“Il femminismo è una malattia mentale”, questo è uno degli slogan che stanno spopolando in Corea del Sud. L’antifemminismo ha infatti una lunga storia in Corea del Sud e sta prendendo piede nel Paese tra le fasce di popolazione più giovane. A conferma di questo dato c’è una ricerca svolta a maggio dello scorso anno secondo cui il 77% degli uomini sui vent’anni e il 73% degli uomini sui trent’anni si sentivano “respinti” dal femminismo e dalle femministe.
Una guerra di genere
Negli ultimi anni i movimenti femministi hanno ottenuto importanti risultati, scendendo in piazza a sostenere manifestazioni come quella sul diritto di aborto, sulle molestie e sulla parità di genere. Parallelamente, però si sono consolidati anche movimenti antifemministi secondo cui sia in atto una cospirazione tra le femministe, i governi e le aziende per emarginare gli uomini.
A maggio dello scorso anno, nel mirino degli antifemministi c’è stata una grossa catena di minimarket. La “colpa” che le è stata attribuita è stata quella di aver promosso la pubblicità di una mano che tra pollice e indice pizzica una salsiccia. Il gesto, che dimostra che una cosa è piccola, è stato però interpretato diversamente, ovvero come un codice femminista, creato per ridicolizzareil pene degli uomini.
Da quel momento molte altre aziende sono state criticate. L’azienda Smilegate, che si occupa di videogiochi, è stata criticata perché nel gioco Lost Ark è presente l’icona delle due dita. La conseguenza è stata il licenziamento del responsabile del marketing e il ritiro della campagna pubblicitaria, scusandosi con gli uomini che si sono sentiti offesi.
Anche alcuni governi locali sono stati travolti dalla protesta. Il comune della città di Pyeongtaek ha dovuto cancellare un’immagine caricata su Instagram, il cui scopo era quello di avvisare di un improvvisa ondata di caldo. L’immagine in questione raffigurava un contadino che si asciugava la fronte. Lo scandalo è dovuto al fatto che secondo gli antifemministi era presente il simbolo delle due dita.
Il divario esistente
La Corea del Sud è un Paese conservatore e patriarcale, inoltre il divario salariale è molto sentito. Solo il 5% delle donne si siedono nel consiglio di amministrazione di società quotate in borsa. Dopo il parto sono spesso costrette a lasciare il lavoro.
Senza parlare poi del problema ben più radicato delle molestie. Nel Paese è diffusa una particolare forma di molestia, ovvero quella di filmare le donne con delle telecamere nascoste nei bagni pubblici, per poi diffondere il materiale senza il loro consenso. La cosa più preoccupante è che nella stragrande maggioranza dei casi, la legge non punisce questa violazione ma viene spesso semplicemente archiviata dai tribunali.
Negli ultimi anni, le proteste femministe hanno raccolto molti consensi, soprattutto sulla scia del #metoo. Sono state organizzate molte proteste contro tutte le forme di violenza maschile, contro il femminicidio in primis, formando inoltre il primo partito delle donne del Paese, che l’anno scorso ha formalmente presentato alla Corte Costituzionale la domanda per la caduta del divieto di interruzione volontaria della gravidanza, in vigore dal 1953. Uno dei movimenti che ha riscosso molto successo è stato quello in cui venivano sfidati gli ideali di bellezza rinunciando al trucco e ai capelli lunghi.
Gli uomini che rientrano nella fascia d’età tra i venti e i trent’anni hanno sviluppato invece un senso di rifiuto delle battaglie femministe e ciò li ha portati alla formazione di gruppi secondo cui oggi la società sta diventando ingiusta per loro, facendoli sentire vittime di un complotto, che li vuole vedere in una posizione di inferiorità. Ogni volta che è stata organizzata una manifestazione contro i pregiudizi di genere o la violenza sessuale, questi gruppi di uomini hanno prontamente organizzato una contro-manifestazione con un seguito molto numeroso su internet.
