Il sindacato oggi: un’istituzione vetusta?

Giovedì 16 Dicembre CGIL e UIL (i due maggiori sindacati italiani) hanno proclamato uno degli scioperi generali più discussi di sempre. Molte altre associazioni sindacali, come la CISL (terzo maggior sindacato per bacino d’utenza), hanno disertato, e in generale le critiche si sono sprecate tra industriali che mettevano in discussione l’idea di uno sciopero generale in questo delicato momento e sindacalisti stessi che ne deprecavano l’opportunità strategica. A far particolarmente impressione però, al netto dei dati, è stata la risposta da parte della popolazione: la reazione dei più giovani allo sciopero è stata per lo più di incomprensione, quando non di aperta ostilità.

Crisi, innanzitutto ideologica

Secondo Maurizio Bove, responsabile del settore commercio e terziario della CISL,

Ci sarebbe un gran bisogno di sindacato, specie tra i giovani, ma spesso manca la partecipazione ideologica, diciamo. Il sindacato viene sempre più vissuto come una sorta di consulente, che ti risolve il problema immediato quando lo chiami e nulla di più. Il sindacato è storicamente più bravo a garantire i diritti di chi già li ha, quelli se vogliamo già consolidati e comunque ignorati talvolta. Esistono però una serie di nuove frontiere nel mondo del lavoro che andrebbero esplorate, e che non sempre stiamo esplorando. Se non riusciamo a raggiungere i ragazzi sulla ventina con forme di contratti non convenzionali, non riusciremo mai a farli avvicinare alle lotte sindacali, spesso non comprese, né tantomeno al sindacato come istituzione, che infatti viene sempre più spesso cambiato dal lavoratore che vede la sua richiesta non soddisfatta in breve tempo.

Proprio la mancanza di attaccamento, o per meglio dire di identificazione ideologica, nel proprio sindacato è uno dei temi più critici per la realtà sindacale. Sin da quando sono nati come istituzione, i sindacati hanno avuto tanto successo come strumenti dei lavoratori perché si trattava di associazioni composte dai lavoratori stessi, che si preoccupavano delle criticità gli uni degli altri e si identificavano ideologicamente in una lotta coesa per l’ottenimento di alcuni diritti fondamentali.

Un rapporto che stenta a sbocciare

Per chi conosce e vive la realtà sindacale, non sarà certo una sorpresa. Sono diversi anni ormai che il mondo del lavoro sta subendo cambiamenti epocali e sostanziali, che richiederebbero un altrettanto rapido adattamento da parte dei sindacati stessi. Adattamento che, per ora, procede piuttosto a rilento, o almeno questa è la percezione sempre più diffusa.

Già i numeri danno un’indicazione non certo drammatica, ma perlomeno interessante: la CGIL, sui suoi oltre 5 milioni di iscritti, vanta circa il 17% di giovani (diminuiti di quasi il 5% in pochi anni); in CISL va peggio, con appena l’8% degli iscritti under 30. La situazione generale indica un andamento preoccupante: sono sempre più i giovanissimi lavoratori sottoposti a contratti cosiddetti “atipici”, come ad esempio i part-time.

Questo tipo di contratti, caratterizzati da stipendi bassi e durate brevissime, sono molto diffusi tra i giovani che si interfacciano per la prima volta col mondo del lavoro e per loro stessa natura disincentivano il rapporto con la lotta sindacale. Il sindacato stesso, dal canto suo, ha delle responsabilità: sono diversi i settori in cui questa istituzione è sostanzialmente assente, in quanto concentrata quasi unicamente sul lavoro dipendente, cosa che porta spesso a trascurare categorie numericamente importanti quali rider, partite IVA e i contratti di collaborazione.

Venirsi incontro

Come detto, oggi la maggior parte dei diritti fondamentali sono per lo più garantiti, ma esistono molte realtà dove il rapido mutamento del mondo del lavoro ha portato a derive anche nella vita dei lavoratori, come la nascita di una categoria ampia come quella dei rider o il larghissimo utilizzo che si fa oggi dello smart working.

Ai nuovi temi del mondo del lavoro il sindacato talvolta sa rispondere con efficacia (come nel caso dei rider, ai quali è stato riconosciuto lo status di lavoratori subordinati), ma in alcuni casi le criticità sono molte, come sostiene ancora Bove:

Uno dei periodi più difficili l’abbiamo vissuto in seguito all’inizio della campagna vaccinale. Abbiamo chiesto l’obbligatorietà vaccinale per tutti, perché ci sembrava una misura più sicura, sensata e anche giusta rispetto al green pass, che invece solitamente funge da scaricabarile sul datore di lavoro e poi sul sindacato. Con questa nostra richiesta però abbiamo perso un numero consistente di iscritti, perché molti lavoratori hanno ritenuto che così facendo non stessimo difendendo i loro diritti.

