Tessere legami
L’amore scorre nelle vite degli uomini, legato a doppio filo con la frenetica concretezza della vita quotidiana, creando un groviglio sotterraneo di dinamiche che a volte, per il bene comune, è opportuno non districare.
Cos’è che ci lega l’uno con l’altro? In quanti e quali modi è declinabile il concetto di famiglia? Cosa accadrebbe se andassimo oltre le apparenze dei rapporti altrui?
Ci immergiamo nel complesso e intrigante sistema dei legami interpersonali col libro di Chiara Gamberale, Le luci nelle case degli altri, edito da Mondadori.
Trama
La trama è tutt’altro che banale. Gli abitanti di un palazzo del quartiere residenziale di Poggio Ameno si riuniscono, in seguito alla morte di Maria, la giovane, vitale e un po’ stravagante amministratrice di condominio. La scomparsa della giovane ragazza lascia una ferita più o meno profonda in ciascuno di loro, ma non è tutto.
La figlia di Maria, la piccola Mandorla, sei anni, si rivela essere, tramite una lettera giunta nelle mani dell’inquilina del piano terra, la figlia di uno degli uomini del palazzo. Dopo un’iniziale fase di shock e smarrimento, e dopo aver vagliato l’opzione più logica e sensata del test di paternità, gli inquilini decidono all’unanimità di crescere la bambina collettivamente, ospitandola ciascuno per un determinato periodo di tempo. Con l’avanzare degli anni, Mandorla sale di piano in piano, fino a raggiungere la maggiore età.
I -La signora Polidoro
Varchiamo l’uscio dell’appartamento del primo piano insieme a una bambina spaventata e disorientata e, insieme a lei, prendiamo discretamente per mano uno dei personaggi più interessanti della storia: Tina Polidoro.
Ex maestra ormai in pensione, sessantanove anni, una donna dall’indole bonaria e remissiva, abitudinaria e incline al pettegolezzo. Il personaggio possiede un’aura rassicurante e familiare, è un punto di riferimento per i condomini. Vive in un piccolo mondo ovattato, i cui confini coincidono con quelli del quartiere. Un piccolo mondo in cui ripararsi, fatto di abitudini che porta rigorosamente a termine per anni e che costituiscono un appiglio per le sue certezze.
Chiara Gamberale scava nel personaggio e ci mostra un passato costellato di rapporti pregni di mortificazione, scherno e sopraffazione, al contempo causa e conseguenza della sua indole remissiva e servile: “non c’è verso di farle dire ‘io’ a Tina”. Ci presenta una donna umile e pacata, dietro la cui facciata si nasconde un vibrante e disperato bisogno di compagnia e affetto, raccontandoci, in modo disarmante, cos’è la solitudine:
[…] continuerò per sempre a tenere solo per me il fatto che Tina, di notte, indossa un vestito blu, con le stesse maniche a sbuffo di quelli che comprava per me, pieno di piccole margherite bianche. Si scioglie i capelli sulle spalle: sembrano arbusti bruciati, ma sono tanti, e non lo diresti mai, a vedere la cipolla con cui se li raccoglie in testa durante il giorno. Poi si toglie le scarpe, allunga i piedi sul divano rosa pallido, dai braccioli consumati: e comincia a parlare. Con quel tale che si chiama Rocco, con i gemelli, con le cantanti più famose del mondo, con suo padre. Dipende da chi ha voglia di incontrare e può deciderlo benissimo all’ultimo momento: tanto con lei non c’è mai nessuno per davvero.
II – Cate, Samuele e il piccolo Lars
Qui la scrittrice ci racconta un legame in cui, esaurito l’entusiasmo iniziale, ci si rende conto di non essere sulla stessa lunghezza d’onda, di essere incompatibili, di portare avanti un rapporto che va via via logorandosi, alimentando stanchezza e insensatezza, e lo fa tramite i personaggi di Caterina e Samuele Grò. Lei è un’avvocatessa pragmatica, affidabile e risoluta. Lui un uomo divertente ma irresponsabile, che attribuisce i suoi fallimenti e i suoi errori a fattori esterni. Il loro figlio di pochi anni, Lars, è ciò che ancora li accomuna e li tiene insieme.
