Da quando è iniziata la pandemia con il Covid-19 si è molto parlato di cambiamenti e di salute mentale e molte persone si sono aperte sulla propria situazione emotiva. Sin dall’inizio si è potuto notare come i e le giovani fossero quelli a risentirne maggiormente, escludendo ovviamente coloro che si trovavano in terapia intensiva.
Problemi tecnici per seguire le lezioni e anche per laurearsi, dato che non tutti gli atenei erano organizzati, non poter vedere i e le proprie partner e amicizie, i e le fuori sede spesso bloccati soli e lontani dalla famiglia per sicurezza. Moltissimi e moltissime hanno incontrato ancora più difficoltà nel trovare lavoro o l’hanno addirittura perso, soprattutto le donne, e nel caso fortuito in cui si riuscisse a lavorare da casa, nel cosiddetto smart working in remoto, non si riusciva più a separare il lavoro dalla vita privata, “l’ufficio” dalla casa, portando a livelli di stress e alienazione altissimi.
Stando a delle recenti ricerche, il 33% di coloro facenti parte della Generazione Z e il 25% dei e delle Millennial hanno perso il lavoro durante la pandemia, contro il 14% delle generazioni precedenti. Inoltre, in relazione alla pandemia da Covid-19, Erlanger Turner, psicologo presso la Pepperdine University, sottolinea come alti livelli di stress, particolarmente diffusi tra le persone più giovani, possano intaccare il sistema immunitario, rendendo ancora più difficile per l’organismo affrontare un eventuale contagio di Covid-19.
Per ragioni poi generazionali e sociali, i e le millennials vengono ancora percepiti come dei “ragazzini” dalla società e dagli altri adulti, causando un diffuso senso di frustrazione e impotenza, vedendo la propria realtà e i propri problemi costantemente sminuiti. Inoltre, questo essere forzatamente rinchiusi e rinchiuse dentro casa ha aumentato un già esistente forte senso di insoddisfazione, frustrazione e inadeguatezza diffusissimo tra i e le millennial: parliamo della quarter-life crisis.
Cos’è la quarter-life crisis?
La quarter-life crisis, letteralmente crisi del quarto di vita, somiglia di base alla più nota crisi di mezz’età, anche se dalle statistiche sembra essere addirittura più diffusa. Il ricercatore dell’Università di Greenwich di Londra, il dottor Oliver Robinson, specifica come suddetta crisi non abbia propriamente luogo in quello che definiremmo il vero e proprio quarto di secolo, bensì nel periodo che rappresenta il primo quarto dell’età adulta, coinvolgendo quindi persone tra i venticinque e trent’anni.
La sua ricerca è supportata da un sondaggio, dal quale risulta che l’86% dei e delle 1100 giovani intervistate ha ammesso di sentirsi sotto pressione dal punto di vista sentimentale e finanziario, come se avessero l’obbligo di raggiungere certi traguardi necessariamente prima dei trent’anni. Due su cinque presentano preoccupazioni inerenti il denaro, dichiarando di non guadagnare abbastanza, e il 32% sente le pressioni esterne di chi si aspetta che ci si sposi e si abbiano figli entro i trent’anni. Il 6% pensava di emigrare e il 21% di reinventarsi e cambiare completamente carriera.
Il fenomeno sta diventando di una tale portata che è stato anche pubblicato un libro a esso dedicato: Get It Together: A Guide to Surviving Your Quarterlife Crisis, di Damian Barr. All’interno di questo volume viene rimarcato come l’idea che questo periodo della vita debba essere il migliore, il più frizzante e leggero sia sbagliata, poiché gli attuali venticinquenni non hanno lo stesso stile di vita, necessità e contesto sociale dei propri genitori.
Stando alle stime della Depression Alliance, circa un terzo delle persone rientrati in questa fascia d’età soffre di depressione. Sembrerebbe, infatti, che lo svilupparsi della depressione si sia abbassato dai quaranta/cinquanta anni di un tempo agli attuali venti/trenta anni.
