Quella fra privato e pubblico, fra personale e politico è una sovrapposizione che ben descrive l’epoca in cui siamo immersi. Le leggi sulla privacy, il ruolo delle intercettazioni in campo giudiziario, la diffusione di conversazioni private per screditare un avversario politico. Ma anche le effrazioni nelle abitazioni di politici e dirigenti, l’uccisione di un parlamentare inglese, gli scandali sessuali a carico di figure pubbliche costrette ad abbandonare i loro incarichi. O, molto più “banalmente”, le nuove tendenze del lavoro agile ed elastico. Si tratta di prove, di evidenze inconfutabili dell’erosione del confine fra questi due ambiti, fra ciò che (ancora) consideriamo “affari nostri” e ciò che, spesso a nostro svantaggio, diventa “affare di stato”.
Secondo Andrew Sullivan, che della questione si è occupato sulle colonne del Weekly Dish, l’epoca presente mette in crisi l’idea “che possiamo interpretare un ruolo da pubblici cittadini che è distinto da quello che interpretiamo come esseri umani privati; che possiamo erigere delle barriere fra ciò che lo Stato può farci e quello che noi possiamo fare gli uni con gli altri”.
“Non pensavo potesse diventare pubblico”
La fiumana del politicamente corretto, condivisibile o meno che siano le sue premesse, ha trascinato con sé molte carriere politiche e dirigenziali, da qualche anno a questa parte. Spesso a “tradire” lo sprovveduto è stato il contenuto di comunicazioni private o supposte tali. Sullivan cita alcuni esempi relativi agli USA. Quello del patron della squadra NBA dei Los Angeles Clippers, bandito a vita dalla lega sportiva più prestigiosa e ricca della terra per alcune conversazioni intrattenute con la sua ex compagna.
O quello della giornalista della ESPN Rachel Nichols, licenziata dal New York Times per il contenuto di alcune chat che non pensava potessero essere divulgate. Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi indefinitamente: è di pochi giorni fa la notizia di un deputato dell’Afd che in un messaggio WhatsApp, poi diffuso dai portali d’informazione, ha espresso la sua esultanza per la morte del presidente del Parlamento europeo David Sassoli, definito “un bastardo”. Interpellato in seguito, il politico tedesco si è detto rammaricato: “non pensavo che il messaggio potesse diventare pubblico”.
Il caso Morisi
L’episodio più recente fra quelli riferibili al contesto politico italiano è lo scandalo a carico di Luca Morisi, responsabile della comunicazione del leader della Lega Matteo Salvini. Morisi in estate è stato coinvolto in un episodio di cronaca giudiziaria attinente l’uso di droga e il suo orientamento sessuale.
Il contrasto tra il contenuto della propaganda leghista, che sui social, quindi sull’opera di Morisi, faceva largo affidamento, e la concreta prassi dei comportamenti privati del social media manager, ha chiamato in causa il tema degli attriti fra pensiero politico e agire domestico. Un altro caso analogo, che riguarda anch’esso la sfera dell’orientamento sessuale, è quello che ha coinvolto il deputato ungherese Josefz Szaier, fedelissimo del premier ultra-conservatore Viktor Orbàn, trovato dalle forze dell’ordine in bilico su una grondaia a margine di un festino di soli uomini.
Sullivan cita, come esempi, anche i molti casi recenti di effrazioni verificatesi nelle abitazioni private di politici statunitensi. Parla del sindaco di Portland, costretto a cambiare la propria residenza per via dei ripetuti episodi di vandalismo patiti anche dai suoi vicini di casa. Dei casi analoghi di St. Louis e di Buffalo, e della sindaca di Chicago, Lori Lightfoot, sottoposta a protezione 24 ore su 24 per le costanti minacce a suo carico. In Inghilterra, è datata a quasi un anno fa la violazione di domicilio subita da Ed Woodward, plenipotenziario del club calcistico del Manchester United, in seguito all’adesione della società al fallito progetto della Superleague. In seguito all’episodio, il dirigente è stato costretto alle dimissioni.
Da Gronchi a Berlusconi passando per Clinton
Un sondaggio degli anni Quaranta, in Italia, rivelò come solo l’un per cento della popolazione della neonata repubblica fosse interessato alla vita privata dei ministri del governo di unità nazionale. Di lì a pochi anni le cose sarebbero radicalmente cambiate: è addirittura un presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, negli anni Cinquanta, ad attirare su di sé alcune insinuazioni circa le sue frequentazioni extra-coniugali, e i cervellotici stratagemmi adoperati per fare entrare le amanti al Quirinale. Negli USA, com’è evidente, un evento spartiacque è stato il sex-gate che ha messo a rischio la carriera di Bill Clinton. Paragonabile al caso-Olgettine che all’inizio degli anni 2010 ha trascinato Silvio Berlusconi in una spirale giudiziaria tutt’ora aperta.
Lavoro “elastico” e tele-lavoro
Ora, non è il caso di esprimere giudizi in merito all’affidabilità politica di questo o di quel personaggio, o di approfondire l’operato delle autorità giudiziarie in merito a questa o quella inchiesta. Piuttosto occorrerà osservare come il mondo del lavoro, negli ultimi anni, addirittura negli ultimi mesi, abbia ulteriormente incentivato la tendenza alla sovrapposizione tra pubblico e privato.
Il lavoro “elastico” è ormai diventato una prassi: nessun professionista può permettersi di considerare chiusa la giornata di lavoro una volta lasciato l’ufficio, l’ospedale, o il tribunale. Non solo: se il lavoro si sposta fra le mura domestiche, come accaduto per colpa del Covid, non solo il tempo, ma anche lo spazio dedicato all’attività lavorativa è sottoposto ad allargamento. Con tutte le conseguenze del caso: mariti in deshabillé che compaiono in una riunione via Zoom, docce in diretta durante i consigli comunali, bambini che spuntano alle spalle di economisti durante dirette televisive.
Conclusioni
Insomma, la tendenza verso la “politicizzazione” del privato è evidente, e fa parte di una più larga tendenza all’allargamento della sfera pubblica a discapito di quella privata, che di riflesso è sottoposta a un problematico restringimento. Pericoloso, oltre che problematico, stando a Sullivan. Che cita una frase di Hannah Arendt: “Una società liberale è definita dall’assunto secondo cui la politica ha dei confini”. E spiega, in riferimento ai fatti di cronaca precedentemente menzionati, come, alla lunga, questo fenomeno rischi di produrre “un degrado: quello dal dibattito civile alla guerra civile”. Occorrerebbe rifletterci sopra, prima che sia troppo tardi.