Putin e la guerra: folle monarca o lucido stratega?

Un folle nel pieno di un delirio d’onnipotenza, un monarca paranoico. Un mix fra Riccardo III e Re Lear. “Putler”. La narrazione più diffusa nei primi giorni del conflitto russo-ucraino dipinge così Vladimir Putin: un uomo prossimo al tramonto della sua parabola terrena che decide di giocarsi l’ultimo azzardo, quello che potrebbe costargli addirittura il “trono”, pur di entrare nei libri di storia. Un uomo, uno “tsar” solo al comando, che di nascosto da alcuni e contro il parere di altri decide di scatenare una guerra apparentemente senza senso. E minaccia addirittura di trasformarla in un conflitto nucleare. Ma è davvero così?

L’articolo del 12 luglio 2021

Esiste un documento che attesterebbe il contrario, dimostrando come il conflitto in Ucraina non sia il proposito estemporaneo di un leader abbandonato e vendicativo, ma l’epitome di un disegno concepito lungo un ampio arco cronologico. Si tratta di un saggio firmato dallo stesso Putin, e datato 12 luglio 2021. Fino a qualche giorno fa era reperibile accedendo al sito del Cremlino, che tuttavia è stato sottoposto a oscuramento. Il quotidiano «Domani» lo ha recuperato e tradotto.

Il saggio si apre con una dichiarazione netta: “I russi e gli ucraini sono un popolo solo, una cosa sola”. Da questo momento in poi Putin (o il suo ghostwriter) si dilunga per paragrafi e paragrafi a illustrare, a dire il vero abbastanza superficialmente, le fasi storiche della relazione fra popolo russo e popolo ucraino, che, secondo quanto si legge, occupano “lo stesso spazio storico e spirituale”. Si comincia dalle origini dei tre popoli di un’ideale nazione “trina”, russo, ucraino e bielorusso: “Russi, ucraini e bielorussi discendono dall’antica Rus’, che all’epoca era il più grande stato d’Europa”. Tra i tre popoli vi è un’unità linguistica, religiosa, economica; ecco comparire il primo riferimento a “san Vladimir, principe di Novgorod, granduca di Kiev”, la cui “scelta spirituale” avrebbe determinato “la nostra affinità”.

Malorossija

Qualche paragrafo dopo compare la denominazione antica dell’Ucraina: Malorossija, “piccola Russia”. Ecco, come si dirà oltre, l’Ucraina non ha alcun diritto di proclamarsi nazione, non gode di alcuna autonomia rispetto alla “Madre Russia”; la sua indipendenza è solamente virtuale, anzi, è un’usurpazione, ecco perché può essere negata nei fatti, sovvertita con la violenza.

Segue una riflessione linguistico-letteraria. Per Putin, l’ucraino è solo una varietà dialettale del russo, e a tal proposito cita l’ecclesiasta Rutskij, per il quale il rapporto fra i due idiomi è come quello fra romanesco e bergamasco (lett.). D’altronde, Taras Shevchenkoscriveva versi in ucraino e prosa principalmente in russo”, e anche il “patriota” Nikolaj Gogol’, usava “espressioni e modi di dire propri della Malorossija”. Sì, la “Malorossija”: nella prima parte del saggio il toponimo Ucraina non compare praticamente mai. E poi, quando verrà citato, si dirà immediatamente che significa “presso il confine”: insomma, l’Ucraina, anche nel nome, non può prescindere dall’ancoraggio referenziale alla Russia. Tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, secondo Putin,

fra l’èlite polacca e parte dell’intellighenzia della Malorossija iniziava a prendere forma l’idea di un popolo ucraino come nazione separata dalla Russia. Dal momento che questa tesi non si fondava su alcuna base storica perché non poteva farlo, la si cercò di provare con qualsiasi pretesto. Ci si spinse persino a sostenere che i veri slavi fossero gli ucraini e non i russi, i moscoviti. ‘Ipotesisimili diventarono sempre più armi usate per scopi politici dagli stati europei.

Gli “esperimenti sociali” dei bolscevichi

La condizione dell’Ucraina, dopo Brest-Litovsk, ha vissuto fasi alterne di indipendenza e subordinazione. In questo contesto storico si colloca l’operato di Symon Petljura, che “strinse accordi segreti con la Polonia”, eppure “è oggi ricordato in Ucraina come ‘eroe’”. Ma la colpa fondamentale va imputata a un’ideologia, e alla classe di governo che se ne fece portatrice, quella dei “bolscevichi”.

Nel saggio, Putin non manca di manifestare chiaramente il proprio disprezzo per il loro operato: “L’Ucraina moderna è pertanto interamente un prodotto dell’epoca sovietica”; e ancora,

i bolscevichi hanno trattato il popolo russo come un materiale inesauribile per i loro esperimenti sociali. Sognavano una rivoluzione mondiale che avrebbe spazzato via gli stati nazionali, e per questo furono così generosi nel tracciare i confini o concedere elargizioni territoriali.

Nel prosieguo dell’articolo, Putin dichiara di rispettare la decisione, dovuta a “una serie di ragioni e circostanze storiche” degli ucraini di separarsi da Mosca, ma si chiede “a quali condizioni?”. E non può accettare quelle storicamente adottate dagli ucraini: “Una cosa è chiara, che la Russia di certo è stata derubata”.

