A chi – o a che cosa – intitoleremo le nostre strade fra dieci, venti, trent’anni? Una domanda del genere potrebbe risultare più che oziosa, a una prima impressione. Se non fosse che chiama in causa una pluralità di questioni attinenti all’ambito storico, a quello urbanistico, a quello giuridico-amministrativo, a quello socio-politico, che oziose certo non sono. Ci sia pertanto permesso di usare la questione dell’intitolazione delle strade come una “leva”, utile a mettere a fuoco una serie di argomenti che ne trascendono decisamente il merito.
Il quadro normativo
Un primo, ineludibile tema è quello di come funzioni, almeno in Italia, la prassi dell’intitolazione delle vie stradali. Il perimetro legislativo in materia è determinato da due leggi. La prima risale addirittura all’epoca fascista, e per la precisione all’anno 1927; la seconda è molto più recente, poiché data al 1996. Il combinato-disposto di queste due norme dà luogo alla seguente trafila.
In primo luogo la domanda – che può essere formulata anche da un privato cittadino – viene inoltrata agli appositi sportelli comunali. L’ufficio toponomastica valuterà la proposta, formulerà un’istruttoria, e predisporrà uno schema di delibera che sarà inoltrato al Consiglio comunale. In caso di approvazione da parte di quest’ultimo, infine, la domanda sarà sottoposta al prefetto, che si esprimerà con un decreto, approvando o respingendo la proposta. In genere, è possibile intitolare strade – ma anche lapidi e monumenti – solo a personaggi che abbiano avuto un ruolo di primo piano nel tessuto civico locale, deceduti da almeno dieci anni. Ma spesso viene richiesta una deroga a questo minimo temporale: a valutare se concederla è di nuovo la prefettura.
Scritture esposte
Questo, quindi, per quel che concerne la prassi amministrativa, in tutto il suo prosastico “grigiore”. Ma un evento come l’intitolazione di una strada, o di un monumento, o di una lapide, chiama in causa anche profonde e spesso divisive motivazioni di ordine storico, sociale, politico. Formalmente, un’intitolazione è una scrittura esposta. Le scritture esposte sono definite da Casapullo in questi termini: si tratta di testi “ideati e realizzati per una fruizione pubblica in spazi aperti, e dunque in posizione propriamente esposta agli sguardi dei frequentatori di quegli spazi, al fine di permetterne la lettura a distanza, anche collettiva”.
La funzione di una scrittura esposta, nelle società antiche, poteva essere quella di rendere evidente a tutti gli interessati un avviso ritenuto di particolare importanza, o di veicolare un contenuto ritenuto simbolicamente e culturalmente imprescindibile per la comunità che occupa quegli spazi. Possiamo dire che la seconda funzione, per quanto annacquata, sbiadita, sia l’unica a essersi conservata in epoca moderna. E che l’intitolazione di strade e monumenti risponda, almeno idealmente, all’idea foscoliana espressa nell’opera Dei Sepolcri: una fonte di ispirazione, un metaforico tramite fra passato e presente, il segnacolo di una grandezza posseduta da un “eroe” del passato più o meno recente e che può essere rinfocolata da chi ne emuli l’esempio.
Generazione Z e storia
La forte componente ideologica connessa a questa interpretazione della “fenomenologia dell’intitolazione” è messa pericolosamente in discussione dalla latenza di competenze storiche nella nostra popolazione. Chissà quanti di noi, attraversando, in auto o a piedi, una qualsiasi “via Ramazzotti”, hanno pensato al cantante di Più bella cosa non c’è; in pochi si saranno veramente posti il problema di chi fosse quell’Angelo Ramazzotti che Wikipedia descrive come “patriarca cattolico italiano”.
Ma ci sono anche altri esempi possibili, da De Gasperi a Matteotti, da Pertini a Gramsci: quanti dei giovani della Generazione Z sono in grado di associare a questi nomi un volto, un’idea, un’epoca storica di appartenenza? In quanti sanno cosa sia successo il 20 settembre (anzi, il “XX settembre”), o il 4 novembre? Purtroppo, a guardarsi intorno, parrebbero molto pochi. E allora: che senso può avere la “scrittura esposta”, se perde di significato, se si riduce a sequenza di grafemi scevri di un significato?
I candidati
Questo tema si riconnette a un altro, uguale e contrario, che è la domanda da cui siamo partiti. A chi intitoleremo le nostre strade fra dieci, venti, trent’anni? Per dare un senso a questo interrogativo, innanzitutto occorre ammettere la possibilità che quella automobilistica rimanga, nei prossimi decenni, un tipo di circolazione diffuso e praticato, tanto da determinare la costruzione di nuove arterie stradali. Lasciando questo assunto, tutt’altro che scontato, sullo sfondo, dobbiamo porci un’altra domanda. Cioè: quali sono i personaggi sufficientemente “importanti” per la nostra società da potersi meritare un consenso tanto largo quale quello necessario per l’intitolazione di una strada?
La politica
Il buon senso consiglia subito di lasciare da parte i politici: l’attuale classe politica italiana non ci consegna certo figure così “grandi” o determinanti per gli sviluppi della nostra società come furono, ai loro tempi, i vari Calamandrei, Andreotti, Togliatti, Iotti.
Fanno parziale eccezione i presidenti della Repubblica, protagonisti già in vita, spesso senza volerlo, di una agiografica ipostatizzazione: come scrive Marco Damilano, “il Presidente non si commuove, si emoziona. Non ride, sorride. Il Presidente è sempre buono, è papagiovannizzato, quasi mai s’incazza, se è un po’ alterato lo si nota dal nodo della cravatta allentato […] Il Presidente è sterilizzato, imbalsamato”. Un tale trattamento è un’ottima premessa per la dedica di vie e piazze cittadine. Inoltre, la nostra società non esprime, ormai da tempo, intellettuali che siano a un tempo riconoscibili (per esserlo, in sostanza, occorre essere sui social o in televisione) e capaci di segnare un’epoca, con le loro riflessioni e teorie.
Calciatori e cantanti
Non ci resta che appellarci a due categorie residue: calciatori e cantanti. Gli uni e gli altri sembrano ormai gli unici due profili capaci di guadagnarsi un consenso paragonabile alla loro riconoscibilità. Per loro non è nemmeno più necessario quel “distacco critico” determinato dai dieci anni di tempo dalla loro morte: lo dimostra palesemente la deroga del comune di Napoli che ha consentito che in pochi giorni lo stadio San Paolo si trasformasse nel “Diego Armando Maradona”.
Una simile deroga è stata richiesta di recente per Gino Strada, scomparso l’estate scorsa. Ed è stata ottenuta, nel comune di Roma, per l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Peccato che in occasione della cerimonia di inaugurazione ci si sia accorti di un errore: nel marmo non era stato inciso il nome “Azeglio”, bensì la variante errata “Azelio”. Un episodio come questo, forse, ci offre la risposta alla domanda iniziale. A chi intitoleremo le nostre vie e le nostre piazze? Forse meglio dire addio alle vecchie abitudini e usare i numeri e le lettere: 1A, 2B, 3C, 4D, ecc. Con buona pace di Foscolo.
FONTI:
R. Casapullo, “Storia della lingua italiana: il Medioevo”, 2011, Il Mulino
M. Damilano, “Il Presidente”, 2021, La Nave di Teseo