L’applicazione di crescita personale Happify ha svolto una ricerca con un campione di 88000 persone (tutte utenti di suddetta applicazione). Sono stati osservati vari indicatori psicologici di tutti coloro che hanno utilizzato Happify durante l’anno 2015 ed è stato rilevato come la quarter-life crisis sia non solo un fenomeno reale, ma sempre più diffuso. Si è potuto però anche osservare come, una volta superato questo periodo, se ne possa trarre giovamento. I livelli di stress, infatti, sembrano aumentare vertiginosamente intorno alla fascia dei venti/trent’anni, per poi rimanere inizialmente stabili e infine calare dai quarant’anni in poi. Per la precisione, non è che lo stress sparisca o diminuisca in sé dai quarant’anni in poi, bensì è la reazione emotiva dell’individuo a calare. Aumenta il livello di soddisfazione personale e anche la quantità di emozioni e sensazioni positive che si provano, assieme alla prospettiva con la quale si vive e affronta la vita.
Riconoscerne e conoscerne le fasi
Nonostante i dati e le ricerche appena menzionate, non bisogna né perdere le speranze né pensare che si tratti di un processo nebuloso al quale bene o male tutte e tutti sono condannati. Sono state infatti individuate quattro fasi della quarter-life crisis, che permettono di mettere meglio a fuoco questo fenomeno.
- Nella prima ci si sente frustrati/e, bloccati/e in determinate situazioni e contesti (un certo posto di lavoro, carriera, situazione sentimentale…). Si vorrebbe uscirne ma non si riesce. È diffuso un senso di solitudine, impotenza, tristezza e alle volte anche di isolamento. C’è anche l’impressione di star vivendo una falsa età adulta.
- Nella seconda fase si inizia finalmente ad avere l’impressione che un cambiamento sia effettivamente possibile. Può essere un processo tanto lungo quanto corto e anche riproporsi in più step, ma in ogni caso implica riflessione, rimessa in discussione di molte cose e non è sicuramente né una fase semplice né piacevole.
- Nella terza fase c’è l’effettivo cambiamento, la ricostruzione della propria situazione.
- Nella quarta e ultima fase si consolida la nuova realtà della persona, teoricamente più adatta e idonea alle sue aspirazioni.
Si ipotizza che una delle ulteriori ragioni dietro questa crisi sia che attorno a suddetta età tendano a essere ormai sviluppate le capacità emotive, tecniche e psicologiche per capire e analizzare al meglio la propria situazione, per riuscire a regolare le proprie emozioni invece di farsi condizionare da loro e, di conseguenza, comprendere se davvero ciò che si sta vivendo è quel che si vuole o meno.
A differenza delle generazioni precedenti, inoltre, i e le millennial sono molto più propense e propensi ad aprirsi sulla propria salute mentale e vanno più spesso e più di buon grado da dei e delle professioniste (psicologi/ghe, terapisti/e…) a seconda della necessità, proprio grazie alla riduzione dello stigma inerente alla salute mentale.
Ormai non è più né difficile né raro vedere molte persone, spesso direttamente interessate, parlarne sui social, soprattutto Instagram. Si parla sempre con meno stigma di come ci si sente, di svariati problemi, alcuni più diffusi e altri di nicchia, e si creano anche post informativi o di riflessione, ormai anche in italiano (come ad esempio questo).
Come affrontarla?
Esistono delle tecniche per convivere meglio con questo fenomeno e per poterlo superare al meglio. Parlarne aiuta sia chi sta vivendo un momento difficile sia chi legge o ascolta, perché potrebbe capire di più su di sé. Stando alle statistiche sembrerebbe che le donne tendano a essere più aperte degli uomini e ad affrontare prima il problema.
Prendere coscienza e consapevolezza che non si è soli o sole, che si tratta di un sentimento diffuso e soprattutto perfettamente comprensibile e spiegabile, aiuta a sentirsi meno a terra o impotenti. Un ulteriore step, nel caso in cui si abbia una laurea e si stia cercando lavoro o nel caso in cui il proprio lavoro sia insoddisfacente, è quello di cercare di non farsi limitare e definire solamente dal proprio titolo di studio. Una persona non è mai solamente la propria laurea, qualifica o voto. Spesso attenersi religiosamente solo a quanto indicato sul tanto agognato pezzo di carta può danneggiare più che aiutare, impedendo di guardarsi intorno e prendere in considerazione tante altre opzioni o, non di rado, di ammettere che si è cambiato idea e magari non si vuole lavorare in quell’ambito.
Infine ripetersi e ricordarsi, di tanto in tanto, che passerà. Può sembrare scontato e magari lì per lì può anche sembrare una bella frase fatta, ma è la verità per la stragrande maggioranza delle persone e dei casi. Nulla è infinito, nel bene e nel male. Prima se ne prende coscienza, prima si potranno riprendere le redini della propria vita e provare a modificarla nella maniera più adatta e consona alle proprie aspirazioni e necessità.
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