Sono passati, ormai, molti anni da quel 13 gennaio 2012 in cui una nave da crociera ha urtato gli scogli di fronte all’isola del Giglio. Morirono ben trentadue persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, mentre i feriti furono almeno centocinquantasette. Tuttavia, ancora oggi parlare del disastro fa tendenza ed esiste un’adesione sempre maggiore al cosiddetto dark tourism. Celebre il podcast/inchiesta di Matteo Caccia, intitolato “Il mondo addosso”, che è testimone di come ancora sia d’interesse parlare della vicenda.
La vicenda
Pare corretto fornire, innanzitutto, un breve riassunto delle dinamiche della tragedia consumatasi nel Tirreno. La nave, di proprietà di Costa Crociere, salpa dal porto di Civitavecchia nel pomeriggio del 12 gennaio, diretta a Savona, tappa ultima e programmata del suo itinerario. Intorno alle ore 21, il capitano della nave compie una manovra sbagliata e va in collisione con gli scogli, proprio davanti all’isola del Giglio. La nave, dopo il contatto con gli scogli, inizia a imbracare acqua, cosicché i motori elettrici cessano di funzionare: tra i passeggeri è panico. Tuttavia, questi ultimi sono invitati a riprendere le proprie occupazioni, mentre viene attivato un generatore di emergenza. Solo un’ora e mezza dopo, il capitano avvisa la capitaneria di Livorno chiedendo soccorsi. Il codice di navigazione prevede che il comandante abbandoni per ultimo la nave, in questo caso, Francesco Schettino non lo fece, neppure dopo l’ormai celebre invito di Gregorio De Falco, al tempo comandante della capitaneria livornese.
De Falco: “Ascolti Schettino. Ci sono persone intrappolate a bordo. Adesso lei va con la sua scialuppa sotto la prua della nave, lato dritto. C’è una biscaggina. Lei sale su quella biscaggina e va a bordo della nave. Va a bordo della nave e mi riporta quante persone ci sono. Le è chiaro? Io sto registrando questa comunicazione, comandante Schettino…”
Schettino: “Comandà, allora, in questo momento la nave è inclinata…”
De Falco: “Ho capito. Ascolti: c’è gente che sta scendendo dalla biscaggina di prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso, sale sulla nave e mi dice quante persone e che cosa hanno a bordo. Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza, e mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. È chiaro? Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto… veramente molto male… Le faccio passare l’anima dei guai. Vada a bordo, c…!”
Schettino: “Comandante, per cortesia…”
De Falco: “No per cortesia… Lei adesso prende e va a bordo. Mi assicuri che sta andando a bordo”
Schettino: “Io sto andando qua, con la lancia dei soccorsi, sono sotto qua, non sto andando da nessuna parte, sono qua…”
[…]
De Falco: “Lei mi sta rifiutando di andare a bordo, comandante?”
Schettino: “No, no…”
De Falco: “E mi dica quale è il motivo per cui non ci va”
Schettino: “Non ci sto andando perché ci sta l’altra lancia che si è fermata…”
De Falco: “Lei vada a bordo, è un ordine! Lei non deve fare altre valutazioni. Lei ha dichiarato l’abbandono nave. Adesso comando io! Lei vada a bordo! È chiaro?”
Schettino: “Comandante…”
[…]
Schettino: “Quanti cadaveri ci sono?”
De Falco: “Non lo so… uno lo so. Uno l’ho sentito. Me lo deve dire lei quanti ce ne sono, Cristo!”
Schettino: “Ma si rende conto che qua è buio e qua non vediamo nulla…”
De Falco: “E che vuole tornare a casa Schettino? È buio e vuole tornare a casa? Salga sulla prua della nave tramite la biscaggina e mi dica cosa si può fare, quante persone ci sono e che bisogno hanno. Ora!”
Francesco Schettino
Francesco Schettino nasce a Castellammare di Stabia, provincia di Napoli, il 14 novembre 1960. È sposato con Fabiola Russo e ha una figlia, Rossella Schettino. A seguito dell’incidente viene arrestato con l’accusa di naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono della nave. Alla fine del mese di maggio 2016 viene condannato in appello: confermati sedici anni di reclusione. Il 12 maggio dell’anno successivo, la cassazione conferma la pena. Secondo alcune fonti, ad oggi, Schettino sarebbe molto cambiato, l’esperienza carceraria l’avrebbe avvicinato al mondo della riflessione spirituale, a quello giuridico e del giornalismo.
