Per l’anno corrente, l’Accademia svedese ha assegnato l’ambito premio Nobel per la Letteratura a Abdulrazak Gurnah, primo scrittore africano nero a ricevere un tale riconoscimento dal 1986, quando era toccato a Wole Soyinka. L’autore, originario di Zanzibar ma naturalizzato inglese, ha fatto del colonialismo e delle conseguenze vissute dai rifugiati i tratti salienti delle proprie opere. Non preoccupandosi tanto della diffusione dei suoi testi, quanto della veridicità dei racconti, Gurnah ha sempre preferito dare «un’altra interpretazione della storia», una versione reale per quanto dura del destino a cui i rifugiati vanno incontro.
Nel corso delle prossime righe, avremo così l’occasione di conoscere meglio uno scrittore che ancora oggi è poco noto ai più, soprattutto in Italia, dove non gode di una grande fama. La complessità del suo mondo non deve esserci da ostacolo, ma può piuttosto trasformarsi in un valore aggiunto per chi si ritroverà in mano le sue opere. Quando sin dai primi anni la vita ci pone di fronte a sfide molto dure, la corazza che ci portiamo dietro diventa inevitabilmente più dura. E questo vale soprattutto per chi decide ad un certo punto di raccontarsi, e lo fa nella maniera più sincera possibile. Scrivere è un modo per esorcizzare, e, per usare le parole di Gurnah, «rifiutare i pregiudizi sommari e supponenti».
All’inizio, tanti cambiamenti
Abdulrazak Gurnah nasce nel 1948. Cresce a Zanzibar, un’isola nell’Oceano Indiano, in cui la situazione politica è da sempre assai complicata. Il 19 dicembre del 1963, infatti, la suddetta regione ottiene l’indipendenza dal Regno Unito, e ciò porta alla costituzione di un sistema di governo guidato dal sultano Jamshid bin Abdullah. Questi, tuttavia, insieme a un’élite politica araba, instaura un regime fondato sul razzismo verso la maggior parte della popolazione nera. Così, si innescano moti di rivolta da parte di numerosi gruppi, che culminano nella Rivoluzione del gennaio 1964, e portano alla caduta del sultanato.
Gurnah, nel frattempo, è poco più che adolescente e vive tutte queste tensioni politiche in prima persona. Dopo la rivoluzione, ad aprile dello stesso anno, vede salire al potere Abeid Karume, che ottiene l’incarico di primo presidente della Repubblica Popolare di Zanzibar. Successivamente, diventa anche Vicepresidente della Tanzania, avendo stretto un accordo con Julius Nyerere, a sua volta presidente del Tanganica indipendente.
Una situazione complicata e la fuga
Un tale quadro politico per Gurnah si rivela l’inizio del cambiamento che da quel momento in poi determinerà tutta la sua vita. In effetti, il nuovo regime del presidente Karume si rivela opprimente per il gruppo etnico a cui appartiene il futuro scrittore. Così, all’età di diciotto anni, è costretto a fuggire insieme a suo fratello, e si trasferisce nel Regno Unito. Qui sono inizialmente ospitati da un loro cugino impegnato in un dottorato di ricerca nel Kent.
Si tratta di anni abbastanza complicati, pieni di cambiamenti e di sofferenze per aver dovuto lasciare la propria famiglia. Solo nel 1984 gli viene permesso di ritornare a Zanzibar, dove può rivedere i genitori poco prima della morte del padre. È in questo momento che iniziano a mettersi insieme i tasselli che andranno a comporre i futuri romanzi di Abdulrazak Gurnah, e che consolidano la sua passione per la scrittura, nata già da piccolissimo.
Da insegnante a scrittore
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la vita di Gurnah si trasforma completamente. L’esigenza di una formazione ancora più specifica e la passione per le materie letterarie, lo spingono a frequentare nell’82 un dottorato presso l’Università del Kent. Ed è proprio qui che dopo qualche anno inizia la sua duratura carriera accademica. Infatti, dal 1985 fino al pensionamento, è professore di letteratura inglese e postcoloniale.