Il “sindacato nella stanza”

La difficoltà sta principalmente nella comunicazione: secondo la percezione generale, non solo dei giovani, il sindacato assomiglia sempre più a un oggetto strano ed estraneo, a una sorta di antico pachiderma“, racconta Roberta Ferrante, rappresentante del settore artigianato e del Laboratorio Giovani.

Nel mio settore lavorano tantissimi giovani, e capita che sia molto difficile raggiungerli. Molti cominciano in nero, che sembra una buona idea per portare spesso a casa qualche soldo in più, ma si tratta di un lavoro in alcun modo coperto, ed è per questo che dobbiamo riuscire a raggiungere i giovani e aprire un dialogo diretto con le persone.

In ultima analisi, l’origine del bias che tanto affligge l’immagine del sindacato è proprio di natura comunicativa: questa istituzione non è soltanto indietro nel processo di rinnovamento richiesto dal rapido mutare dei tempi, ma anche e soprattutto nel far sentire la sua presenza e nel presentarsi come un presidio fondamentale anche e soprattutto in un mondo del lavoro che presenta sfide tanto interessanti quanto insidiose per i lavoratori del domani. Prosegue Ferranti:

Il sindacato dovrebbe riuscire a presentarsi un po’ come un educatore: per riuscire a essere concreti dobbiamo innanzitutto comprendere quali siano le reali necessità dei giovani di oggi nel mondo del lavoro, e questo è possibile soltanto entrando più direttamente in contatto con loro, già nelle scuole.

Un’altra casta?

Sono diverse le voci che accusano l’istruzione pubblica di non fornire agli studenti gli strumenti necessari a orientarsi nel mondo del lavoro che li aspetta finito il percorso di studi. Tra le carenze, spicca la totale assenza di un’educazione al diritto sindacale.

C’è il rischio che gli studenti che intraprendono per la prima volta una carriera lavorativa siano del tutto ignoranti sui diritti che gli spetterebbero: anche per questo molti iniziano col lavoro in nero“. Il problema potrebbe essere risolto se i sindacati fossero più presenti nelle scuole, sostiene convintamente Ferrante, e potrebbero fare un’importante passo avanti nel riguadagnarsi quella credibilità che oggi appare quanto mai minata:

Tanta ideologia, poca sostanza. Così viene visto il sindacato da moltissimi lavoratori, e per certi versi hanno le loro ragioni di crederlo. Tocca a noi ora saperci dimostrare all’altezza delle sfide del futuro, e dimostrare di non essere solo “un’altra casta”. Sono convinta che, con l’inevitabile ricambio generazionale che interesserà anche tutti i sindacati, sapremo tenere il passo.

Maurizio Landini (sx), segretario generale CGIL. Dopo il trasferimento dalla FIOM, ha ricevuto numerose critiche

Futuro incerto (più che mai)

Non è facile comprendere se i sindacati sapranno o meno riconquistarsi la fiducia dei lavoratori, specie di quelli delle nuove generazioni. Lo smart working è già un banco di prova cruciale, così come lo è stata – ed è tuttora – la categoria dei rider, e come lo saranno molte altre a venire. Quello che è chiaro è che, proprio perché esistono queste sfide, il sindacato sarebbe un’istituzione quanto mai utile, un presidio fondamentale che ha il compito di far sì che i diritti sindacali tanto faticosamente conquistati dai lavoratori non vengano sacrificati sull’altare di un progresso frenetico e per certi versi imprevedibile.

Ma è impossibile ignorare il fatto che, perché si mantenga questo ruolo così importante, dev’essere il sindacato in primis a evolversi e compiere un passo cruciale verso i lavoratori di oggi. L’onere di dimostrarsi all’altezza è tutto loro, e resta da capire se sapranno riconquistarsi quella legittimazione popolare che fa la differenza tra un presidio sociale e un'”istituzione-figurina”. Se il 40% degli iscritti è pensionato (dati INPS 2016), significa che quanto fatto fino ad ora non è percepito come sufficiente, e che qualcosa va cambiato. Al di là delle facili speculazioni, capire cosa è la vera sfida, e i millennials stanno a guardare.

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