Viviamo in un’epoca in cui il valore dei simboli è più che mai cruciale. Innanzitutto, perché siamo circondati dalle immagini: stiamo vivendo cioè uno di quelli che Mithcell chiamò “visual turns”, momenti storici caratterizzati da una forte preoccupazione per il significato, l’interpretazione, la sovrabbondanza di rappresentazioni visuali. Poi, perché oggi più che mai, la cultura e la storia sono filtrate da una mentalità spiccia e da giudizi superficiali e parziali come quelli del tifoso di calcio, atti ad acquisire “un vantaggio morale, prima ancora che materiale” (Paolo Condò). Di qui la polarizzazione fra sostenitori oltranzisti e “illiberali” (per dirla con l’Economist) della cancel culture, e conservatori irriguardosamente e sboccatamente avversi all’inclusione e alla tolleranza.
Uno dei simboli più centrali della politica e della cultura novecentesca è indubitabilmente il fascio littorio, che dal 1914 fu scelto nel nome e nel simbolo dei “Fasci di azione rivoluzionaria”, promotori dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale, e dal 1919 anche del movimento dei “Fasci di combattimento”, fondato proprio in quell’anno a Milano da Benito Mussolini. Eppure, in pochi sanno di cosa si tratti. E soprattutto che questo simbolo è ancora oggi assai diffuso, e non solo tra i nostalgici del ventennio, e lo è, da molto prima del fascismo, anche in moltissimi monumenti e luoghi istituzionali di Paesi democratici.
La definizione Treccani
Secondo l’Enciclopedia Treccani, si definisce fascio littorio “lo strumento del potere coercitivo dei magistrati, simbolo del loro imperium”. Dal punto di vista fisico, l’oggetto consiste in un “fascio di verghe di olmo e betulla, lunghe circa 1,50 m, tenute insieme da corregge rosse in cui era inserita, lateralmente o sopra, una scure”. A portarlo con sé erano i littori, ufficiali subalterni che formavano la scorta dei magistrati e di altre autorità politiche, civili e religiose nell’antica Roma. Tra queste anche il pontifex maximus e le sacerdotesse Vestali.
Dibattuta è la questione della loro origine. Dovrebbe essere etrusca, stando all’interpretazione prevalente presso gli studiosi, che la ereditano da Tacito, che associa all’Etruria la stessa figura del littore. Concorda anche Silio Italico, secondo cui la città etrusca di Vetulonia “fu la prima città a far precedere dodici fasci e a congiungere a essi, in silenzioso terrore, altrettante scuri”.
Ipotesi sulla funzione
Altra questione discussa è quella della funzione e del significato dei fasci littori. Secondo Giacomo Maria Prati, al fascio sarebbe connessa una dimensione sacrale, spirituale, quasi magica e taumaturgica, come dimostrerebbe la frase di Silio Italico che vi associa attributi come il silenzio e il terrore. Non solo: lo confermerebbe anche il fatto che a essere provvisti di littori, coi relativi fasci, fossero anche le autorità religiose, come il pontefice massimo e le Vestali. Prati cita inoltre la tesi, da lui condivisa, secondo cui la divinità del pantheon greco-romano da associare al simbolo del fascio sarebbe Hermes-Mercurio.
In età monarchica, il discioglimento delle scuri e delle verghe avveniva in occasione di esecuzioni penali, anche capitali, e forse anche dei sacrifici umani, anche quelli ereditati dagli Etruschi. Ecco perché in età repubblicana, invece, le scuri venivano rimosse in città, a simboleggiare la limitazione del potere individuale del magistrato garantita dal diritto d’appello appannaggio dei cittadini. In generale, i fasci a Roma dovevano costituire un simbolo di potere, spesso un potere “di vita e di morte”, sui cittadini; ma più in generale un simbolo di auctoritas (cioè della facoltà di “augere”, accrescere, ampliare le potenzialità altrui) e di iustitia, una giustizia non certo processuale, piuttosto sacrale e insindacabile.
Il fascio littorio oggi
Ma perché il fascio littorio è entrato così prepotentemente nella simbologia di imperi, democrazie, autoritarismi dell’età moderna e di quella contemporanea? Ne abbiamo esempi ovunque. Negli USA si trovano sulle pareti della House of Representatives, su statue di George Washington e Abraham Lincoln (su tutte, il Lincoln Memorial di Washington DC) e di altri personaggi storici, su monete Liberty e stemmi di agenzie federali. Si possono citare ancora il caso italiano, con le repubbliche napoleoniche, giacobine e mazziniane sorte nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo, o ancora quello dello stesso Napoleone Bonaparte, fino al patriota venezuelano Simòn Bolivar.
Fra gusto neoclassico e ideologia
Come spiega ancora Prati, per trovare una risposta occorre chiamare in causa due componenti, spesso sovrapposte. La prima è il desiderio, influenzato dal gusto neoclassico e poi da quello Liberty, di richiamarsi all’Antica Roma attraverso una generica “allegoria morale”, quella che tutti conosciamo grazie al celeberrimo apologo di Menenio Agrippa: “e pluribus unum”, per dirla col motto degli USA, che associa i fasci ai cinquanta Stati e alle corregge la forza unificante della Federazione.
La seconda è la volontà di dotarsi di un “emblema di un nuovo corso politico, indicante un ritorno ai fasti di una Repubblica Universale, idealmente simile a quella dell’Antica Roma”. Lo studioso individua poi il paradosso intrinseco in operazioni come quella francese o statunitense: si tratta di utilizzare un segno “implicitamente imperiale” a una “nuova mitologia idealistico-patriottica” di specie antimonarchica. Non solo: un simbolo sfaccettato, ambiguo, plurivoco è stato storicamente associato a un significato unico e monolitico, quello del potere politico nella sua solenne e autoritaria affermazione.
Nani e giganti
Come comportarsi allora, eliminare i fasci dagli edifici pubblici di mezzo mondo o cercarne il significato storico? Conservare o rimuovere, contestualizzare o cancellare? Una ricetta infallibile e che metta d’accordo tutti non esiste. Ma in generale la rimozione, in questo e altri casi, assomiglia a un vigliacco tentativo di risolvere la complessità del contesto socio-culturale che ci circonda semplicemente negandola. Di scivolare nell’anacronismo, di trascurare il passato solo perché ci sembra troppo oneroso sostenerne il peso sulle nostre spalle: ma così si rimane nani, e non si diventa mai giganti.