Nel Kazakistan, negli ultimi giorni, si sono accese pericolose rivolte che hanno spinto la Russia a intervenire. I motivi dietro queste rivolte sono molteplici, ma legate sempre a un unico fattore, cioè quello del gas liquido. Due studiosi russi, hanno cercato di comprendere cosa sia accaduto davvero, attuando studi oggettivi e indipendenti, per questo stimati anche dai circoli putiniani. L’analisi degli studiosi Aleksander Gabuev e Temur Umarov, entrambi specialisti dell’area, ha avuto inizio ricordando che fino ai primi di gennaio, quando è scoppiata la rivolta, il Kazakistan era considerato a Mosca un vero modello politico ed economico, dove l’autocrazia aveva trovato il punto di equilibrio sognato da tutti i governanti.
Il gas liquido
Dal 2 gennaio l’equilibrio è stato distrutto da un ”terremoto” prevedibile, che però ha peggiorato in modo vertiginoso la situazione in Kazakistan. I prezzi del gas liquido sono, in poche ore, raddoppiati e la causa è stata il mercato, non più il governo. In Kazakistan, il 90% dei trasporti e il 70% invece delle abitazioni utilizza il GPL. Ovviamente l’inflazione del carburante ha avuto come effetto collaterale quello di far aumentare anche i prezzi degli alimenti e quindi del resto dei prodotti che riguardano la vita quotidiana.
La pandemia poi, non ha sicuramente facilitato le cose. Le famiglie povere con intenzione di spostarsi nelle città più grandi per avere delle agevolazioni erano impossibilitate a muoversi dalle proprie abitazioni a causa dei lockdown messi in atto nel Paese. Tutto ciò in un contesto di generale calo del prezzo del petrolio che rendeva impossibile al governo intervenire con sussidi e sostegni.
Le rivolte
Questo è il contesto economico per cui inevitabilmente le sommosse hanno avuto inizio. Queste rivolte, però, si erano accese già qualche anno fa. La prima nel 2018 e la seconda nel 2021. La politica si è adeguata all’economia e le motivazioni per cui le sommosse hanno avuto inizio sono sostanzialmente due. La prima motivazione riguarda il presidente ex sovietico Nursultan Nazarbaev a capo del Kazakistan da trent’anni, la rivolta ha fatto cadere il suo regime. La seconda riguarda invece l’intervento delle truppe russe, chiamate dal successore al potere Kasym-Jomart Tokaev. Egli, dopo lo scoppio della rivolta si è appellato al Trattato di Sicurezza Collettiva, più noto con la sigla CSTO, firmato allo scioglimento dell’Urss, nel 1992, e del quale oggi fanno parte sei membri: Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan.
Il sì di Putin
Come mai Putin ha accettato di aiutare il Kazakistan? Il Trattato non veniva utilizzato da anni, ma nonostante questo il Presidente russo, non ha avuto problemi a mandare duemila soldati russi ai
In Kazakistan è stato portato un vero attacco allo Stato e che quelle iniziate come proteste pacifiche contro l’aumento dei prezzi del gas si sono rapidamente trasformate in violenti disordini e atti di terrorismo che non sono né il primo né l’ultimo tentativo di intromettersi nella regione dall’estero.
Il ruolo di Tokaev
Per quanto riguarda ciò che è successo all’interno del regime kazako, Tokaev, durante le sommosse, ha cercato senza dubbio di beneficiare della sua posizione, chiamando a sé persone di cui si fidava ed eliminando tutte quelle che erano vicine al vecchio presidente. Tutto questo ha portato una rivoluzione anche all’interno del governo, distruggendo completamente il vecchio regime e modernizzando quello nuovo. Sicuramente il nuovo rapporto Putin-Tokaev sarà fondamentale per mantenere un equilibrio duraturo di cui beneficerebbero entrambi i Paesi.
Questione Russia-Ucraina
Sicuramente la situazione di tensione tra Russia e Ucraina è stata una dei motivi per cui la Russia è intervenuta per calmare le sommosse in Kazakistan. Ma come mai? Tra Russia e Ucraina ci sono molte questioni irrisolte fin dal crollo dell’Unione Sovietica. L’Ucraina, durante gli ultimi anni, ha cercato in tutti modi di trovare una propria autonomia da Mosca, nonostante la capitale russa volesse a tutti i costi che Kiev rientrasse nella sua sfera di influenza. Kiev ha sempre avuto importanza per Russia, sia per le sue risorse, ma anche per regioni storiche. Con il passare del tempo però, uguale
La NATO
La NATO non si espanderà a est, soprattutto in repubbliche e territori che facevano parte dell’URSS. L’Alleanza Atlantica non vuole né può formalizzare un impegno del genere. Per Putin, più che una questione di sicurezza, è un punto ideologico, perché considera quell’Alleanza come il “piede” degli Stati Uniti in Europa e il cardine di un’architettura di sicurezza europea che non riconosce alla Russia un diritto a una sfera d’influenza nel continente. Per questo la “situazione gas” è molto delicata. Da una parte ci sono gli Stati Uniti che si propongono come principali esportatori di gas e petrolio, mentre dall’altra parte c’è la Russia che attraverso il nuovo gasdotto Nord Stream 2, che passa per il Mar Baltico, trasporta direttamente il gas proveniente dalla Russia in Germania e quindi in Europa occidentale.
Il gas russo per l’Europa
La Russia fornisce un terzo dell’intero fabbisogno di gas naturale (450 miliardi di metri cubi, di cui 75 per l’Italia) all’Europa ogni anno. Nel caso in cui ci fosse un’invasione da parte della Russia in Ucraina, il Cremlino potrebbe decidere di interrompere queste forniture come ritorsione nei confronti della UE, se Bruxelles dovesse sanzionare la Russia a seguito dell’invasione.
L’Europa potrebbe sostenere un blocco del gas? Se l’inverno continuerà a essere così mite, probabilmente sì, grazie anche ai rifornimenti di gas naturale liquido che arrivano via cargo, spinti dagli Stati Uniti. Il problema potrebbe però presentarsi nei porti europei, se non riusciranno a sostenere un flusso così importante di gas.
Le conseguenze
La situazione rimane per adesso in equilibrio, ma più tempo si aspetterà, più potranno crearsi delle incomprensioni all’interno dei governi. Importante la possibilità che si concretizzi l’accordo di Minsk firmato nel 2014 da Russia, Ucraina, Germania e Francia, che richiede al governo di Kiev di permettere più autonomia costituzionale alle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Questo permetterebbe alla Russia di mantenere un controllo indiretto su quei territori e, quindi, anche di limitare la possibilità che un giorno l’Ucraina entri nella Nato.
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