In this image made from video released by the Russian Presidential Press Service, Russian President Vladimir Putin addressees the nation in Moscow, Russia, Thursday, Feb. 24, 2022. Russian troops launched their anticipated attack on Ukraine on Thursday, as Putin cast aside international condemnation and sanctions and warned other countries that any attempt to interfere would lead to “consequences you have never seen.” (Russian Presidential Press Service via AP)

Il neo-nazismo ucraino

A Putin rimangono due punti fondamentali da trattare. Il primo è quello di un’Ucraina popolata da “neo-nazisti”. Ha destato sorpresa, sconcerto e riprovazione, la frase con cui Putin, nella notte italiana fra il 23 e il 24 febbraio, ha di fatto dichiarato guerra: “Denazificheremo l’Ucraina”. Questo documento dimostra come il pensiero di un’Ucraina nazista fosse vivo nella sua propaganda da molto tempo.

Penso che sia naturale”, scrive, “che i rappresentanti dell’Ucraina votino ogni volta contro la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu di condannare l’apologia del nazismo”. Gli ucraini hanno imposto “l’ucrainizzazione di coloro che non si percepivano ucraini”, e sarebbero pronti anche a dei massacri: “ma il loro momento non arriverà”. Il secondo punto è l’uso occidentale dell’Ucraina, la strumentalizzazione che della Malorossija è stata operata ai danni della Rossija. Al proposito, Putin lancia un vero e proprio “grido di guerra”, che suona così: “Non permetteremo che i nostri territori storici e i loro abitanti vengano usati contro di noi”.

Insomma, i temi fondamentali dell’articolo del luglio del 2021 sono l’unità storico-culturale fra Russia e Ucraina, che di fatto rende illegittima la stessa esistenza di uno stato ucraino; la colpa storica dei “bolscevichi” di aver diviso ciò che doveva rimanere unito; la “nazificazione” del potere ucraino e la necessità di evitare che il Paese diventi testa di ponte Nato in funzione anti-russa. Non mancano nemmeno venature di odio anti-polacco e di ideologia populista. Gli ammonimenti di Putin sono rimasti inascoltati, sono stati cestinati e sottovalutati, nonostante il think tank “Atlantic Council” avesse etichettato questo documento come “il primo passo verso la guerra”.

La solitudine di Putin

Non c’è dubbio, poi, che nella propaganda putiniana sia centrale una certa “teoria del complotto”, anche abbastanza delirante. E che ormai il disegno di invadere l’Ucraina e occuparla militarmente trovi sempre minor sponda presso le alte gerarchie dell’esercito e della politica federale. Lo dimostra plasticamente l’inquietante conversazione, non a caso diffusa televisivamente, tra Putin e il capo dei servizi segreti Sergey Narishkin, che cercava di convincerlo, a dire il vero molto timidamente, della necessità di negoziare col nemico.

O ancora il ruolo sempre più subalterno del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, che pare ormai esautorato dalle sue funzioni e prossimo a un addio all’incarico dopo più di sedici anni. E infine le prese di distanza dei primi oligarchi colpiti dalle sanzioni americane ed europee: tra questi, spicca quella di Roman Abramovich, che secondo il «Jerusalem Post» sarebbe stato scelto da parte ucraina come mediatore nella prima fase di trattative andate in scena il 28 febbraio nei pressi del fiume Pripyat.

La geopolitica del gas e le “precauzioni” di Putin

Tuttavia, non manca certo una logica, nel modus operandi di Putin. Lo dimostra, sempre su «Domani», Duilio Giammaria, che illustra come la “geopolitica del gas” sia una chiave fondamentale per comprendere la guerra ucraina. In sostanza, Putin e i suoi predecessori hanno sempre agito, in politica estera, al fine di preservare, in un modo o in un altro, l’integrità e il controllo dei territori interessati dal passaggio dei gasdotti russi.

In Cecenia, vista la riottosità del popolo e delle autorità, è stata necessaria l’invasione militare; in Azerbaijan si è rivelata sufficiente l’instaurazione di un governo filorusso. Oggi, in attesa dell’apertura, ancora sub-iudice, di “Nord-Stream 2”, che bypasserebbe del tutto l’Ucraina, sotto il controllo di Kyiv c’è ancora 1/3 del gas russo destinato all’approvvigionamento europeo.

Inoltre, Putin si è preparato a un’eventualità come la guerra in Ucraina, e le sanzioni economiche che ne sarebbero conseguite da parte occidentale, da molto tempo. Si può dire, con Stefano Feltri, che negli ultimi otto anni, quelli trascorsi dall’annessione de facto della Crimea e dall’avvio del conflitto nel Donbass, abbia “preso precauzioni”. Per esempio, ha aumentato la dipendenza dell’Europa dal gas russo, guadagnando contestualmente potere negoziale; ha cominciato a esportarne anche in Cina; e infine ha sviluppato una piattaforma per i pagamenti internazionali che potrebbe compensare l’esclusione dal sistema Swift, chiamata SPFS.

“La Russia confina con chi vuole”

Insomma, Putin ha preparato per tempo l’invasione dell’Ucraina e le sue conseguenze. Dall’alto del suo “potere piramidale” (Vladimir Sorokin, «The Guardian»), non poteva accettare il declassamento della sua Russia a “potenza regionale”. Intendeva rinverdire i fasti sovietici, quelli della sua gioventù da agente del KGB. Fare in modo che l’assioma “la Russia confina con chi vuole” tornasse in auge e sostituisse il neologismo “l’UE confina con chi vuole”. La maschera è caduta, il monarca illuminato in cui l’Occidente sperava di trovare un interlocutore ai tempi di Eltsin non esiste più. Ma quello che l’ha sostituito non merita certo di essere sottovalutato.

 

 

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