Schettino su TikTok
Sulla “nuova” piattaforma social, spesso capita di imbattersi, per verificarlo basta scaricare l’App, in video che inneggiano, senza alcuna informazione o verità, a Francesco Schettino, chiedendone una sorta di perdono gratuito e immediato. Ovviamente, si tratta di video ironici, probabilmente postati da ragazzini, che però danno un chiaro segnale. Da un lato, forse i più giovani, non avendo vissuto la vicenda, non riescono a darle il giusto peso, dall’altro è la dimostrazione di come si tenda a parlare ancora di questa vicenda e di come un avvenimento così triste attiri l’attenzione di molte persone.
Turismo del disastro
Il cosiddetto turismo del disastro è una branca del dark tourism. Coinvolge i turisti che si recano in luoghi sede di catastrofi naturali o causate dell’uomo. Sono molti i posti in cui avvengono questi ritrovi: gli esempi più famosi sono New York (sito delle Torri Gemelle) e Chernobyl (scoppio centrale nucleare). Questo tipo di turismo nasce per il semplice fatto che avvenimenti di questa grandezza divengono simboli della loro epoca e perché diventano molto popolari grazie alla vasta circolazione di immagini sui media.
Il caso dell’isola del Giglio
Fino a poco tempo fa l’isola è stata meta di turismo di questo tipo, in molti si recavano lì anche solo per scattarsi dei selfie con il relitto della nave, ora rimosso. Da subito, per attirare l’attenzione di questi turisti, i mass media hanno cercato di assimilare questa tragedia a quella del Titanic, cercando e “trovando” dei punti di contatto, ad esempio la somiglianza tra gli orari degli incidenti. Ognuno di questi turisti, dunque, si reca sull’isola e cerca di scattare la foto-ricordo più bella. È diminuito, invece, purtroppo, il turismo di chi si recava sull’isola solo per ammirare la sua bellezza.
I podcast
Si parla ancora del disastro dell’isola del Giglio, lo si fa molto spesso. Non lo si fa per ricordare una tragedia, o meglio, non sempre è così: è evidente che parlare di questi temi faccia tendenza. Già ho citato il podcast di Matteo Caccia. Ora ne cito un altro: Il dito di Dio, ultimo lavoro di Pablo Trincia, celebre autore televisivo, inviato, scrittore e podcaster, e Debora Campanella. Si tratta di nove episodi, ascoltabili integralmente su Spotify. Bene, ma perché l’ascoltatore è portato a seguire con grande interesse il racconto di una vicenda così tragica e pure arcinota? La risposta ancora una volta sta all’interno dell‘essere umano, che è attratto, nell’ascolto come nella lettura, dalla possibilità di immedesimarsi e di emozionarsi. Pablo Trincia riesce nel suo intento: il podcast commuove. Le voci di Stefania Vincenzi, Lorenzo Barabba, Antonella Folco, Omar e Vanessa Brolli offrono a chi ascolta la possibilità di rivivere la vicenda, con distacco “fisico” ma contemporaneamente partecipazione mentaleed emotiva. Immedesimarsi in un’esperienza tragica epurata però dal rischio e dalla paura insiti nella partecipazione autentica, cercare di carpirne le sensazioni, senza dover affrontare realmente la situazione tragica è ciò che attira la curiosità e l’attenzione del pubblico.
Perché?
Qui giace la risposta. Perché si visitano i luoghi delle tragedie? Perché si vuole ancora sentirne parlare? Beh, perché per alcuni un’esperienza così tragica da diventare il simbolo di un’epoca è ormai come se fosse parte del proprio vissuto e le dinamiche appena evidenziate rispondono alla sensazione dell’averne davvero preso parte. Potrebbe essere questa l’analisi finale, questa la ragione per cui parlare ancora delle tragedie fa tendenza. Purtroppo o per fortuna.
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