Viviamo senza alcun dubbio in un periodo di cambiamenti ed evoluzioni. Alle volte minori, altre volte più importanti, piacevoli, destabilizzanti e in molti campi diversi.
Generalmente si tende a pensare, partendo dagli eventi più recenti, alla pandemia Covid-19, alla DaD, alle più recenti elezioni in politica, i vari presidenti che si sono succeduti (ad esempio Trump-Biden). Andando ancora oltre si potrebbe pensare alle più o meno recenti evoluzioni tecnologiche: dall’ultimo modello di un qualche telefono o sistema. In tutto questo non ci si rende sempre conto di altri tipi di cambiamento: quelli sociali e mentali.
Uno di questi riguarda il principio di autorità, che sembrerebbe star affrontando una crisi.
Cos’è il principio di autorità?
Innanzitutto bisogna capire cosa sia il principio di autorità. In breve, si tratta del principio in virtù del quale determinate teorie, affermazioni o dottrine godono di prestigio e validità per il prestigio di chi le formula e non solo per le loro proprietà intrinseche.
Nel ventesimo secolo James Coleman definì l’autorità “come quel rapporto sociale che nasce dal diritto di ogni essere umano di controllare il proprio comportamento e dal diritto di trasferire ad altri tale diritto”. Si tratta di un meccanismo di duplice natura: da una parte c’è qualcuno (o qualcosa) che esercita autorità, dall’altra qualcuno che la riconosce come legittima, ed è questo concetto di legittimità a fare la differenza tra giochi di potere non consensuali.
Ci si confronta con il concetto di autorità in moltissimi aspetti della vita quotidiana, costantemente. Pensiamo alla famiglia, alla scuola o al lavoro, ad esempio.
L’esempio della famiglia
Partendo proprio dalla famiglia, la struttura patriarcale e piramidale che storicamente la caratterizzava va sempre più sfumandosi. Innanzitutto gli equilibri di genere stanno evolvendo: c’è maggiore parità tra uomini e donne – indipendentemente che si tratti di moglie e marito, fratello e sorella, madre figlio, padre figlia o altro – tendenzialmente tutti e tutte lavorano o hanno diritto allo studio. Gli stili di vita, le abitudini e ritmi cambiano. Fortunatamente sempre meno donne dipendono al 100% da un uomo (compagno o genitore che sia) e stanno nascendo sempre più sportelli di aiuto per chi si trova in situazioni complesse e delicate.
La famiglia non si limita più alla struttura tradizionale eterocisnormativa, moltissime famiglie al giorno d’oggi sono composte da due donne, da due uomini, da persone non binarie, non necessariamente includono figli e non necessariamente sono monogame. Il concetto di famiglia si sta facendo sempre più astratto e connesso all’amore, al sentimento, più che ai legami di sangue, parentela o a obblighi e abitudini culturali.
Ovviamente si parla di una messa in discussione di una struttura ben affermata che è ancora in corso, per questo è ancora semplice trovare coloro che si oppongano a determinate scelte, realtà o che vogliano negare diritti a persone e nuclei familiari, solo perché non rispecchiano il modello più tradizionale, che può venir percepito come più “semplice”.
La famiglia e i genitori sempre più perdono la figura di “padroni dei figli”, diventando guide, fari. Sempre più spesso si parla di lasciar andare qualcuno se lo si ama, di rispettare le scelte di chi si ama anche quando non le si comprende o condivide e questa è la piega che sempre più famiglie giovani stanno prendendo. Il controllo e il potere stanno, molto lentamente, lasciando il posto al dialogo e all’amore.
L’ambito della scuola e del lavoro
Nell’ambito scolastico e lavorativo è molto più semplice e intuitivo il processo tramite il quale individuare le dinamiche di potere e la figura autoritaria.
Nel primo caso abbiamo la figura del/della docente come autorità. Si tratta della figura che non solo ha l’incarico di formare la classe, ma è anche la persona che decide come andrà la giornata e quale sarà l’esito dei compiti, e il modo in cui fa tutte queste cose ha un impatto diretto e duraturo su studenti e studentesse.
