Pedro Lemebel, Ho paura torero copertina

“Ho paura Torero”: il coraggio di raccontare storie scomode

L’autore

Pedro Lemebel (1954-2015), fu uno scrittore, artista e attivista nato a Santiago del Cile da una famiglia povera, in uno dei quartieri più miseri e violenti della città. Ebbe un’infanzia dura e sofferta, durante la quale la sua omosessualità lo portò a essere vittima di efferati episodi di derisione, pestaggi e discriminazione. Visse a pieno gli anni della dittatura militare, partecipando a manifestazioni di sinistra, rivendicando il rispetto dei diritti umani, criticando i crimini del regime e cercando di dare voce ai desaparecidos. Morì a Santiago il 23 gennaio 2015, a causa di un tumore alla laringe.

Il romanzo

Il suo romanzo Ho paura, torero (Tengo miedo, torero in lingua originale) è ambientato nel Cile del 1986, in cui vigeva la dittatura militare di Augusto Pinochet (1973-1990).

L’autore racconta le controverse dinamiche sentimentali tra “la Fata dell’angolo”, travestito dei quartieri bassi e poveri di Santiago, e un giovane militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez, Carlos, che per lo più sfrutta il loro rapporto come diversivo per pianificare un attentato contro il dittatore.

Nell’opera, ci caliamo dunque nella “Santiago di mezza tacca”, una Santiago “schiacciata dal pattugliamento”, una Santiago “che si svegliava al suono delle pentole sbattute nei cortei, ai lampi dei black out” e che fa da cornice alle vicende di vita della protagonista.

Salta subito all’occhio il forte contrasto tra la cruda e violenta realtà degli attivisti cileni, con le loro riunioni clandestine, le proteste, le manifestazioni, e la realtà individuale della Fata, coi suoi piccoli gesti quotidiani che per lei hanno un’importanza quasi solenne, e il suo universo interiore: un vivido apparato di sensazioni, di emozioni; in queste parti, la scrittura di Lemebel assume una connotazione intimista.
Due piani distinti, dunque, entrambi permeati di adrenalina e amore, presentati dall’autore con pari dignità, seppure, a tratti, con la dovuta ironia.

Il contrasto è rimarcato più volte dall’autore stesso all’interno dell’opera:

Carlos è un uomo bello, virile, giovane ed educato; La Fata è segnata dal tempo, effeminata, e stravagante, capace di sorprendere con la sua “allucinata fantasia barocca”. Carlos è un falco, lei è una colomba.

Gran parte delle tematiche trattate all’interno del romanzo sono dolorosamente vicine all’autore, ne consegue un’eccezionale capacità nell’evocare sensazioni, turbamenti, percezioni: descrive i moti interiori dei suoi personaggi in maniera pura e genuina, con una maestria che incanta e turba il lettore, alternando passaggi struggenti a uno stile tutto sommato beffardo e irriverente, rendendo la sua opera ricca di sfumature e di chiavi interpretative.

In particolare, la protagonista è un personaggio estremamente interessante. Ci svela un’interiorità turbolenta, tormentata, un po’ folle nel suo oscillare tra momenti di idillio e momenti di lucida disperazione. Ci permette di entrare in contatto con mondi molto spesso ignorati ed emarginati: non solo quello omosessuale, ma anche e soprattutto quello delle persone transessuali, minoranze ostracizzate poiché non conformi alla “normalità”.

Perché le lacrime delle fate non avevano identità, colore, sapore, non irrigavano nessun giardino d’illusioni. Le lacrime di una fata orfana come lei non vedevano mai la luce, non si sarebbero mai trasformate in mondi umidi asciugati dalla carta assorbente delle pagine letterarie. Le lacrime delle fate sembravano sempre finte, lacrime interessate, pianto di pagliacci, lacrime artificiose, complemento esteriore di emozioni eccentriche.

E questa feroce discriminazione si riflette anche nell’ambito lavorativo, non lasciando a queste persone nessuna strada che non sia quella della prostituzione: a suon di strusciate randagie, smorza col sesso la malasorte. 

