Vi sono film che, nel tempo, hanno saputo creare un immaginario comune confortante, iconico. Lungometraggi che, negli anni, hanno assunto il meritato status di cult cinematografico, segnando in maniera indelebile la memoria di molteplici spettatori. The Karate Kid, diretto da John G. Avildsen, fa indubbiamente parte di quel catalogo di pellicole che la generazione millenial faticherà a dimenticare. Un film che, uscito nel 1984, è presto divenuto pietra angolare di una tetralogia, arrivando inoltre ad ispirare una pellicola reboot (2010) e la più recente serie televisiva Cobra Kai (2018).
Ma quali sono i motivi di un successo di tale portata? In che modo The Karate Kid ha saputo plasmare la realtà hollywoodiana dagli anni ’80 in poi?
Profumo d’anni ’80
Una prima ragione è forse da ricercarsi nel gusto vintage della sua sceneggiatura. Ancora oggi infatti, riguardando The Karate Kid, è difficile rimanere indifferenti al suo straordinario aroma da anni ’80. Aroma che pervade la pellicola fin dalle prime battute, accompagnandola mano nella mano per tutti i suoi 126 minuti.
Un giovane cresciuto con la madre e trasferitosi in un’altra città, testardo, di buon cuore, dal forte senso morale e dal fascino misterioso. La spiaggia, le partite a pallone in riva al mare, la radio, una bella fanciulla bionda da conquistare e da difendere dal bullo di turno. E ancora le difficoltà di una nuova scuola e la possibilità di nuove amicizie e di un riscatto. Stilemi classici, intramontabili. Elementi che, con ogni probabilità, risulterebbero oggi anacronistici, ma che, se inseriti nel giusto contesto, restituiscono lo splendore di un’atmosfera sognante e scanzonata; un’atmosfera dai tratti quasi surreali, ma frutto del desiderio di celebrazione delle piccole gioie quotidiane; da un giro in auto con gli amici, a una serata passata tra giostre e jukebox.
Il Maestro Miyagi
Fra gli elementi di maggiore interesse della pellicola, un posto di particolare risalto è naturalmente occupato dal mitico Maestro Miyagi. Il personaggio, interpretato da Noriyuki “Pat” Morita, gode di un’evoluzione progressiva e ben scritta, che da semplice comparsa arriva quasi a elevarlo, con il passare dei minuti, al ruolo di co-protagonista. Prima semplice addetto alle riparazioni, poi maestro di karate unico e inimitabile. Indimenticabili sono la sua simpatia, la proverbiale calma e la capacità di analizzare al meglio ogni situazione. Iconiche la sua saggezza, la sua falsa aura di onniscienza e il suo sguardo tagliente, capace di penetrare in profondità.
Un uomo buono a cui la sceneggiatura dona un meritato anche se superficiale approfondimento, scavando in un passato di dolore, nostalgia e umana imperfezione.
Amicizia
A tessere il filo conduttore di The Karate Kid non è però un singolo personaggio, bensì il legame tra Daniel LaRusso e il suo maestro. L’amicizia tra Miyagi e Daniel è frutto di una scrittura ancora una volta ben confezionata ed elaborata a puntino. I primi contatti, l’iniziale timore reverenziale, la scoperta, l’addestramento. Un’amicizia che attraversa diverse fasi, senza fretta, lasciando che il rapporto tra i due si rafforzi con naturalezza e sincerità d’animo.
Metti la cera, togli la cera. Questa l’espressione cult capace di racchiudere il significato profondo di un film che è crescita, maturazione, volontà di migliorare se stessi, ma soprattutto fiducia e capacità di ascolto. Poiché l’amicizia nasce dal rispetto, base imprescindibile per poter imparare, base necessaria per poter insegnare.
Morale
Ad emergere, nel corso del film, è anche una forte componente morale; insegnamenti che trascendono la componente sportiva per farsi lezioni di vita preziose, da custodire gelosamente. La morale del duro lavoro, necessario a raggiungere qualsiasi obiettivo; la morale del saper credere in se stessi, senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà di ogni singolo giorno. Una morale che passa inevitabilmente anche dallo scontro adolescenziale tra Daniel LaRusso e Johnny Lawrence, ma che, intelligentemente, non si ferma all’arcaica contrapposizione bianco contro nero, luce contro oscurità. Daniel e Johnny, per quanto modello di una fase giovanile piuttosto comune, sono semplici pretesti per un’indagine pedagogica di maggior portata.
The Karate Kid è prima di tutto glorioso manifesto del buon insegnamento. Non può esistere un buon allievo senza un buon maestro e i personaggi di Ralph Macchio e William Zabka sono la rappresentazione più pura di questo semplice assunto. Lo si legge nel volto affettuosamente inflessibile di Miyagi, nella cattiveria del Sensei John Krease, nello sguardo spaventato di un ragazzo che non è malvagio ma solo mal educato.
Lo si legge in una redenzione finale, all’insegna dei valori dello sport e della correttezza.
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