Spesso quando un/a docente manca di autorità, in gergo spesso si dice “non sa tenere la classe”, non riesce a insegnare e a mantenere un’atmosfera serena e rispettosa nella classe perché non viene percepita la sua autorità. Coloro che invece riescono a trasmettere questa idea e sensazione di autorità difficilmente vanno incontro alle sopramenzionate difficoltà.
Anche i parametri tramite i quali un/a docente si può considerare autorevole stanno cambiando, però. Un tempo c’erano le punizioni corporali, le umiliazioni, si alzava la voce. Ora moltissime di queste cose sono fortunatamente vietate o mal viste e spesso la classe si affeziona e rispetta il/la docente che sa comunicare, insegnare, appassionare, che comprende le loro necessità e passioni e che mostra un lato più umano.
In ambito lavorativo, tradizionalmente, questa figura è incarnata dal datore di lavoro o dal superiore. Ovviamente lì in ballo ci sono anche altre questioni, quali quella economica. Ma la dinamica di fondo è simile.
Come ha resistito fino ad oggi?
Per moltissimo tempo sono stati titolo e posizione a dare lustro a qualcuno e di conseguenza a quanto dicesse. Ora sempre più spesso si mette in discussione (o si risponde a tono) quanto detto da un genitore, da un/a docente, da un/a superiore sul posto di lavoro.
In altri periodi storici, in cui magari il livello di alfabetizzazione e la situazione economica generale erano differenti da quelli odierni, se qualcuno occupava una determinata carica o deteneva certi poteri era quasi in automatico riverito e rispettato. Tutto ciò che questa persona poteva dire veniva dato per buono e verosimile, perché cosa potevano saperne coloro che non avevano studiato o che vivevano in altri contesti?
In parte è un ragionamento comprensibile, chiaramente. C’è una logica dietro. Bisogna però fare attenzione a screditare o prendere subito per vera una notizia solamente in base alla fonte dalla quale proviene, per quanto autorevole possa essere o sembrare.
I limiti del dare fiducia
Ovviamente se si stanno cercando diagnosi o informazioni in ambito medico, saranno probabilmente più sicure e accurate quelle provenienti da medici o personale sanitario, ma bisogna sempre contestualizzare. Facendo un esempio: moltissime persone contrarie ai vaccini per il Covid-19, le cosiddette no-vax, sfruttano posizioni di medici (spesso radiati dall’albo) no-vax per avvalorare le proprie tesi. Il ragionamento è “se lo dice un medico, che ha studiato e ne sa più di me, deve necessariamente essere vero”.
Di base, parlando di competenze – soprattutto se tecniche – non è un ragionamento sbagliato. In caso di un incontro tra politici con lingue madri diverse si preferirà una persona laureata in interpretariato a un passante che ha studiato una di quelle due lingue alle elementari, ad esempio.
Bisogna però sempre utilizzare un minimo di senso critico e soprattutto contestualizzare, non fondere sempre e comunque il prestigio (meritato o meno che sia) di un individuo con la veridicità o legittimità di quanto dice.
Grazie ai recenti mezzi di comunicazione, al cadere di determinati tabù e al modificarsi di vari equilibri sociali, questa idea di autorità – ergo il principio di autorità – stanno lentamente iniziando a essere messi in discussione. Si iniziano a notare le lacune, i potenziali rischi dell’applicarlo indistintamente a tutto e tutti/e senza differenziare laddove serva.
Il principio di autorità può essere un metodo utile per leggere in maniera più rapida determinati fenomeni ed inserirli in certi contesti, non necessariamente si tratta del male assoluto.
Forse la risposta a questa evoluzione giace nell’equilibrio, nella giusta misura nella quale si comprenda, caso per caso, quando sia più o meno sensato limitarsi solamente a quello o andare oltre.
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