Da ben 78 anni attendiamo una risposta: chi ha tradito Anne Frank? Il libro di Rosemary Sullivan, edito da Harper Collins, mostra i risultati dell’indagine che hanno portato a identificare il delatore nel notaio ebreo Arnold van den Bergh.
Anne Frank: vittima dell’orrore nazista
Il diario di Anne Frank ha inizio nel giugno del 1942. A quel tempo la vita di Anne presenta ancora una lontana somiglianza con la vita di una qualunque ragazzina della sua età. Va a scuola, studia la mitologia greca, esce con le amiche, affronta i primi approcci con i ragazzi, pensa al futuro e a quello che vorrebbe fare da grande. Ma siamo ad Amsterdam, in un’Olanda già in mano ai tedeschi. Alla giovane età di tredici anni, Anne conosce alla perfezione il linguaggio dei perseguitati: sa che devono portare la stella giudaica, che possono frequentare posti riservati solo “alla gente come loro” e che non possono prendere i tram. Ma la guerra, le privazioni, i tedeschi e il pericolo, tutto questo Anne nel giugno del ’42 può ancora permettersi di dimenticarlo. Ma solo qualche volta.
Una vita spezzata
“Cara Kitty, da domenica mattina sembra che siano passati degli anni. Sono avvenute tante cose da far credere che il mondo sia capovolto”. Così scrive Anne l’8 luglio del 1942, un mese dopo l’inizio del diario. Il giorno dopo, la famiglia Frank, la famiglia Van Pels e il dentista dottor Pfeffer saranno costretti a rinchiudersi in un appartamento segreto dell’edificio della Prinsengracht 263, sede della società Opekta Pectacon. In quella casa vi rimarranno per due anni e trenta giorni fino al 4 agosto 1944 quando, verso le 10:30, una macchina della polizia tedesca fa irruzione nell’alloggio segreto. Tutti i clandestini furono arrestati e condotti in campi di concentramento tedeschi e olandesi. Anne morì nel marzo del 1945, nel campo di concentramento di Bergen Belsen, due mesi prima della liberazione dell’Olanda. Del gruppo, solo Otto Frank, il padre di Anne, riuscì a tornare a casa.
L’inizio delle indagini
Nel luglio del 1947 venne avviata un’indagine per scoprire i colpevoli della delazione. Quella della Pra (Politieke Recherche Afdeling, Dipartimento investigativo politico della polizia) fu la prima investigazione che mise sotto accusa il magazziniere della ditta, il signor Willem van Maaren. Ma nell’aprile del 1948 l’uomo fu assolto per mancanza di prove certe che decretassero la sua colpevolezza. Da questo momento, grazie alla popolarità che riuscì a ottenere il diario, le indagini proseguirono, ma senza mai giungere a una risposta che non fosse una mera ipotesi.
Finalmente una rivelazione
Il libro scritto dalla poetessa e biografa canadese Rosemary Sullivan, Chi ha tradito Anne Frank?, ci consegna una risposta definitiva alla domanda. Sullivan ha svolto un’indagine unica, sia per il numero di ricercatori coinvolti che per le tecniche usate, che ha consentito di creare un archivio di dati raccolti con un programma di intelligenza artificiale. Sono stati studiati migliaia di documenti, ritracciate testimonianze e intervistati i discendenti di tutte le persone che conoscevano i Frank o che avevano avuto rapporti commerciali con la ditta di Otto. Dopo cinque anni di lavoro sono arrivati a identificare quattro possibili responsabili. Tra tutti gli indagati possibili, però, il notaio ebreo Arnold van den Bergh rimaneva quello più plausibile.
Chi era Arnold van den Bergh?
Ricco e rispettato, Arnold van den Bergh era riuscito a farsi inserire nella lista del tedesco Hans Georg Calmeyer che, ufficialmente, dichiarò la sua non appartenenza alla “razza ebraica”. Per questo, nonostante i decreti presi dalle autorità naziste, egli riuscì a mantenere la sua professione fino al 1943, quando un collega lo denunciò alle SS. È probabile che l’uomo, nel tentativo di mettere in salvo se stesso e la moglie (le figlie erano già al sicuro), offrì alla polizia tedesca un certo numero di ebrei nascosti, tra cui quello dei Frank.
Arnold Van der Bergh: vittima o carnefice?
I motivi che spinsero quell’uomo a sporgere la denuncia che costò la vita a sette persone possono essere molti. Tutti sicuramente ignobili e ingiustificabili, ma forse lontanamente comprensibili nell’ottica del periodo che fu quello delle persecuzioni naziste. Non sta a noi, che non abbiamo mai conosciuto gli orrori della guerra in modo diretto, stabilire la gravità dell’azione con un giudizio morale che non potrebbe mai calarsi nei panni di un uomo che fu vittima e carnefice allo stesso tempo. Ma forse può essere utile ricordarci la frase di Levi:
È ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema demoniaco, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario esso le degrada, le sporca, le assimila a sé.
Luci e ombre sull’opera
Per quanto il libro sia ben fatto e riesca nell’impresa di rispondere alla domanda che abbiamo atteso per oltre settantotto anni, fornendoci anche elementi utili per comprendere il tragico contesto storico in cui avvenne il fatto, c’è chi lo critica. John Goldsmith, presidente della Fondazione Anne Frank, creata dal padre alla fine del conflitto, accusa il libro di non contenere alcuna prova. Secondo la sua prospettiva, l’opera è piena di confusione e contribuisce a “disseminare una tesi che agli occhi del pubblico diventa un fatto” perché alla fine quello che resta è che “un ebreo ha tradito un ebreo”. La tesi principale del libro, infatti, si baserebbe su una lettera anonima pervenuta a Otto Frank dopo la guerra di cui è andato perso l’originale.
Una trovata commerciale?
Non ci sono prove che il Consiglio ebraico, di cui faceva parte Van der Bergh, avesse una lista degli ebrei nascosti ad Amsterdam. Allo stesso modo è quasi impossibile che un ebreo abbia ottenuto la libertà in cambio di indirizzi sulla localizzazione di altri ebrei. Dopo che il Consiglio fu abolito, molti dei suoi componenti furono catturati o costretti alla fuga. Lo stesso Van der Bergh rimase nascosto fino al 1944, l’anno in cui Anne fu scoperta e deportata. Se avesse denunciato la famiglia Frank sarebbe dovuto uscire allo scoperto e questo era proprio quello che voleva evitare. La storia della lista di nomi, della lettera anonima e del possibile tradimento va collocata in un contesto di comprensibile risentimento nei confronti di quella che molti, un tempo, avevano definito patria: l’Olanda.
Ma un colpevole esiste?
È probabile che il vero colpevole della “soffiata” non si saprà mai e che la domanda che ci tormenta non troverà mai una risposta definitiva. Molti definiscono questa indagine una trovata commerciale, più che una rivelazione storica degna di attenzione. Tuttavia, focalizzarci sulla ricerca di un colpevole rischia di farci dimenticare il valore umano della testimonianza di una ragazza che, nel pieno del periodo più oscuro della storia umana, riesce a guardare al futuro e riservare speranza in esso. Parole come queste dovrebbero risuonare fulgide nella mente di chi ha l’ardire di paragonare la situazione contemporanea con quella di settant’anni fa. Pochi giorni prima della sua cattura, Anne scrisse ciò:
è un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nella bontà dell’uomo.
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