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La chirurgia plastica e le sue contraddizioni

A primo impatto, la prospettiva che può suscitare il concetto di chirurgia plastica è negativa. Molto spesso si ritiene che chi si si rivolge a questo genere di operazioni sia una persona superficiale, che cura questo aspetto della sua esistenza per colmare una mancanza interna. Ma se quello che da sempre si considera motivo di accusa, fosse invece il punto di forza della chirurgia plastica? Se le persone si rivolgessero alla chirurgia plastica per acquistare fiducia e avere una migliore considerazione di sé stessi?

Una scoperta recente?

A discapito di quanto si possa pensare, la chirurgia plastica non è di recente invenzione, ma accompagna l’uomo fin da tempi antichissimi. Esempi di chirurgia plastica costellano la storia dell’umanità, anche se il concetto e la finalità attribuitagli cambiano da cultura a cultura. Circa due secoli fa, un gruppo di archeologi ha rinvenuto in una tomba egizia, appartenuta alla figlia di un sacerdote d’alto rango, il primo esempio di protesi artificiale.

Si tratta del pollice del piede destro, realizzato con una piccola struttura in legno e pelle, in grado di piegarsi e adagiarsi ai movimenti della padrona. Prima del Cairo Toe (letteralmente “alluce del Cairo”) la protesi artificiale più antica era una gamba in bronzo e legno del 300 a.C. rinvenuta in una tomba romana, e quindi ben successiva a quella della ragazza.

Funzionalità ed estetica: un equilibrio precario.

Gran parte degli esempi di protesi antiche, per quanto simbolo dell’ambizione e dell’ingegnosità umana, faticano a combaciare l’estetica con la funzionalità. Sotto questa prospettiva, il Cairo Toe rappresenta un’eccezione nel panorama della protesi, perché l’usura che la caratterizza fa presupporre che fosse usata dalla donna quotidianamente. Ovviamente questa domanda non troverà mai una risposta definitiva, ma è simbolo di come questi strumenti, nel loro tentativo di ricreare la natura, servissero a far sentire le persone più integrate nella società.

Di cosa si occupa?

Ma prima di capire quali sono le diverse prospettive sotto cui si può considera la chirurgia plastica, è bene capire di cosa si occupa nello specifico. La chirurgia plastica è un ramo della chirurgia che si occupa della ricostruzione di diverse tipologie di tessuti dell’organismo umano e/o della correzione di deformità, sia da un punto di vista estetico che funzionale. La chirurgia plastica, infatti, comprende al suo interno la chirurgia ricostruttiva e la chirurgia estetica e ha lo scopo di riparare difetti congeniti o acquisiti. Uno dei campi in cui la chirurgia ha recentemente registrato i maggiori progressi è quello delle riparazioni a danni irreversibili come ustioni molto gravi.

Quando servirsene?

Nonostante i progressi fatti abbiano portato a tecniche molto avanzate, la chirurgia plastica resta un intervento e per questo la decisione di sottoporsi a essa non deve mai essere presa con leggerezza. Rimane sempre un margine di rischio e la possibilità che i risultati ottenuti non siano in linea con quelli desiderati. Ma quando la chirurgia plastica può essere di aiuto?

Se un difetto estetico viene mal sopportato e vissuto con un disagio psicologico che rischia di minare l’autostima o addirittura la salute mentale dell’individuo, la chirurgia plastica può essere un modo per aiutare a migliorare la qualità della vita. Resta ovviamente la fatidica domanda: ma è un volersi adattare per sentirsi accettati o un lavorare su sé stessi per sentirsi migliori?

Perché?

Legare una scelta così importante al semplice desiderio di modificare una parte di sé è forse riduttivo. Il primo passo da fare verso l’auto accettazione è sempre lavorare su sé stessi, anche perché la chirurgia plastica non assicura i propri risultati e non deve essere la sola chiave per raggiungere un benessere interiore. La chirurgia plastica sprigiona i suoi vantaggi solo se accompagnata da un percorso di crescita e autostima personale, meglio se accompagnato da un professionista, e solo in questo caso può davvero essere utile.

È giusto servirsi della chirurgia plastica?

Rispondere a questa domanda necessita di valutazioni molto più ampie, che prendano in considerazione anche la soggettività e i valori del singolo. Trovare un punto di accordo sull’argomento è difficile e, ad oggi, le fazioni “ricorrerei alla chirurgia plastica” e “no, assolutamente” si contrappongono con l’ascia di guerra. C’è chi la considera come un modo per migliorarsi e chi come un cedere a canoni prestabiliti e imposti da una società che ci vorrebbe tutti uguali. Ma è giusto vedere questa pratica in modo così binario? Non sarebbe forse più conveniente concentrarsi sui motivi che spingono una persona a modificare la propria estetica?

Uno dei maggiori motivi di accusa che si tende a rivolgere verso la chirurgia plastica è l’innaturalità dell’atto. Ma ha davvero senso considerarla in questo modo? No, affatto perché la chirurgia plastica è solo una tra le tante pratiche che quotidianamente si protraggono per avere una migliore considerazione di sé. Farsi un tatuaggio, tingersi i capelli o farsi un piercing sono anch’essi modi per modificare una parte di sé, ma senza l’invasività di un’operazione chirurgica. Ma allora perché c’è chi ancora si oppone a essa? Forse, per avere una migliore considerazione della chirurgia plastica, sarebbe meglio riformulare il concetto di bellezza a cui siamo soggetti da secoli e proporre una nuova idea di bellezza funzionale, che sappia unire l’utilità con l’estetica.

Uno strumento di accettazione sociale?

Nel mondo esistono popolazioni che hanno fatto della modificazione di sé uno strumento per l’integrazione sociale. Ad esserne soggetto sono state soprattutto le donne che, accettando o subendo pratiche a volte brutali, hanno deciso di sottoporsi a deformazioni corporee che le renderebbe migliori secondo i canoni sociali. Possiamo citare il piatto labiale delle donne Mursi in Etiopia, l’allungamento delle donne birmane Kayan; o l’usanza di deformare i piedi delle donne per renderli più piccoli possibili. In questo modo i piedi assumevano la forma arcuata a mezza luna che permetteva alle donne di compiere passi di danza altrimenti impossibili. Con il passare del tempo, i coDonna della tribù Kayan con numerosi anelli di ottone intorno al collosiddetti “piedi a fiore di loto” sono diventati strumento di accesso al matrimonio e metro di misura della qualità estetiche delle donne.

Per quanto brutali fossero/siano queste usanze (fortunatamente in Cina nel 1911 è entrato in vigore un emendamento che proibisce tale tradizione) sono tutte simbolo di come la modificazione del corpo, nel corso dei secoli, abbiamo acquisito un’importanza di natura sociale, se non addirittura politica.

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