Contemporaneamente, però, Gurnah non può far a meno di portare avanti la sua più vera inclinazione, cioè la scrittura, la quale tuttavia cambia le sue prerogative nel momento in cui l’autore si allontana dalla terra d’origine. Durante il discorso di ringraziamento per il Nobel appena ricevuto, in effetti, lui stesso chiarisce questo particolare aspetto:
La lettura e la scrittura che seguirono furono attività ordinate, se paragonate alle esperienze caotiche della gioventù, ma sempre fonte di piacere e quasi mai di conflitto. Poco a poco, tuttavia, si tramutarono in un altro genere di piacere. Non me ne resi conto pienamente finché non andai a vivere in Inghilterra. Fu laggiù, in preda alla nostalgia e tormentato dall’angoscia dell’espatrio, che cominciai a riflettere su tante cose che non avevo mai preso in considerazione fino ad allora. Fu durante quegli anni, quel lungo periodo di povertà ed emarginazione, che mi dedicai a un genere diverso di scrittura. Compresi, in quel momento, che c’era qualcosa che dovevo dire, avevo un compito da svolgere, rimpianti e torti da considerare e far uscire allo scoperto.
Le opere più note
Il primo romanzo di Abdulrazak Gurnah risale già al 1973, e porta il titolo di Memory of Departure. Ma inizialmente non viene accettato dalla Heinemann African Writers Series, grazie alla quale invece molti autori africani hanno raggiunto la fama mondiale. Gurnah dovrà aspettare il 1987, quando l’editore inglese Cape pubblica finalmente il manoscritto, che tra l’altro aprirà la via a temi poi centrali nella sua letteratura, quali appunto l’importanza della memoria.
Nel corso degli anni successivi escono Pilgrims Way (1988), Dottie (1990) e Paradise (1994). Quest’ultima opera è finalista al noto Booker Prize e ha una sua versione in italiano, tradotta da Laura Noulian per Garzanti, nel 2007. In realtà, il primo romanzo di Gurnah a essere diffuso in traduzione in Italia risale al 2002 ed è intitolato Sulla Riva del Mare. A seguirlo c’è Il disertore, tradotto invece nel 2006.
Naturalmente, gli argomenti principali si legano tutti all’esperienza vissuta dallo scrittore in prima persona. L’ambientazione prevalente nei suoi racconti rimane la costa dell’Africa Orientale, mentre i suoi personaggi sono tutti, in diversa misura, coinvolti nella ricerca di una propria identità culturale e sociale, o comunque assediati da un forte senso di sradicamento, che li porta a dover ricostruire parti della loro vita dall’inizio.
Verso il Nobel
Insomma, già da questi piccoli dettagli è evidente quanto la letteratura di Gurnah si sia impressa all’interno della memoria culturale di eventi storici molto complessi, come il fenomeno del colonialismo. L’obiettivo dello scrittore, stando alle sue stesse parole, riguarda la volontà di riportare i fatti attraverso la verità di chi li ha vissuti in prima persona, riuscendo a trasmettere la storia secondo una nuova visione.
È stato necessario fare uno sforzo per salvaguardare quella memoria, scrivere di ciò che era stato, recuperare i momenti e le storie che animavano la vita delle persone e le aiutavano a capire sé stesse. È stato necessario scrivere delle persecuzioni e della ferocia che i nostri governanti, con la loro arroganza, hanno tentato di cancellare dalla nostra memoria.
Con queste stesse premesse, il 7 ottobre del 2021 Abdulrazak Gurnah vince il Premio Nobel per la Letteratura. La motivazione è chiara: «per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti».
Nel discorso di ringraziamento che Gurnah ha pronunciato, è racchiuso tutto il suo universo personale e letterario. Il destino di un uomo che ha fatto delle difficoltà e dei momenti bui della sua vita, il trampolino per raggiungere i sogni più grandi, cercando di raccontare la sua storia al mondo; una storia in cui è possibile riconoscersi, concreta e misurata, ma vera e profonda.
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