Viola Di Grado, classe 1987, è una delle voci più originali e complesse del panorama letterario italiano contemporaneo. Di Grado nasce a Catania e studia Lingue e Filosofie orientali tra Torino e Londra. È autrice di quattro romanzi: Settanta acrilico trenta lana (Edizioni e/o, 2011), vincitore del Premio Campiello Opera Prima, Cuore cavo (Edizioni e/o, 2013), Bambini di ferro (La Nave di Teseo, 2016) e Fuoco al cielo (La Nave di Teseo, 2019). Di Grado ha anche tradotto Non morire (Anne Boyer, La Nave di Teseo, 2020) e Nuovo cielo, nuova terra (Joyce Carol Oates, La Nave di Teseo, 2020) e, attualmente, collabora con diverse riviste.
Tra mistero e crudo realismo, Di Grado racconta storie di donne e madri con una voce intensa, incisiva e riconoscibilissima.
Settanta Acrilico Trenta Lana
Il primo romanzo di Viola Di Grado è il racconto di una tragedia familiare. Camelia, la protagonista e voce narrante, vive nella gelida e spettrale Leeds con i genitori. Il padre muore in un incidente: cade in un fosso mentre si trova in auto con un’altra donna, e la madre Lidia smette di parlare. Camelia inizierà a sviluppare l’ossessione per i buchi e la distruzione di se stessa e degli oggetti che la circondano, gli abiti in particolare.
Il racconto è affidato a una figlia che porta il peso della disgregazione della sua famiglia. Nella sua lucida follia, Camelia cercherà di tenere insieme i pezzi, in un’operazione di scucitura e ricucitura di rapporti, discorsi e vestiti.
Da quando Lidia rimane muta, Camelia inizia a parlarle nella lingua degli sguardi. E il silenzio che affligge la loro relazione è colmato dall’autrice attraverso l’uso di un lessico densissimo e trasbordante che trascende i confini dei campi semantici e sfocia in un interessantissimo esperimento linguistico.
Nella cura è poi la chiave del rapporto madre-figlia raccontato da Di Grado nel romanzo. Dopo la morte del marito e la scoperta del tradimento, Lidia non smette solo di parlare, ma anche di prendersi cura di sé. Camelia si ritrova orfana di padre e di madre allo stesso momento. Non riconosce più in Lidia la donna bellissima ed elegante, la madre a cui non assomiglia. Inizierà ad accudirla, sebbene i mezzi a disposizione siano pochi i mezzi, tra l’adorazione per la figura materna e la rabbia per la sua condizione.
Cuore Cavo
Anche Cuore Cavo, il secondo romanzo di Viola Di Grado, racconta una tragedia familiare. E la protagonista e voce narrante è proprio colei che ha causato la tragedia: Dorotea Giglio.
Dorotea Giglio si suicida poco più che ventenne nella vasca da bagno della sua casa a Catania, nell’incipit del romanzo. Alla voce di una giovane donna morta suicida è affidata la narrazione.
Invisibile ai vivi, Dorotea continuerà ad aggirarsi nella sua Catania, tra la casa d’infanzia, il posto di lavoro e l’abitazione dell’ex fidanzato, mentre documenta lo stato di decomposizione del proprio corpo sotto terra.
Prima di suicidarsi, Dorotea viveva con la madre Greta e sul loro matriarcato aleggiava già l’ombra di un’altra morte sospetta: quella di una delle sorelle di Greta, Lidia, affondata nel fiume Cassibile.
Dopo la sua scomparsa, Dorotea cercherà di riprendere le comunicazioni con la madre e con zia Clara, l’altra sorella di Greta. Si sdraierà al fianco della madre, instabile e depressa, aggiungerà un posto a tavola durante i pranzi di famiglia, ma non riuscirà mai più a mettersi in contatto con loro. Nel limbo dell’impossibilità di comunicare, Dorotea veglierà sul suo gineceo e cercherà di proteggerlo, in un tentativo di cura delle donne della sua famiglia che trascende i limiti fisici e spazio-temporali della morte.
Bambini di ferro
Se Camelia e Dorotea si prendono cura delle proprie madri, donne fragili e depresse, verso cui nutrono sentimenti conflittuali, Yuki, la protagonista di Bambini di ferro, è orfana e patisce il distacco dalla madre artificiale.
In un Giappone distopico del prossimo futuro, i bambini orfani vengono affidati in via sperimentale alle cure di una Unità Madre Sintetica. Ma l’esperimento fallisce e l’Unità Madre Sintetica viene distrutta e smaltita. Yuki conserverà di lei il dito indice e si avventurerà spesso nella discarica in cerca dei pezzi di sua madre.
Yuki è la prima figlia effettivamente orfana dei romanzi di Viola Di Grado, ma la sua condizione non è troppo dissimile nella sostanza da quella di Camelia e Dorotea. Anche le altre due protagoniste, nel tentativo di cura delle rispettive genitrici, cercano le donne che le loro madri erano. Lidia, la mamma di Camelia, è irriconoscibile, mentre Greta è devastata dal dolore. Fantasmi delle madri che sono state: entrambe sono vive, ma non esistono, sono assenti e irraggiungibili.
Fuoco al cielo
Fuoco al cielo è l’ultimo romanzo di Viola Di Grado e Tamara, la sua protagonista, la prima donna madre.
Tamara vive a Musljumovo, la “città segreta” al confine della Siberia, nota per essere il luogo più radioattivo al mondo. Tamara è la matta del villaggio, spesso aggredita ed emarginata. Sente le voci e dice di parlare con Dio. Dopo l’aborto, sarà proprio questa voce a condurre Tamara alla scoperta di un essere, vivo, senza sesso, con la testa appuntita e i denti aguzzi. Attraverso questa entità, che Tamara si convincerà essere il suo bambino perduto, la protagonista sfogherà e alimenterà il fuoco dell’istinto materno frustrato.
La cura per l’essere sfocerà persino in un doloroso tentativo di allattamento. Tamara verrà ricoverata e la sua follia conclamata. Un test sul DNA dell’essere confermerà invece la sua natura non umana.
Per la prima volta, nella produzione di Di Grado, la protagonista del romanzo è una madre e non una figlia. Ma Tamara, orfana di entrambi i genitori, è madre nella stessa maniera dolorosa e disperata in cui Camelia, Dorotea e Yuki sono figlie.
Questa lettura dei rapporti madri-figlie nei romanzi di Di Grado è solo una parte della più complessa produzione dell’autrice, ma ben si lega a uno dei suoi temi dominanti: l’incomunicabilità. Che sia data da un mutismo post-traumatico, dall’impossibilità di valicare i limiti della morte o dal fatto di avere dall’altra parte qualcosa di non umano – l’Unità Madre Sintetica o l’essere – i legami tra madri e figlie sembrano segnati da una dolorosa solitudine e dall’impossibilità di passare la soglia l’una dell’altra. E questa difficoltà di raggiungersi è resa in maniera lucida e talvolta cruda, ma anche profonda ed emozionante dalla straordinaria penna di Viola Di Grado.
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