La digitalizzazione della pubblica amministrazione e delle procedure di accesso ai servizi da parte dei cittadini italiani è uno dei temi più rilevanti nell’agenda del sistema-Paese. Lo dimostrano alcuni semplici dati empirici: lo stanziamento di 19,8 miliardi di spesa per la digitalizzazione del Paese all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), altrimenti noto con l’espressione Recovery Plan, e la creazione, nel febbraio 2021, all’interno del governo presieduto da Mario Draghi, di un Ministero per l’innovazione tecnica e la transizione digitale (MITD), guidato dal professor Vittorio Colao.
Ma quali sono, nel concreto, le strategie che il governo e le amministrazioni pubbliche, statali, regionali e locali stanno mettendo in campo per favorire la digitalizzazione dei servizi? E soprattutto: sono funzionali? Sono calibrate a misura del cittadino? Stanno davvero cambiando le cose in termini di facilità di accesso ai servizi e di alleggerimento dei carichi della burocrazia?
Occorre distinguere i due fuochi dell’ellisse, innanzitutto: da un lato, esiste la necessità di ammodernare il sistema di raccolta e indicizzazione delle informazioni a disposizione delle Pubbliche amministrazioni (PA); dall’altro, quella di rendere più agevole e smart l’accesso dei cittadini a servizi e documenti che li riguardano e li interessano direttamente. Come è chiaro, i due piani sono reciprocamente interdipendenti: un buon funzionamento delle PA favorisce i cittadini nell’accesso ai servizi, così come l’accesso dei cittadini a servizi e documenti in formato digitale consente alle PA di ottimizzare il proprio lavoro.
Il cloud per le PA
Sul primo versante, la strategia adottata dallo Stato italiano è la “Strategia del Cloud“. In data 15 dicembre 2021, sul sito dell’AgID (Agenzia per l’Italia digitale) è stato pubblicato il documento che disciplina le infrastrutture digitali e i servizi cloud della Pubblica amministrazione, e che assomiglia a un documento programmatico che “costituisce il tassello abilitante della Strategia Cloud italiana“. Ma cos’è la “Strategia del Cloud”? Sul sito dell’AgID, si legge che
La Strategia Cloud Italia, realizzata dal Dipartimento per la trasformazione digitale e dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale (ACN), contiene gli indirizzi strategici per il percorso di migrazione verso il cloud di dati e servizi digitali della Pubblica Amministrazione.
L’adozione di tale strategia punta a modificare una condizione di partenza che AgID, nel suo report, fotografa in termini assai preoccupati (e preoccupanti):
AgID ha fotografato lo stato molto precario di queste infrastrutture (quelle della Pubblica Amministrazione italiana, ndr), attraverso il Censimento del Patrimonio ICT della PA 2018-2019. Il 95% dei data center analizzati (1252) sono carenti dei requisiti minimi di sicurezza, affidabilità, capacità elaborativa ed efficienza. Questo dato implica che una buona parte dei servizi digitali offerti dalla Pubblica Amministrazione ai cittadini può essere vulnerabile agli attacchi informatici, oppure incapace di gestire i picchi di traffico dei propri utenti.
D’altronde, l’attacco hacker subìto dai sistemi della regione Lazio la scorsa estate non ha fatto altro che offrire una palese conferma pratica di quanto asserito su un piano teorico dagli enti regolatori. Solo i servizi qualificati, cioè provvisti degli indispensabili requisiti di sicurezza, affidabilità e scalabilità (secondo Oxford Languages: “la caratteristica di un sistema software o hardware facilmente modificabile nel caso di variazioni notevoli della mole o della tipologia dei dati trattati“), entrano a far parte del modello del cloud. Questi servizi vanno incontro a un processo di (ri)qualificazione che ne implementa e razionalizza diversi parametri. Ma cosa succede ai servizi che non presentano di default i tre presupposti necessari? Essi “migrano” verso l’infrastruttura ad alta affidabilità promossa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, denominata Polo strategico nazionale, oppure verso i servizi cloud qualificati.