Il femminismo in Corea del Sud
Il movimento femminista in Corea del Sud è nato dalle lotte delle lavoratrici per i sindacati democratici. Si è sviluppato nel corso del ‘900 inizialmente aderendo attivamente alle lotte nazionaliste e formando delle organizzazioni segrete sotterranee. Principalmente chiedevano l’indipendenza nazionale in risposta al colonialismo giapponese.
Successivamente, il movimento femminista coreano, tra gli anni ’60 e gli anni ’90, ha iniziato a combattere per la liberazione dall’oppressione del lavoro forzato. Occupazione in cui si vedevano costrette con condizioni lavorative disumane. Si parla per esempio di dormitori situati nelle stesse fabbriche, in cui loro venivano costrette a dormire su materassi condivisi, salari bassi e molestie sessuali.
Sempre in quel periodo storico, diverse donne testimoniarono di essere state rapite dai soldati giapponesi. Costrette a far parte dei corpi di prostitute creati dall’Impero giapponese, le cosiddette “Confort women”. Secondo varie testimonianze, le giovani donne venivano ingannate promettendo loro un lavoro fittizio. Una volta reclutate venivano incarcerate in “centri di conforto” e deportate in Paesi stranieri.
Il femminismo oggi
Oggi, in Corea del Sud, il femminismo si è ramificato in due diversi tipi: quello radicale e quello riformista.
Entrambi i gruppi si concentrano sulla modifica del ruolo della donna nella società. Il movimento riformista è fiducioso che le leggi che verranno approvate nel corso degli anni andranno via via a modificare e a migliorare la società. Una società che storicamente è sempre stata patriarcale. Il culmine del movimento riformista è stato raggiunto nel 1991, quando è stata modificata la legge secondo cui quando due genitori avessero divorziato i figli avrebbero dovuto obbligatoriamente andare a vivere con il padre.
Il movimento radicalefemminista, invece, si schiera maggiormente a favore del potenziamento dei diritti umani. Si concentra perlopiù sulla riunificazione con la Corea del Nord e la salvaguardia dei prigionieri di guerra, ma anche sulla libera scelta di evitare le tradizionali aspettative della società sudcoreana. Il movimento in questione, si fonda sui “quattro no”: no al matrimonio, no ai figli, no al sesso e no agli appuntamenti. Secondo i sociologi, il cosiddetto “femminismo della quarta onda” vuole dar voce a un malessere perpetrato nel corso degli anni di quella che è stata un’oppressione patriarcale.
Si teme il matriarcato
I gruppi antifemministi associano il femminismo alla misandria, cioè all’odio nei confronti degli uomini. Essi infatti pensano che le donne che chiedono il diritto all’aborto siano delle distruttrici della famiglia, affermando inoltre che hanno ottenuto sufficienti diritti nel corso degli anni e lamentandosi del fatto che loro sono obbligati alla leva militare mentre le donne ne sono esentate. La cosa preoccupante è che così facendo sono riusciti non solo a orientare a proprio favore le scelte di diverse aziende, ma hanno anche diffamato e denigrato, per esempio, l’arciera sudcoreana che ha vinto tre medaglie d’oro a Tokyo perché porta i capelli corti. Inoltre hanno richiesto la rimozione del ministero della famiglia e delle pari opportunità.
Sembrerebbe che tutto questo accada perché gli uomini di vent’anni si percepiscono come vittime, obbligati a “pagare il prezzo” di discriminazioni che interessavano le generazioni precedenti. La donna è stata per lungo tempo vista come un essere bisognoso di protezione, mentre oggi è una più che qualificata avversaria nel mercato del lavoro.
Questo clima intimidatorio sta rallentando le lotte femministe, scoraggiando la manifestazione del proprio pensiero pubblicamente. “Femminista è diventata una parola così sporca che le donne che portano i capelli corti o che portano in giro il romanzo di una scrittrice femminista rischiano l’ostracismo”, in questo modo ha riassunto questo concetto Lee Hyo-lin del «New York Times».
La violenza sulle donne, le molestie, gli abusi, sono universalmente condannati, e spesso assistiamo a iniziative che cercano di sensibilizzare la società […]