Francesco Guccini
Francesco Guccini, nato a Modena, nel 1940, fin da subito si scontra con le vicende della Seconda Guerra Mondiale. Trascorre, a causa della guerra, la sua infanzia a Pavana, piccolo paesino di montagna (a lui per sempre caro) dove vivevano i nonni. Nelle sue canzoni viene citata più volte la realtà di Pavana, ad esempio in Addio: “Cresciuto tra i saggi ignoranti di montagna”. In Piccola città invece racconta del suo ritorno a Modena, del suo stupore nel vedere gli effetti della guerra:
Piccola città, io poi rividi
Le tue pietre sconosciute, le tue case diroccate
La guerra, che in Piccola Città è “nemica strana” di Guccini, segna profondamente la sua vita, essendo lo scenario di sfondo dei suoi primi cinque anni di esistenza.
Il cantautore emiliano è sempre stato politicamente schierato e di politica e di ideali ha spesso trattato.
Dio è morto
In questi giorni di gennaio, è difficile non pensare a due dei suoi più celebri lavori: Dio è Morto, Auschwitz.
La prima non è esattamente una canzone dedicata allo sterminio degli Ebrei nei campi di concentramento, ma è una denuncia generale alle falsità del mondo, ponendo ognuna di esse, come la causa per la quale Dio è morto. La canzone in uno dei più celebri passi, recita:
E un Dio che è morto
Nei campi di sterminio, Dio è morto,
Nei miti della razza, Dio è morto,
Con gli odi di partito, Dio è morto.
La schiettezza con cui ne parla lascia di stucco, come spesso accade ascoltando Guccini. Dio è morto nei campi di concentramento, nel vedere le più diaboliche azioni umane.
La canzone chiude poi con uni spiraglio positivo, con una possibilità di un futuro migliore.
La generazione di oggi, canta Guccini, è in grado di poter fare di meglio perché “Noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”.
Auschwitz
Auschwitz invece è interamente scritta intorno alle vicende del più conosciuto dei campi di concentramento. È la storia di un bambino, morto per mano di altri uomini senza aver fatto nulla.
Il brano è uno dei primi scritti da Guccini, composto già nel 1964. La paternità di questo brano cela una storia particolare. Infatti Guccini, non iscritto alla SIAE, non poté registrare la canzone, che venne firmata da Maurizio Vandelli e Lunero. Guccini più volte commentò di essere l’unico vero autore del brano tanto che nel 1967 inserì il pezzo in Folk beat n.1, suo primo album.
È una canzone desolante, che lascia senza parole, che fa sentire l’umanità sbagliata nel profondo.
La musica, le parole, il modo di cantarle, non portano giustificazioni, non accettano scuse per uno dei più grandi crimini.
Son morto con altri cento
Son morto ch’ero bambino
Passato per un camino
E adesso sono nel vento.
Quattro versi, i primi, per raccontare già tutto. Sembra morire tre volte e ognuna di queste tre morti è perfida: con altri cento, da bambino e in un camino.
L’anima del bambino fluttua nel vento e porta con sé il racconto dei fatti. La neve di Auschwitz, il fumo, le tante persone ma il grande silenzio. Immagini dure e aspre come quella del cannone che ancora tuona perché l’uomo, “la belva umana”, non è ancora sazio di sangue.
Il bambino di Auschwitz, come tanti altri, non ha avuto mai modo di vivere veramente, addirittura non ha mai sorriso. Non ha mai imparato a farlo. “È strano, non riesco ancora a sorridere qui nel vento.”
L’innocenza parlante del fanciullo non capisce ancora perché sta accadendo tutto ciò, perché altri uomini hanno ridotto i loro fratelli a polvere nel vento. Non si riesce a dare una risposta e nessuno mai probabilmente ci riuscirà. Ad ogni strofa ripete che ora lui è nel vento. L’ascoltatore non può ignorare questo aspetto che entra in testa e non esce più. I bambini sono morti senza sorridere, senza sapere, senza genitori, nel freddo dell’inverno polacco, senza raggiungere la primavera della loro vita.
La domanda da porsi
La domanda che nel giorno della memoria ci si dovrebbe porre è quella del bambino di Auschwitz, la domanda che chiude la canzone:
Io chiedo quando sarà
Che l’uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà.
È importante specificare che, come tante altre canzoni di molti cantautori italiani del tempo, Auschwitz (la canzone del bambino nel vento), trova grande ispirazione in Bob Dylan, precisamente in Blowin’ in the wind. La canzone presenta molte immagini che Guccini rielabora nella sua Auschwitz: ad esempio il vento o il cannone che tuona. La canzone di Guccini termina con una domanda, quella di Bob Dylan con una risposta. “La risposta, amico mio, soffia nel vento”.
Questo è il fulcro del giorno della memoria, del 27 gennaio. Al di là delle ideologie, oltre “gli odi di partito”, accantonando la politica, è necessario riflettere sulle azioni, sulla perfidia umana, su ciò che si è stato in grado di fare e che un giorno si potrebbe ripetere.
Dio è morto ma può risorgere, il vento potrà un giorno posarsi, dipende dall’uomo.
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