Cimitero

Anche la morte cambia: le nuove frontiere della sepoltura

Che la morte sia quanto di più perturbante esista non è certamente una novità. A volte neppure si riesce a enunciare l’ammissione definitiva della finitezza umana, sostituendo il troppo estremo “è morto” con il più digeribile “se ne è andato”. Lo stato delle cose non cambia, ma almeno la seconda dicitura risulta socialmente accettabile e più empatica.

Eppure al contempo è difficile lasciare andare i nostri morti. Ricorrenze religiose ci ricordano la presenza di chi non c’è più, mentre i cimiteri sono sempre frequentati anche da coloro che non condividono le credenze della religione cristiana. In questa strana dinamica culturale di allontanamento dalla morte e incapacità ad abbandonare i simulacri dei defunti si inserisce il momento più potente e difficile di tutti: quello della sepoltura.

Nuove frontiere nel rapporto con la morte

Lo scorso mese Desmond Tutu, eroe dell’emancipazione dei neri in Sudafrica e vincitore del premio Nobel per la pace nel 1984, ha richiesto di essere cremato attraverso l’innovativa tecnica dell’acquamazione. Si tratta di un processo di cremazione che non prevede l’utilizzo dell’ormai fuori moda fuoco per bruciare il corpo del defunto, ma di una soluzione di idrossido di potassio portata alla temperatura di 90-160 gradi centigradi.

Desmond Tutu
Desmond Tutu

Il nome più corretto per questa tecnica sarebbe “cremazione acquatica”. Il corpo viene inserito in un silos di acciaio inossidabile, poi riempito d’acqua. La tecnologia presente nella capsula è in grado di pesare il corpo e quantificare quanto idrossido di potassio sia necessario per completare la soluzione alcalina all’interno della quale sarà sciolto il corpo.

A questo punto il silos comincia a riempirsi e l’acqua viene portata alla temperatura di 152°C. In queste condizioni i tessuti si scompongono nel giro di novanta minuti, ma spesso ne bastano appena sessanta. Successivamente l’acqua viene fatta defluire, lasciando nel silos soltanto le ossa del defunto. Queste vengono opportunamente asciugate, polverizzate e consegnate ai famigliari all’interno di un’urna.

Nuove tecniche per nuove esigenze

Per capire la cultura di un certo popolo, l’osservazione delle tecniche di sepoltura costituisce un punto di partenza fondamentale. Molto spesso le modalità attraverso le quali una civiltà tratta i propri defunti è un indice importante del rapporto con la vita e con la morte che la civiltà stessa possiede.

Dagli etruschi ai micenei, dalle religioni orientali all’antica Roma: per lungo tempo il legame tra vita terrena e ultraterrena è stato segnalato con sontuose tombe, riti funebri complessi e corredi che accompagnassero il defunto nell’aldilà. Oggi non ci verrebbe mai in mente di decorare un tomba come una casa all’interno della quale continuerà a vivere il nostro caro venuto a mancare (come facevano gli etruschi), ma certamente l’insorgere di nuove esigenze sta variando il nostro modo di concepire la sepoltura.

Desmond Tutu sembra aver optato per questa innovativa tecnica di cremazione attraverso l’acqua per via della sua missione ecologica. Il vescovo sudamericano aveva infatti dedicato gli ultimi anni della sua vita all’impegno per un’esistenza più sostenibile, tanto che il reverendo Michael Weeder, decano della cattedrale di San Giorgio a Città del Capo che ha ospitato i funerali di Tutu, ha dichiarato che abbandonare la vita terrena in un modo poco impattante sull’ambiente “era ciò a cui aspirava un eco-guerriero come lui”.

