Una sgocciolante tela bagnata ricopriva l’intero pavimento. Pollock guardò il dipinto. Poi, inaspettatamente, raccolse barattolo e pennello e iniziò a muoversi attorno al quadro. Era come se avesse improvvisamente realizzato che non era ancora finito. I suoi movimenti, dapprima lenti, diventarono via via più veloci e più simili ad una danza mentre scagliava pittura colorata di bianco, nero e ruggine sulla tela. Si dimenticò completamente che Lee ed io eravamo lì… In tutto quel tempo Pollock non si fermò. Come può una persona mantenere questo livello di attività? Alla fine disse: “Ecco fatto”.
Hans Namuth
Biografia di un’anima tormentata
Paul Jackson Pollock nasce a Cody, nel Wyoming, il 28 gennaio 1912. Dopo aver seguito la sua famiglia nel Mountain West in California, a San Diego e in Arizona, nel 1925 si trasferisce a Los Angeles. Qui frequenta la Manual Arts School, dove conosce l’artista Philip Goldstein, ma è solo nel 1930 che si trasferisce a New York dove si iscrive all’Art Student League. Qui segue le lezioni di Thomas Hart Benton, il quale gli insegna i fondamentali necessari per eseguire la pittura murale. Sono anni difficili dal punto di vista economico per gli Stati Uniti, mentre la pittura sta vivendo una stagione molto produttiva grazie l’esecuzione di numerosi dipinti murali da parte José Clemente Orozco, Diego Rivera e lo stesso Benton.
Il 1935 è il primo anno di svolta per Pollock, in quanto l’arte inizia ad offrirgli qualche guadagno. Egli prende parte al Federal Art Project della World, il programma ideato da Roosevelt per aiutare il mondo della cultura, colpito dalla Grande Depressione. Pollock partecipa regolarmente e, grazie ai suoi guadagni, può prendere casa e sistemarsi. In questo periodo incontra la pittrice americana Lenore Krassner – che si firma con Lee Krasner, per mimetizzarsi con un nome da uomo, in tempi di fervido maschilismo – la quale introduce Pollock negli ambienti artistici di New York. Infatti, nel 1942, entrambi vengono invitati alla mostra American and French Painting alla Mc Millen Gallery.
Durante la guerra il WPA chiude, e Pollock si trova di nuovo senza punti di riferimento. Le sue opere di matrice surrealista interessano però Peggy Guggenheim, che si trova a New York dal 1941, la quale apre la galleria Art of This Century, non lontano dal museo dello zio Solomon, Il Museum of Non-Objective Painting. Negli spazi della Guggenheim, Pollock nel 1943 ha finalmente la sua prima personale, costituita da quindici quadri e molte opere su carta.
Nel 1947 inizia il periodo che è considerato l’apice della sua carriera. Pollock è in mostra con la quarta personale nella galleria di Peggy Guggenheim, l’ultima, perché la gallerista ha deciso di trasferirsi a Venezia. Nello studio di Long Island, Pollock modifica la sua pittura in quanto, dalla gestione del quadro in senso surrealista, arriva alla tecnica che contraddistingue i suoi quadri più famosi.
Perso l’appoggio nella galleria della Guggenheim – anche se sarà lei a presentare Pollock per la prima volta in Europa, in occasione della Biennale del 1948, dandogli la fama di cui ancora oggi egli gode – Betty Pason è l’unica a New York a prendersi il rischio di presentare le tele di Pollock. Nonostante nella sua galleria ci siano artisti del calibro di Newman, Rothko, Reinhardt e Tomlin, il lavoro di Pollock non decolla nel collezionismo. Infatti, nel 1952, egli passa alla galleria di Sidney Janis la quale è più in contatto con Peggy Guggenheim, e che gli consente di avere maggiore visibilità e guadagni.