Non capivo, lì per lì, che cosa ci fosse nelle parole di Cate che ne stravolgesse il senso: non so se mi spiego. Che cosa trasformasse l’istinto di protezione in rabbia, la curiosità per il talento del marito in pena profonda, il desiderio di non disturbarlo nel bisogno di non venire disturbata, almeno di mattina. Tutte cose che sono certa sfuggivano prima di tutto a lei. Ma che a me ogni tanto arrivavano, misteriose e indistinte, e sulle quali non mi piaceva indugiare troppo a lungo.
III – Paolo e Michelangelo
Nell’appartamento del terzo piano vivono invece Paolo e Michelangelo, giovane coppia gay. L’indole di Paolo, però, è diametralmente opposta a quella di Michelangelo. Il primo è preciso, organizzato, passionale, l’altro distratto, poco introspettivo, sfuggente. Da questo contrasto emergono luci e ombre: nella vita di Michelangelo compare finalmente qualcuno in grado di portare conforto e sicurezza:
Quello che sa è che non può permettersi di perdere Paolo. Le sue spalle larghe, il modo che ha di trasformare come fosse un prestigiatore ogni problema teorico in soluzione pratica, il piede che gli infila fra i piedi un istante prima di addormentarsi. «Ma certo che lo voglio. Lo voglio e lo voglio».
Ma al contempo osserviamo la frustrazione che può derivare nell’amare qualcuno che possiede una sensibilità di gran lunga meno acuita della propria:
Quindi secondo te anziché farmi incazzare dovrebbe farmi piacere che, alla fine di una festa organizzata per lui, invece di chiacchierare o ringraziarmi o strusciarsi a me, Michelangelo prenda e si metta a russare?»
«Certo. Perché così è sicuro che non lo perdi.» Era ovvio, no? «Dove va, una persona che dorme? Non va da nessuna parte. Rimane lì. Come le chiavi quando sai dove le hai messe.»
Paolo allora ha fatto l’ultima cosa assurda della serata e mi ha preso, stretta, la faccia tra le mani per sussurrarmi, come se non volesse farsi sentire da Michelangelo: «Secondo te, Mandorla, le chiavi sono felici? Cioè, ci stanno volentieri, dove sappiamo di averle messe?
IV – Lorenzo e Lidia
Al quarto piano poi abitano Lorenzo e Lidia. Lui è un artista, un uomo colto, sarcastico e nichilista, tendente alla dissolutezza. Lei una donna piena di vita che però nasconde, in modo poco convincente, un certo vuoto interiore. I due hanno un rapporto tormentato, costellato di litigi, ma intenso. Il loro amore si discosta dalla convenzione, eppure posseggono un’intesa e un’affinità che, a più riprese, riesce a far funzionare la relazione.
Ti sembrerà sempre di stare con qualcuno che non è esattamente capace di esserci, Lidia: lo sai, vero? Perché se accetti questo io accetto una volta per tutte che, anche se non c’entri proprio niente con quello che immaginavo giusto per me, bene: sei la mia dipendenza.
V – La famiglia Barilla
All’ultimo piano troviamo infine quella che, nei canoni della società, è definita “famiglia tradizionale”. Cesare Barilla, rispettabile ingegnere, dall’aria sicura e rassicurante. La moglie Carmela, casalinga affabile e premurosa, madre di due figli: Giulia e Matteo. Visti dall’esterno come una famiglia perfetta: “L’ingegnere è una persona così perbene e sua moglie una donna tutta d’un pezzo”. Celano in realtà dinamiche che ben di discostano dall’apparente quadretto idilliaco.
Quando dalla tasca di quei pantaloni scivola un biglietto. Carmela lo apre, fa per leggerlo: ma poi lo strappa.
Conclusioni
Nel corso della lettura si ha l’impressione che i personaggi esistano davvero, grazie al talento descrittivo della Gamberale e al modo del tutto realistico in cui formula i dialoghi tra i personaggi. Il condominio diventa un vero e proprio microcosmo ricco di storie, punti di vista e colpi di scena, il finale brillante e inaspettato.
FONTI
Chiara Gamberale, “Le luci nelle case degli altri“, Mondadori, 2010
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