I risvolti positivi dell’acqamazione

La questione ambientale è certamente uno dei temi più battuti degli ultimi anni: trasformazioni climatiche preoccupanti, scioglimento dei ghiacciai e centinaia di specie animali a rischio estinzione hanno costretto l’umanità a guardare in faccia i problemi legati allo sfruttamento incontrollato delle risorse. Questa nuova sensibilità verso l’ambiente ha investito molti aspetti della vita umana, dagli incentivi sulle auto elettriche alle nuove forme di energia rinnovabile, dal corretto smaltimento dei rifiuti alle abitudini di molti durante la spesa. Anche i processi di sepoltura si potrebbero inserire in questi piccoli cambiamenti della quotidianità al fine di rendere l’esistenza umana più compatibile con il pianeta Terra.

Con l’acquamazione è possibile impattare meno sull’ambiente in primo luogo perché, come anche con la cremazione tradizionale, si evita lo sfruttamento dei terreni per la costruzione di cimiteri. A differenza delle vecchie tecniche crematorie inoltre l’acquamazione permette di recuperare apparecchi medici come peacemaker e protesi che se bruciati libererebbero mercurio nell’aria. A questo si aggiunga infine che per la cremazione acquatica necessita dell’appena 10% dell’energia richiesta per bruciare i resti mortali di una persona, risparmiando all’ambiente una notevole quantità di gas serra.

Il volto moderno della morte

Al di là delle innovazioni legate allo sviluppo di nuove esigenze e all’acuirsi di certe sensibilità culturali, sembra esserci una costante nel rapporto umano con la morte: il rifiuto di concepire fino i fondo la finitezza della vita ci porta a un tentativo di trattenere con noi i nostri defunti, tramite oggetti, riti, tombe e ricorrenze.

morteNon si tratta ovviamente soltanto di tenere in vita il ricordo di una persona cara, ma di prolungare la sua esistenza tramite il mantenimento di beni materiali capaci di rievocarla nelle nostre giornate. Addirittura negli ultimi anni si è diffusa la pratica attraverso la quale ottenere un diamante dalle ceneri dei defunti, in modo da trasformare la morte in un prezioso amuleto eterno e indistruttibile. In questa condizione di oggetti a imperitura memoria dei defunti si inseriscono pienamente i social.

Ad oggi pare che esistano circa trenta milioni di account che appartenevano a persone ora decedute: un vero e proprio cimitero digitale i cui dati non possono essere mai davvero rimossi o eliminati. Il defunto dunque continua a vivere nella rete come un fantasma di cui ancora si possono leggere i pensieri e gli eventuali “buongiornissimo”, con tutte le difficoltà annesse alla distinzione tra un account poco attivo e quello di una persona morta.

E con la pandemia?

I carri militari che trasportano centinaia di bare fuori dalla città di Bergamo, l’impossibilità di tenere le mani dei nostri cari durante le loro ultime ore, le regole contro i contagi che non permettono di frequentare le chiese per salutare i defunti se non a pochissimi parenti stretti. La pandemia ha evidentemente scosso il nostro tipico approccio alla morte, fatto di funerali in cui la vicinanza alle altre persone che soffrono è fondamentale, di una tomba a ricordo del defunto, di una lenta discesa verso l’accettazione – comunque sempre parziale – che una vita è giunta al suo termine.

tombaNel periodo più buio della pandemia tantissimi figli, sorelle, fratelli hanno perso i contatti con le compagnie che dovevano occuparsi della sepoltura dei loro parenti, ritrovandosi nella dolorosa condizione di non sapere neppure dove fosse la salma del padre, della madre o del fratello e di non avere quindi neppure una preziosa tomba su cui piangerli. Il Covid-19 ci ha costretti, almeno per un periodo, all’eventualità di non poter contare su un funerale per dare l’ultimo addio a una persona a cui volevamo bene, a non poterci abituare lentamente alla mancanza di un nostro caro, a doverci stringere nel dolore di una perdita senza manifestare le lacrime davanti ad una tomba.

Ogni cambiamento nella storia sembra lasciare traccia nel rapporto dell’uomo con la morte. Oggi come ieri le riflessioni e le tecniche legate alla sepoltura dei nostri cari costituiscono una chiave di lettura per interpretare il modo con cui la nostra società si adegua alle grandi sfide della sua contemporaneità.

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