Tuttavia, la vita del padre dell’Espressionismo Astratto è macchiata da alcolismo e problemi psichici, che fanno di lui un artista apparentemente senza idee. L’abuso di alcol è anche la causa della sua morte, avvenuta in un incidente stradale l’11 agosto del 1956. Ironicamente, questa morte prematura sarà il trampolino di lancio, tanto che, appena quattro mesi dopo la tragedia, il MoMA allestisce in suo onore una mostra antologica e commemorativa.
L’Espressionismo Astratto
Anche se la formula Espressionismo Astratto viene coniata nel 1929 da Alfred Barr per descrivere le opere di Vassilij Kandinskij, negli anni Quaranta viene ripresa per indicare il nuovo fenomeno artistico americano rappresentato dalla Scuola di New York. Osservando le opere – oltre che di Pollock – di Gorky, Rotcko, Motherwell, De Kooning, Tobey, Francis e Kline, si va incontro ad un nuovo linguaggio formale, basato sul gesto e sull’interesse per gli elementi intrinsechi della pittura.
Le regole tradizionali sono abolite, e la tela diventa luogo per esprimere liberamente la propria energia creatrice. Dell’Espressionismo Astratto esistono due varianti: una pittura gestuale e materica, che richiede l’impegno di tutto il corpo dell’artista in azioni pittoriche, e una pittura semplificata, che si basa sul controllo delle proprie emozioni; quest’ultima privilegia aree monocrome ampie di colore, che hanno l’obiettivo di stimolare la psiche dell’osservatore.
Pollock si colloca nella prima categoria. Nel 1952 il critico Harold Rosemberg conia l’espressione Action Painting per raccontare il dinamismo espressivo delle opere dell’americano:
Quello che doveva andare sulla tela non era un’immagine, ma un evento. Il grande momento arrivò quando fu deciso di dipingere “solo per dipingere”. I gesti sulla tela erano gesti di liberazione dal valore politico, estetico, morale.
Tuttavia, anche se nel passato si è voluto descrivere l’Espressionismo Astratto, l’Action Painting e l’all-over come movimenti e tecniche puramente statunitensi, queste mantengono legami con i movimenti dell’Avanguardia europea, a partire dal surrealismo. Per la formazione di questi artisti americani fondamentali sono stati due incontri. Il primo è l’arrivo a New York nel 1939 dei surrealisti europei che sfuggivano dalla guerra, i quali traevano ispirazione dalla filosofia di Carl Gustav Jung; mentre il secondo evento, più direttamente collegato a Pollock, è la presenza di Hans Hofmann a New York dal 1932. Egli ha trasmesso i concetti delle avanguardie, suscitando l’interesse per il gesto, il colore e l’astrazione della forma: è qui che si deve collocare la conoscenza del dripping di Pollock derivata dalle sperimentazioni surrealiste di André Masson.
Pollock e le sue opere
L’attività pittorica di Pollock si può dividere in due periodi: il primo, che va dal 1933 al 1945 circa; e il secondo, da questa data fino a quella della sua morte. Nel primo periodo egli è maggiormente influenzato dalla matrice surrealista e dal concetto junghiano dell’inconscio collettivo. Infatti, opere come The moon woman, Drawing on Brown Paper, Stenographic Figure e Guardians of the Secrets sono caratterizzate da personaggi che ricordano idoli tribali, i cui volti sono caratterizzati da elementi picassiani, descritti da una cromia accesa e da una vigorosa pennellata. Il dripping fa in queste opere il suo esordio. La tecnica prevede l’uso del colore direttamente dal tubetto o dalla scatola di vernice, che viene fatto poi sgocciolare sulla tela posizionata sul pavimento e viene distribuito con le mani, oppure con spatole di legno o metalliche.
Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro, perché, in questo modo, posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, ed essere totalmente dentro al quadro. Questo è un metodo molto simile a quello degli Indiani dell’Ovest che lavorano sulla sabbia.
