edizioni la divisione tra i premi considerati di serie A e i cosiddetti tecnici sia andata a definirsi in maniera sempre più netta. Una tesi corroborata non solo dalla decisione dell’Academy di estromettere dalla diretta 8 delle 23 categorie (tra cui Miglior colonna sonora, Miglior montaggio, Miglior sonoro, Miglior scenografia e miglior trucco ed acconciatura), ma anche da una separazione, divenuta ormai manifesta, tra tipologie di opere in grado di accaparrarsi gli uni o gli altri trofei.
Fenomeni quali Titanic o Il Ritorno del Re, capaci di monopolizzare le rispettive cerimonie, appartengono a un passato lontano. Il presente (e forse anche il futuro) sembra invece volersi configurare come la terra dei Mad Max e dei Dune, costretti ad “accontentarsi” dei riconoscimenti di natura tecnica per poi farsi da parte nel nome del messaggio moraleggiante.
Intendiamoci, pensare alla natura “politico-sociale” degli Oscar come a un prodotto delle ultime edizioni sarebbe oltremodo sciocco. Semmai potremmo invece azzardare a un acutizzarsi di questa tendenza al famigerato politically correct, cui le sagaci parole della conduttrice e comica televisiva Ellen DeGeneres (durante la cerimonia del 2014) fungono da manifesto programmatico:
“Possibility number one: 12 Years a Slave wins best picture. Possibility number two: You’re all racists.”
CODA: l’intruso agli Oscar?
Ragion per cui la scelta di consegnare la statuetta più prestigiosa del 2022 nelle mani di CODA, al di là di facili ironie sulla traduzione italiana del titolo (I segni del cuore si avvicina “pericolosamente” alla fiction-parodia di Boris), appare quantomeno rivedibile oltre a lasciarci effettivamente basiti (F4). Il film di Sian Heder, per quanto godibile, non è solo oggettivamente inferiore agli altri 9 candidati in termini di linguaggio cinematografico, ma risulta anche un remake abbastanza fiacco dell’originale francese La Famiglia Bélier.
Meritocrazia canaglia
Sebbene le radici della vittoria siano da ricercarsi nell’acronimo CODA (Child of deaf adult) e nell’impegno sociale insito nella produzione del film, giudicare un’opera esclusivamente per il suo buon cuore non può essere la priorità dell’Academy. Soprattutto in considerazione della profondità tematica e della raffinatezza strutturale di un prodotto quale Drive my Car (Miglior film Internazionale), ultima fatica di Ryusuke Hamaguchi e riflessione lucida sulla declinazione della “disabilità” in termini fisici, psicologici ed emotivi.
È forse l’inizio di un processo di irreversibile deterioramento o una semplice sbandata? Difficile a dirsi. Quel che è certo è che Dune e CODA sono i volti più significativi degli Oscar 2022, simboli l’uno di una svalutazione mascherata della tecnica, l’altro della glorificazione del facile sentimento. Da un lato il trionfo relegato a “contentino”, dall’altro un sonoro schiaffo a quel cinema che è ancora in grado di osare.
L’ennesimo schiaffo della serata di fronte a cui l’Academy è rimasta seduta a guardare.