Si parla sempre di numeri e di cifre, spesso dimenticando che dietro ognuno di loro si nasconde un volto e una storia. Di certo i numeri ci consentono di valutare l’ampiezza del problema e delle conseguenze che un flusso di persone così ampio inevitabilmente comporta, ma dobbiamo fare attenzione a non dimenticare che per quei due milioni di profughi che hanno lasciato l’Ucraina abbiamo due milioni di volti differenti.
Le loro storie sono quelle di ogni altro abitante d’Europa, con la semplice differenza che una mattina d’inverno la loro esistenza è stata bruscamente interrotta da sirene antiaeree che non smettevano di suonare. Da quel momento la loro vita si è trasformata in una fuga: verso la salvezza e verso la libertà, anche se questo comportava l’abbandono di tutto quello che conoscevano.
Uno scenario senza precedenti
Attraverso un tweet, l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, ha fatto sapere che probabilmente la fuga a cui stiamo assistendo rappresenta “la crisi di profughi più veloce in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale”. La sua prospettiva di certo non appare esagerata, considerando che le persone che lasciano l’Ucraina aumentano di oltre 100.000 mila al giorno, raggiungendo apici sempre maggiori man mano che la distruzione prosegue.
Le città si spopolano e le autostrade diventano cimiteri di auto abbondonate. Chi può, scappa, anche a costo di percorrere chilometri e chilometri a piedi o nella prospettiva di aspettare giorni prima di essere smistato nei vari Paesi europei. C’è chi aspetta sveglio per ore e chi si incolonna con l’auto per superare il confine. Per cercare di sopravvivere e sfuggire all’invasione russa si fa di tutto.
Quali sono le mete?
Gran parte di loro, forse per vicinanza, si fermano in Polonia, seguita per numeri da Ungheria e Moldova. Anche l’Italia è diventata meta di molte persone, gran parte delle quali hanno trovato ospitalità nella rete famigliare della comunità ucraina presente sul territorio. In data 8 marzo sono circa 21.095 i cittadini ucraini che hanno varcato i nostri confini (gran parte dei quali sono donne e minori).
In 24 ore il flusso è aumentato di circa 2 mila persone, segnale che denota il graduale e progressivo aumento che si verificherà nei prossimi giorni. Le principali destinazioni sono Roma, Bologna e Napoli. La protezione civile parla di una “situazione completamente inedita”. Purtroppo, lo scenario è ancora in via di sviluppo e di fronte a un inevitabile aumento l’Italia è stata costretta a progettare un piano nel tentativo di gestire al meglio la situazione.
Provvedimenti di prima necessità
Il governo ha predisposto un piano per garantire accoglienza, scuola e salute a tutti. In primis, nella prospettiva di evitare una nuova emergenza sanitaria dovuta a un aumento esponenziale dei contagi, è stato imposto l’obbligo di vaccinazione. Il piano da attuare è ovviamente ancora in via di sviluppo, ma la speranza è quella di garantire una protezione contro il Covid-19 anche per tutti i rifugiati ucraini. La stessa prassi verrà attuata anche per altre malattie come morbillo e poliomielite. Per i bambini e i ragazzi, invece, è previsto l’inserimento immediato nei circuiti scolastici. E gli adulti, in via eccezionale, potranno lavorare da subito.
Una risposta condivisa e solidale
Ma non è solo la politica a essersi messa in gioco, da tutta Italia e tutta Europa si registra una grande mobilitazione solidale con iniziative in sostegno della pace e per l’accoglienza dei profughi. Da giorni decine e centinaia di romani si sono mobilitati nella raccolta di vestiti, generi alimentari e medicinali per la popolazione ucraina. Lo stesso si è ripetuto la mattina del 5 marzo in via Boccea, dove si trova la Basilica di Santa Sofia, da sempre luogo di ritrovo della comunità ucraina della capitale.
A Potenza, invece, nel quartiere di prefabbricati nati all’indomani del terremoto del 1980 per ospitare i senzatetto del sisma, si è dato avvio a una gara di solidarietà che ha coinvolto tutta la comunità. In meno di un’ora sono state dieci coperte e una trentina le sciarpe e i cappelli che le magliaia di volontarie potentine hanno promesso di realizzare per le popolazioni ucraine colpite dal conflitto. E il progetto continua a gonfie vele, per cui nel giro di qualche giorno si avranno materiali da destinare a tutti coloro che lasciano quel Paese.
Cosa stiamo facendo?
Esempi di solidarietà costellano tutta la penisola: dalle Alpi agli Appennini gli italiani si sono messi in prima linea per cercare di dare un contributo personale alla situazione, che ormai appare disperata. Ovunque sono state messe in atto le reti di contatto per accumulare tutto ciò di cui si aveva bisogno: medicinali, vestiti, materiale scolastico e giocattoli. Molti comuni si stanno già organizzando per cercare di garantire anche un alloggio che sia sicuro e ben attrezzato per tutti coloro che stanno cercando rifugio qui in Italia. Ma tutto questo, più che un atto di gentilezza, è un atto di dovere nei confronti di un popolo che sta subendo una guerra che mai avrebbe voluto.
Un futuro difficile da immaginare
Se impariamo qualcosa da questa situazione è che non si può essere selettivi riguardo chi merita supporto e difesa. Tutti meritano la stessa compassione perché, alla fine, nei conflitti a “perderci” sono sempre i civili, coloro che non hanno mai imbracciato un fucile e che non sanno neanche perché gli arriva una bomba in testa.
Gino Strada, la cui assenza diventa ancora più acuta in momenti come questi, era solito dire: “le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri”. Ripeteva anche che “se la guerra non viene buttata fuori dalla storia degli uomini, sarà la guerra a buttare gli uomini dalla storia”. Di fronte alla situazione che stiamo vivendo sorge naturale porsi una domanda: quando inizieremo a dare valore a queste parole?
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