Lo scorso ottobre è stato tradotto per la prima volta in Italia “La meridiana“, volume scritto dall’autrice nordamericana Shirley Jackson. Pubblicato negli Stati Uniti nel 1958 con il titolo “The Sundial“, in Italia rappresenta un’altra tappa per la riscoperta dell’autrice da parte della casa editrice Adelphi.
Shirley Jackson, vissuta tra il 1916 e il 1965, è solo di recente oggetto di apprezzamento letterario, soprattutto nel Bel paese. Grande ispiratrice di Stephen King, è stata definita dal celebre autore una scrittrice “che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce“.
Shirley Jackson, la moglie stramba
Eppure, nonostante l’attuale status di riscoperta della regina del gotico statunitense, in vita non è stata considerata una scrittrice: infatti, nel momento in cui, prima di partorire il suo terzo figlio, è richiesta la sua professione, l’impiegato preferisce scrivere “casalinga”. Pubblicata anche da importanti editori statunitensi, muore all’età di quarantotto anni con quell’epiteto affisso su di lei come una condanna.
Sarà suo figlio, negli anni Novanta, a recuperare alcuni manoscritti incentrati sulla sua vita – raccolti poi nel volume Paranoia – in una scatola trovata davanti alla porta di casa sua, posta lì proprio come da un fantasma del passato.
Spesso presa di mira dalla madre sin da bambina, sposa il critico letterario Stanley Edgar Hyman e si trasferisce con questi nel Vermont. La vita in una piccola comunità è per Shirley un doppio danno: da un lato lei e il marito sono visti come l’intellettuale ebreo e la sua stramba moglie, dall’altro la vita coniugale sembra non incitarla nella scrittura o darle alcuna serenità. Nella chiusura casalinga, Shirley comincia ad assumere alcol, antidepressivi e pillole dimagranti, dipendenze che manifestano l’insofferenza dell’autrice per il clima claustrofobico di quell’America degli anni Cinquanta e Sessanta.
Shirley Jackson, la strega
Il microcosmo casalingo subisce una metamorfosi nella sua immaginazione. Come si evince da “Paranoia“, infatti, ogni elemento della sua stretta vita quotidiana assume una connotazione diversa, diventando elemento narrativo, scrittura, motivo di fantasia.
Come in tante altre storie di donne, così il valore della scrittura diventa vitale per la sopravvivenza. La sua casa diventa un vero e proprio antro stregonesco, che arricchisce con le parole e con i fatti attraverso la ripetizione di incantesimi e amuleti.
Così, a proposito della sua ricerca di spiritualismo tra gli oggetti inanimati e nella stessa casa, scrive ne “La vera me“:
Vivo in una vecchia casa umida con un fantasma che cammina rumorosamente in quella stanza in soffitta […], e la prima cosa che ho fatto quando ci siamo trasferiti qui è stato disegnare simboli magici a carboncino sulle soglie e sui davanzali delle finestre per tenere fuori i demoni, e in generale ha funzionato.
Dalla passione per i rituali alla losca immagine che comunica ai vicini, è innegabile che Shirley Jackson sia una strega moderna. La sua è la storia di una strega rinchiusa tra le mura di una società che la costringe alla casa e ai bambini, e da cui rifugge attraverso un senso magico della scrittura.
La casa, un antro stregato
Ciascuna delle opere di Shirley Jackson non fa che sprigionare lentamente queste vibrazioni stregonesche, tra scricchiolii e situazioni sinistre.
Da L’incubo di Hill House – romanzo che ha ispirato l’omonima serie tv di Netflix – ad “Abbiamo sempre vissuto nel castello” fino a “La meridiana“, gli elementi orrorifici delle sue opere sono spesso stati associati alla dimensione casalinga.
La casa, come in vita ha risucchiato le possibilità di carriera dell’autrice, così nei suoi romanzi è sede di un’elettricità tale da essere associabile a una protagonista dei suoi racconti. La casa nella narrativa di Shirley Jackson è un personaggio: si muove, parla, richiama e respinge.
È la casa ad avere un richiamo così forte per Eleanor de “L’Incubo di Hill House“, quasi a pretendere la sua presenza:
Hill House attendeva, arrogante e paziente.
Ed è sempre la casa, in questo caso una vecchia villa, a essere ne “La meridiana” il personaggio in assoluto con più potere decisionale. Qui, una famiglia reduce di un lutto – o meglio, di un omicidio – si affida completamente alla vecchia magione di famiglia per scappare da un’imminente apocalisse.
La villa sarebbe stata protetta durante la notte della distruzione e al termine ne sarebbero usciti salvi e puri. Erano responsabili del futuro dell’umanità; una volta fuori di lì avrebbero ereditato un mondo pulito e silenzioso.
La casa diventa il luogo della salvezza, qualcosa di sacro, di prepotente e protettivo, come un dio antico:
Ho pensato che questa villa diventerà una specie di santuario, per i nostri figli e per i loro figli. […] non avranno alcun interesse per le case, e per loro la parola tetto diventerà sinonimo di altare; […]
La pazza folla
Shirley Jackson riversa tra i suoi scritti anche e soprattutto alcune spaventose connotazioni dell’umanità. Una su tutte, il concetto di comunità, che in vita la giudica e che lei evita, soffrendo di agorafobia. La comunità assume nelle sue opere la connotazione di folla irrazionale, la vera bestia feroce che genera i più atroci orrori, completamente vittima delle sue pulsioni.
La comunità in Jackson è quella che appicca fuoco alla villa delle sorelle Blackwood in “Abbiamo sempre vissuto nel castello“, è la crudele comunità che lapida lo sfortunato sorteggiato ne “La lotteria“, è quella che crede ciecamente in visioni di antenati ne “La meridiana“. È nella collettività che risiede il Male, perché è nell’umanità che risiede. La folla è depositaria dell’orrore perché il terrificante, nella sua narrativa, risiede nella psiche umana.
L’orrore sussurrato
I demoni che infestano le case e le campagne non provengono da altri mondi; infatti, se l’elemento paranormale in alcune delle sue opere è inesistente, in altre è appena accennato. Ed è in quest’assenza che risiede la maestria con cui Shirley Jackson si appropria del genere horror: i fantasmi che più fanno paura in realtà sono quelli che esistono nella psiche dei personaggi.
Dalla piccola Fancy alla zia Fanny, personaggi de “La meridiana” sono talmente meschini – in un modo grottesco – da ignorare un omicidio e concentrarsi sul rinchiudersi in una villa per scappare alla fine del mondo. Merricat Blackwood di “Abbiamo sempre vissuto nel castello” è una ragazzina omicida, Eleanor de “L’Incubo di Hill House” perde il senno, tanto da voler rimanere in quella casa e da rimanere in contatto con essa.
Nevrotici, fragili, meschini, paranoici: lo spettro delle brutture dei personaggi jacksoniani è ampissimo. Sono personaggi estremi, capaci di odiare profondamente e quindi di ogni tipo di crudeltà: l’autrice attraverso di loro, riesce a infliggere paura, in un racconto al limite tra lo strambo e il paranormale, paralizzando così il lettore, privo di strumenti di comprensione.
Con la sua penna, Shirley Jackson è capace di perturbare la mente del lettore senza lasciarlo urlare, in una raggelante sensazione di un racconto sussurrato a lume di candela.
FONTI
Shirley Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello, Adelphi, 2009
Shirley Jackson, La lotteria, Adelphi, 2019
Shirley Jackson, La meridiana, Adelphi, 2021
Shirley Jackson, L’Incubo di Hill House, Adelphi, 2004