Tutto questo gli permette di rompere la tradizionale concezione della “Finestra Albertiana”, che considerava il quadro come luogo della rappresentazione figurativa tridimensionale, per indagare le proprie emozioni ed esprimerle con gesti calcolati sulla tela. Il gesto è preminente, in quanto mezzo espressivo nelle opere della metà degli anni Quaranta, come Croaking Movement e Number 27, nelle quali l’artista entra fisicamente all’interno della tela appoggiata sul pavimento e guida con il proprio gesto lo spargersi del colore.
La natura del movimento crea il dinamismo tipico dei dipinti del suo secondo periodo. Siamo davanti ai prodomi della performance, dove il valore espressivo è l’azione combinata di mente e corpo dell’artista. Un dipinto come Circoncisione può essere considerato come transitorio tra gli insegnamenti che arrivano dall’Avanguardia – in questo caso Picasso e il Cubismo – e le nuove ricerche gestuali, segniche ed emozionali americane. Il colore, infatti, è steso con strumenti non convenzionali, il quale va riempire linee che alludono e non descrivono le figure totemiche.
Così, nel 1945 circa, Pollock realizza i quadri che lo hanno reso famoso come Eyes in The Heath I e II, Full Fathom Five, No. 1A, No. 28 e Blue Poles: number 11 e attraverso i quali affina la sua tecnica. Questi sono dipinti che non sembrano avere un limite, dove il colore esplode, e traccia un reticolato spesso che è caratterizzato da una forte presenza materica. Il colore entra nello spazio visivo dell’osservatore e lo guida senza direzione, in quanto non vi sono centro, primo piano, fondo, alto e basso. Ma solo colore, azione, forza, velocità, che sono modulate e gestite dal corpo e dall’anima dell’artista.
Il caos possibile di Pollock
La mia pittura non viene dal cavalletto. Non tendo quasi mai la mia tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla senza tenderla, al muro o a terra. […] Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali della pittura: cavalletto, tavolozza, pennelli… Preferisco stecche, spatole, coltelli e sgocciolamento di pittura fluida, o un impasto denso di sabbia, frammenti di vetro e altri materiali non pittorici.
Quando sono nel mio quadro non sono cosciente di quello che sto facendo. È solo dopo, per una sorta di ‘presa di coscienza’, che vedo con chiarezza ciò che ho fatto. Non ho paura di operare cambiamenti, di distruggere l’immagine e così via, perché la pittura gode di una vita propria. Io cerco di lasciarla emergere. Solo quando perdo contatto con il quadro il risultato è caotico. Altrimenti c’è pura armonia, un rapporto fluido di dare e avere, e il quadro riesce.
Queste parole, scritte da Pollock nel 1947, testimoniano il suo approccio alla pittura, la quale è nata dall’incontro con la filosofia di Jung. Jung aveva teorizzato, accanto all’inconscio personale, un inconscio collettivo, il quale fa riferimento alla storia, alla cultura e alla società di un popolo. Queste immagini personali sono chiamate archetipi, e in Pollock appaiono soprattutto nel suo primo periodo, per essere poi condensate e sintetizzate nel secondo.
Il caos al quale egli fa riferimento è quello della sua condizione umana e personale, che si manifesta nel momento in cui dipinge. La processualità del suo gesto traduce e rende lineare proprio questo: la storia personale in rapporto a quella collettiva, e come questa sintesi condizioni l’essere umano nei suoi atteggiamenti. Le linee di colore sulla tela descrivono proprio questo doppio livello psicologico, colpendo l’osservatore e guidandolo nel libro della sua anima.
Pollock, con la sua idea di arte, ha lasciato emozioni, attimi, gesti e segni che sono caratterizzanti del suo inconscio nei confronti dei quali noi siamo dei semplici osservatori, a volte distratti.
Puoi trovare le opere citate qui: www.guggenheim-venice.it
Leggi anche L’Espressionismo Astratto e i suoi 4 rivoluzionari protagonisti
Fonti
Carlo Bertelli, La Storia dell’arte, Pearson, Milano-Torino 2010.
Pollock, I Maestri dell’Arte Moderna, a cura di Flaminio Gualdoni, Skira, Milano 2017.
Credits
Le immagini 1,2 sono a cura del redattore.