Il problema è lo spreco, non la produzione

“Siamo quello che mangiamo”; se così è, allora, circa il 10% di noi è ben poco. Secondo gli ultimi dati della FAO (“The State of Food Security and Nutrition in the World”, 2021), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, infatti, circa il 10% della popolazione mondiale patisce la fame. Questo numero continua inesorabilmente e silenziosamente ad aumentare.

Tra emergenze epidemiologiche, cambiamenti climatici e crisi economico-finanziarie, troppo spesso ci si dimentica di una piaga sociale forse addirittura peggiore: la fame. Quest’ultima, ancor più del virus da SARS-Cov-2, non distingue tra giovani e anziani, ricchi e poveri, occidentale e orientali; la fame colpisce indiscriminatamente, senza pietà e, soprattutto, senza che un vaccino ne possa contrastare il decorso. Si pensi ai recenti orrori dell’Holodomor in Ucraina (1932-1933) o alla grande carestia cinese (1959-1961), solo per rifarsi a due esempi dal nostro recente passato.

Fame nel mondo e spreco alimentare

Nonostante i continui progressi della società odierna, la problematica della fame nel mondo è ancora ben radicata sul nostro pianeta. Ad oggi, infatti, circa 800 milioni di persone soffrono la fame, sebbene si produca a livello internazionale cibo a sufficienza per sfamare l’intera popolazione umana. Sempre secondo la FAO, infatti, oltre un terzo del cibo prodotto a livello globale va perso o sprecato. Più precisamente, il 14% del cibo prodotto va perso tra il momento della raccolta e quello della vendita al dettaglio; in termini monetari, ciò equivale a una perdita di 400 miliardi di dollari all’anno in valore alimentare. Risulta invece sprecato il 17% della produzione alimentare globale (11% negli ambienti domestici, 5% nel servizio alimentare e 1% nei punti di vendita al dettaglio).

L’Italia, la meno “sprecona”

In questo quadro, l’Italia rappresenta un esempio virtuoso. Secondo il recente Rapporto G8 sullo spreco alimentare nei Paesi economicamente più avanzati (Cina, Canada, Germania, Italia, Regno Unito, Russia, Spagna e Stati Uniti) sono gli italiani i meno “spreconi” in fatto di cibo, con soli 529 grammi di alimenti gettati nella spazzatura su base settimanale: trend in continua decrescita e che fa emergere come si dia sempre maggior valore al cibo. Di contro, gli statunitensi autodenunciano di sprecare quasi un chilo e mezzo di cibo, seguiti da cinesi, canadesi e tedeschi con circa un chilo di cibo sprecato settimanalmente.

Il Rapporto G8 ha identificato tre principali motivi alla base dello spreco alimentare: data di scadenza dimenticata (44% dei casi), cibo acquistato in eccesso (40% dei casi) o cucinato in sovrabbondanza (33%). In questo senso, i cittadini cinesi presentano le abitudini peggiori, risultando al primo posto in tutte e tre le categorie: il 61% di loro acquista troppo, il 64% cucina troppo abbondantemente e il 64% acquista inutilmente generi alimentari che successivamente dimentica di avere.

La Legge del 19 agosto 2016, n. 166

Tornando al Bel Paese, l’Italia sta affrontando con serietà la lotta contro lo spreco alimentare. Già dal 2016, infatti, è in vigore una Legge ad hoc (19 agosto 2016, n. 166) che si propone, fra l’altro, di contribuire a ridurre la produzione di rifiuti, promuovere il riuso e il riciclo nonché contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali stabiliti dal programma nazionale di prevenzione dei rifiuti.

Tale legge si rivolge agli enti pubblici e privati che perseguono finalità civiche e solidaristiche senza scopo di lucro (“soggetti donatari”). Gli operatori del settore alimentare possono cedere gratuitamente le eccedenze alimentari a soggetti donatari, i quali devono destinarle, anch’essi gratuitamente, in via prioritaria a favore di persone indigenti, se si tratta di prodotti idonei al consumo umano; altrimenti al sostegno di animali e all’auto-compostaggio.

Accanto a specifici interventi governativi, la lotta allo spreco alimentare può e deve essere combattuta anche a livello privato, da organizzazioni e singoli cittadini. In questo senso, una nota positiva è certamente rappresentata dalla nascita di apposite App, quali la danese Too Good To Go, con l’obiettivo di mettere in contatto privati e ristoranti/negozi con eccedenze di cibo invenduto di modo da eliminare o quantomeno ridurre gli sprechi alimentari.

Per contrastare la fame del mondo non occorre, infatti, aumentare la quantità di cibo; serve invece pensare a come razionalizzare quello che già viene prodotto. Il problema è lo spreco, non la produzione. La questione riguarda ora la giustizia sociale, il modo in cui la nostra società, attraverso l’economia e la politica, regola la gestione delle risorse e la distribuzione della ricchezza.

Il problema è lo spreco, non la produzione

La lotta agli sprechi alimentari è oramai una priorità a livello globale. Negli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dalle Nazioni unite (Agenda 2030) è presente uno specifico obiettivo riferito allo spreco alimentare, in base al quale si richiede di:

  • Dimezzare lo stesso, entro il 2030, su scala globale e
  • Ridurre le perdite alimentari lungo le filiere di produzione e l’offerta, comprese le perdite post-raccolta.

A livello comunitario, la Commissione europea si è impegnata a realizzare questo obiettivo, ponendolo come priorità all’interno del proprio piano d’azione a sostegno dell’economia circolare. Inoltre, per massimizzare il contributo di tutti gli attori del ciclo di vita della filiera alimentare, essa ha istituito una piattaforma per lo scambio di buone pratiche e azioni concrete per la lotta alle perdite e agli sprechi alimentari.

Per quanto riguarda lo spreco nei Paesi più ricchi, dunque, la battaglia è prettamente culturale. Lo stesso Obiettivo n. 2 dell’Agenda 2030 dell’Onu riporta, testualmente, quanto segue:

È giunto il momento di riconsiderare come coltiviamo, condividiamo e consumiamo il cibo […] È necessario un cambiamento profondo nel sistema mondiale agricolo e alimentare se vogliamo nutrire 795 milioni di persone che oggi soffrono la fame e gli altri 2 miliardi di persone che abiteranno il nostro pianeta nel 2050. Il settore alimentare e quello agricolo offrono soluzioni chiave per lo sviluppo, e sono vitali per l’eliminazione della fame e della povertà.

La soluzione principale alla fame del mondo, quindi, sta nella conservazione e distribuzione, in maniera più oculata, delle già abbondanti derrate alimentari attualmente prodotte. Per efficientare tale gestione, torna centrale la cultura; che si tratti di risorse alimentari, finanziarie o di vaccini contro una pandemia quale quella in corso, l’aspetto chiave sta nella capacità dell’essere umano di agire come tale e cioè con umanità e solidarietà verso il prossimo. Che importanza diamo alla vita e al sostegno verso chi è più debole e manca di risorse di base per i propri bisogni? Solo rispondendo correttamente a tale domanda potremo sperare di risolvere le tante e pressanti crisi che attanagliano la società moderna di cui tutti noi facciamo parte.

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