La dittatura

Augusto Pinochet è di fatto uno dei personaggi del romanzo e viene presentato in maniera dissacrante, per esempio mentre battibecca con la moglie Lucía, tramite una narrazione dal tono umoristico e canzonatorio che strizza l’occhio al lettore, ridimensiona la figura del dittatore e rivela una crepa che lentamente inizia a formarsi in quella realtà cruda, dogmatica e autoritaria, da cui si scorge un ritorno alla libertà e alla spensieratezza.

Relativamente alla tematica della dittatura, l’autore tende a mettere in rilievo la sua componente populista, che fa presa sull’ignoranza della popolazione.

La Lupe era soltanto una tontolona, per questo si credeva di destra. Non aveva idea di cosa volesse dire essere di destra, ma pensava di darsi un tono. Era elegante essere di destra, e pronunciarlo forte con la mascella in fuori.

Il rapporto con il femminile

In Ho paura, torero Lemebel spinge a riflettere sul valore immenso della solidarietà, dell’unione, della mescolanza, ci porta a una toccante riflessione su come, nei momenti di necessità, di fronte al “nemico”, all’oppressore, sia proprio il “diverso” a schierarsi al nostro fianco.

Mentre si avvicinava, una donna ancora giovane le fece segno di unirsi alla manifestazione e, quasi senza pensarci, la Fata prese un cartello con la foto di un uomo scomparso e lasciò che la sua voce effeminata si unisse al grido delle donne.

Ed è proprio con le donne che Lemebel avrà i rapporti più profondi e significativi. Egli entrò in contatto con diversi personaggi del mondo femminista cileno, tra cui Pía Barros Bravo e Diamela Eltit, ed ebbe una salda amicizia con Gladys Marin, segretaria nazionale del Partito Comunista del Cile e celebre attivista per i diritti civili.

Decise inoltre di cambiare il suo cognome prendendo quello della madre – Lemebel, appunto – come atto di ribellione nei confronti di un sistema patriarcale, ma più di tutto come gesto di “alleanza con il femminile“.

Il rapporto con la politica

Pedro Lemebel fu un instancabile difensore degli oppressi e delle minoranze. Nel 1987 insieme all’artista Francisco Casas, creò il Collettivo artistico Yeguas del Apocalipsis – le cavalle dell’Apocalisse – che realizzò  una serie di memorabili performance ed eventi pubblici inconsueti, sbalorditivi, provocatori, in barba alla dittatura di Pinochet.

Fu impegnato in prima persona nell’attività politica, ma il suo rapporto con il partito comunista fu controverso, a causa delle remore mostrate nei confronti della sua omosessualità. Nel 1986, in occasione di una riunione dei partiti di sinistra nella stazione di Mapocho, a Santiago, indossando tacchi neri e con falce e martello dipinti sul volto, pronunciò il suo “Manifiesto”, celebre discorso in cui afferma fiero la sua identità, facendosi portavoce della comunità LGBT e movendo argute critiche nei confronti del machismo radicato anche in quegli ambienti.

Ecco la mia faccia
parlo per la mia diversità
difendo ciò che sono
e non sono così strano
mi fa schifo l’ingiustizia
e diffido di questo balletto democratico

[…]

La mia virilità non l’ho ricevuta dal partito
perché mi ha rifiutato ridacchiando
molte volte
La mia virilità l’ho imparata partecipando
alla dura lotta di quegli anni
e avete riso della mia voce effeminata
che gridava: e cadrà, e cadrà

Le “cronicas”

Nei suoi scritti Pedro Lemebel ci racconta storie crude, violente, vere. Parla di povertà, di miseria, di AIDS. Punta i riflettori su coloro che sono sempre stati tenuti al buio e lo fa scrivendo delle “cronache urbane”.

La cronica è un genere pressoché onnipresente nella letteratura ispanoamericana, sin dall’epoca dei Conquistadores, ma a seconda del periodo e dell’autore gli intenti e i contenuti variano e si differenziano. Le cronache di Lemebel hanno alla base un’etica atta a fornire testimonianze, racconti, descrizioni di una realtà in cui si dà voce alle minoranze tagliate fuori dai racconti e le produzioni ufficiali, sfidando tabù e pregiudizi e mettendo a nudo la verità.


CREDITI

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.