Lo SPID
Il secondo fronte d’intervento, un cantiere aperto da diversi anni, ma che negli ultimi mesi ha subito una forte accelerazione, è quello dell’Identità digitale. Come si legge su Linkem,
per identità digitale si intende l’insieme di informazioni e risorse concesse da un sistema informatico a un utente utilizzatore dello stesso sistema, tramite un processo di identificazione. Riassumendo si può dire che l’identità digitale corrisponda all’insieme delle informazioni presenti online relative a un individuo, un ente o un brand.
Alcune delle forme in cui il concetto di identità digitale si concretizza è quella del domicilio digitale, la PEC, e il Sistema pubblico di identità digitale, il cosiddetto SPID. Nell’helpdesk predisposto all’interno del sito governativo riservato, si legge che
SPID è l’identità digitale pubblica che permette a cittadini e imprese di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione e dei privati aderenti. L’identità SPID è costituita da credenziali (username e password) che puoi utilizzare da qualsiasi dispositivo: computer, tablet e smartphone; ogni volta che, su un sito o un’app di servizi, trovi il pulsante “Entra con SPID“.
Di recente, è stata inaugurata la funzione dell’Anagrafe digitale, che consente al cittadino, proprio attraverso SPID, di scaricare documenti e certificati che lo riguardano direttamente dal sito dell’ANPR (Anagrafe nazionale della popolazione residente), un’emanazione del Ministero dell’interno.
Attraverso SPID è possibile anche accedere al proprio fascicolo sanitario, dove si possono visualizzare e scaricare prescrizioni mediche ed esiti di esami. Una funzione che è stata implementata nei quasi due anni di pandemia, nel quadro di una generale accelerazione (nella predisposizione come nell’utilizzazione) dovuta al lockdown dell’inverno del 2020.
Stando ai dati forniti dal ministro Colao in un’audizione alla Camera dei deputati del gennaio 2022, “SPID ha raggiunto ormai 27,4 milioni di italiani, di cui ben 12 solo nell’ultimo anno, e gli enti pubblici che lo hanno attivato sono aumentati del 223 per cento“. Si tratta di un aumento di circa sette milioni di utenti rispetto al dato di fine febbraio 2021.
Le criticità
Tutto regolare, insomma? Non esattamente. Secondo i dati riportati dal «Fatto Quotidiano» a febbraio 2021, su circa ventitré mila pubbliche amministrazioni, solo 5.479 consentono l’uso di SPID come sistema unico di identificazione, laddove invece sarebbero dovute essere tutte pronte entro il 28 febbraio. Non solo: il vero, grande problema è che, se le modalità di accesso si modernizzano, non altrettanto può dirsi per quanto riguarda le banche-dati delle PA e i servizi messi a disposizione, che non sono “nativamente digitali“, ma semmai la declinazione digitale di servizi già esistenti in forma cartacea. Un esempio valido è quello proposto dallo stesso articolo del «Fatto»: nel post-lockdown, la procedura per l’ottenimento di una copia di una sentenza emessa presso il Tribunale di Roma è diventata telematica, ma l’archivio resta cartaceo.
Un altro vulnus evidente è la scarsità e l’inefficienza delle campagne pubbliche atte a far conoscere ai cittadini i servizi come SPID e il loro funzionamento: il video in cui il Presidente della repubblica Sergio Mattarella sperimenta per primo il servizio dell’Anagrafe digitale non è stato caricato su YouTube da nessun ente pubblico, se si eccettua la Tv di Stato, ma anche il video del relativo servizio del TG1 conta, al 10 febbraio, appena 1199 visualizzazioni. Non solo: poca informazione è stata fornita rispetto all’esistenza di tre diversi livelli di autenticazione, e alle differenze in merito fra i diversi provider di SPID (Aruba, Poste Italiane, Infocert, solo per citarne tre). A tutto questo vanno aggiunte le prevedibili difficoltà di chiunque non rientri nella categoria dei cosiddetti “nativi digitali” nell’usufruire di tali servizi, per ovviare alle quali nulla è stato fatto.