Trama d'infanzia - copertina

Trama d’infanzia: il viaggio di Christa Wolf nel suo “passato che non passa”

La memoria è uno specchio che mente spudoratamente.

Julio Cortàzar

È insito nell’uomo l’atto di fermarsi a ragionare sul passato. Per coloro la cui infanzia e adolescenza coincise col periodo dell’ascesa di Adolf Hitler e l’affermazione del nazionalsocialismo, questa operazione, già di per sé complessa, si complica ulteriormente.

Nel suo celebre romanzo Kindheitsmuster (Trama d’infanzia), Christa Wolf ci coinvolge in questo complesso viaggio nella memoria senza fare mistero del suo spaesamento, della sua difficoltà nella stesura, della ricerca faticosa del modo più esatto per parlare del passato.

L’autrice

Christa Wolf nasce nell’attuale Polonia nel 1929. Dopo la guerra si trasferisce nella Germania dell’Ovest, prende parte al dibattito politico – aderendo convintamente al socialismo – e comincia a lavorare come critica letteraria. Muore all’età di 82 anni, a Berlino, dopo una lunga malattia.

Il romanzo

Trama d’infanzia viene pubblicato nel ’76 nella Repubblica Democratica Tedesca e nel ’77 nella Repubblica Federale Tedesca; Wolf è infatti un’autrice molto nota e rispettata in entrambe le Germanie.
Si tratta di un romanzo complesso, non è il semplice lavoro di una scrittrice che racconta una storia di un’epoca trascorsa.

Qui la letteratura non è più un bastone che ci sostiene e ci accompagna nel nostro cammino, come in Thomas Mann, ma si fonde con la memoria e diventa un terreno su cui si inciampa. Non siamo di fronte a una lode dell’opposizione politica al regime nazista, un’epica antifascista e antinazista. È un romanzo che potremmo definire addirittura intimista, se non fosse che nella critica letteraria della DDR è un aggettivo tacciato di essere un termine borghese, non nel senso più banale del termine poiché non è tutto chiuso su se stesso, però è certamente un romanzo chino sulla personalità della sua protagonista, seppure all’interno del contesto storico.

La struttura peculiare

Christa Wolf decide di strutturare il romanzo su tre piani temporali. Vi è il presente della scrittura, con un io narrante che si interroga sui propri mezzi, sia mnemonici che stilistici; mostra un’attitudine autoriflessiva, riflette sul rapporto tra identità e memoria, personale e sociale. La seconda dimensione temporale rimanda all’esperienza di un viaggio che l’io, in compagnia dei suoi affetti, fa nel suo paese natale, ormai in territorio polacco. Abbiamo infine l’arco temporale della vita di Nelly Jordan, bambina nata lo stesso anno di Christa Wolf, e il racconto della sua infanzia.

Possiamo dunque dedurre, da questo complesso apparato, che la scrittrice trova estremamente difficile integrare e amalgamare i ricordi in qualcosa di unitario.

Una delle tecniche più interessanti di Trama d’infanzia, infatti, è il lavoro con i pronomi personali: fino quasi alla fine del libro è riservata a Nelly la terza persona, mentre la narratrice parla di sé stessa utilizzando il “tu” . Solo molto tardi nel romanzo emerge un “noi” , e ancora più faticosamente un “io” che dovrebbe finalmente integrare le varie persone in un’unica personalità coesa.

Nel corso del libro, l’autrice si chiede: “come siamo diventati quel che siamo?”. Nelle sue riflessioni possiamo scorgere che, seppur nella posizione di intellettuale della DDR, la cui adesione al modello socialista è sincera e sentita, l’autrice ricorda come nel terreno della sua infanzia, il mito del nazismo e la figura di Hitler riuscirono a irretirla:

Nelly non ha capito né ha tenuto a mente di che cosa parlavano, ma accolto dentro di sé la melodia del coro possente che attraverso tante piccole urla si gonfiava nel urlo grandioso in cui finalmente esplodeva, nel quale confluiva possente. Anche se mi faceva contemporaneamente un po’ di paura, desiderava tuttavia ardentemente udire quel l’urlo, o dire udirlo venire anche da se stessa. Voleva sapere come era possibile urlare e come era possibile sentirsi tutt’uno con gli altri, quando si vedeva il Fuhrer.

Il rapporto con la sua infanzia

Il titolo originale dell’opera è formato dalle parole “Kindheit”, infanzia, e “Muster”, che significa trama, ma anche modello. Si tratta di un richiamo a quelli che erano i modelli, i punti di riferimento dell’autrice bambina, per la quale come già detto viene utilizzato lo pseudonimo Nelly. Il rapporto con se stessa bambina sembra quasi tormentare l’autrice, che apre la sua opera con una citazione di Neruda:

Dov’è il bambino che ero,
è ancora dentro di me o  è perduto?
Sa che non l’ho mai amato
e che neanche lui mi amava?
Perché abbiamo passato così tanto tempo a
crescere fino a separarci?
Perché non morimmo entrambi
quando è morta la mia infanzia?
E se la mia anima è caduta,
perché lo scheletro mi segue?
e ancora, il tema ricorre nell’opera

Wolf stessa andrà poi a riproporre la tematica all’interno del romanzo:

La bambina che stava acquattata dentro di me – è uscita fuori? Oppure, spaventata, si è cercata un nascondiglio più profondo e inaccessibile? La memoria ha fatto il suo dovere? O si è prestata a dimostrare, col raggiro, che è possibile sfuggire al peccato capitale di quest’epoca: non voler conoscere se stessi? E il passato, che poteva ancora disporre di regole grammaticali e scindere la prima persona in una seconda e in una terza – la sua egemonia è spezzata? Si calmeranno le voci? Non lo so.

I tabù affrontati

Due sono i grandi tabù che Wolf riesce a superare all’interno di Trama d’infanzia: in primo luogo, scardina la visione dei cittadini tedeschi nel ruolo di vittime totalmente inconsapevoli, soggiogate da Hitler e dai gerarchi nazisti, i veri carnefici. Quello raccontato dalla scrittrice è un nazismo descritto dalla lente di una famiglia piccolo-borghese, sostanzialmente scevro da atrocità e violenza, tutto sommato conveniente, che si accompagna a un certo benessere economico.

Il secondo tabù ha a che fare con la tematica della Flucht, la fuga. È ironico il fatto che sia proprio una scrittrice della DDR la prima a parlare della straziante fuga in massa dei tedeschi verso Ovest all’avanzare dell’Armata Rossa, in condizioni drammatiche e precarie.

Massimo Bonifazio definì il romanzo una sorta di “masso erratico”, che fu studiato e analizzato con maggiore attenzione solo decenni dopo la pubblicazione, quando la riflessione sul passato nazionalsocialista si concentrò su svariati livelli di analisi.


FONTI

Massimo Bonifazio, La memoria inesorabile – Forme del confronto col passato tedesco dal 1945 a oggi, Artemide, 2014

CREDITI

Copertina


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