Amo Burri perché non è solo il pittore maggiore d’oggi
ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta.
Così Giuseppe Ungaretti, una delle voci letterarie più famose del XX secolo, apprezzò la poesia della materia di Alberto Burri. Oggi, l’eredità estetica dell’artista umbro è in mostra ad Alba, alla Fondazione Ferrero, nell’omonima mostra installata dal 9 ottobre al 30 gennaio 2022. Questa raccoglie tutta l’evoluzione artistica di Burri, a partire da uno dei primissimi lavori risalenti agli anni ’40, fino alle ultime opere della serie Oro Nero, risalenti al 1993.
L’esposizione si apre con un documentario di circa dieci minuti, proiettato nell’auditorium della Fondazione. Qui viene raccontata l’evoluzione pittorica dell’artista attraverso una guida narrante e riprese originali di Burri in studio. In questo modo, il pubblico conosce l’artista prima ancora di entrare nello spazio espositivo.
Gli inizi
Alberto Burri nasce a Città di Castello, in provincia di Perugia, nel 1915. Non studia arte, ma si laurea in medicina nel 1940 ed esercita come ufficiale medico durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1943 viene fatto prigioniero dagli inglesi e inviato in un campo di prigionia negli Stati Uniti, in Texas. È qui che comincia a dipingere, e non smetterà più: la pittura è infatti il mezzo attraverso il quale Burri esprime la sofferenza della guerra. Abbandona così la professione medica per dedicarsi alla pittura: tiene le prime mostre personali a Roma e negli anni successivi comincia a incorporare nella sua arte materiali extra-pittorici quali la pomice, il catrame e il Vinavil.
L’opera Rosso (1952) presenta un primo approccio alla tridimensionalità e alla materia: grazie all’unione di colori e texture la tela è resa pulsante, viva, come se qualcosa debba uscire e liberarsi. Negli anni ’50, Burri inaugura la fase materica dei Sacchi, che sarà protagonista della successiva scena artistica italiana e internazionale. L’artista riesce saggiamente a equilibrare la materia del sacco, i colori e le forme. Attraverso i tagli, gli strappi e le cuciture lo spettatore coglie l’essenza del materiale anche nella sua bellezza, non esclusivamente in chiave funzionale. Senza la presenza effettiva del sacco come materiale, Burri non avrebbe potuto rappresentare così bene il colore marrone e la superficie del sacco. È questo l’approccio alla poesia della materia.
Tuttavia Burri è un artista in continua evoluzione. Già alla fine degli anni ’50 si distacca dal sacco come materiale prediletto: amplia il suo immaginario e introduce la combustione nel processo artistico. Si rifà sempre a contrasti cromatici forti, ma con le opere dal titolo Combustioni suscita emozioni di un altro livello. Se in precedenza l’artista aggiungeva elementi alla tela, ora li aggiunge e poi li toglie violentemente attraverso la fiamma. Le tele che risultano sono così costellate di fori, strappi, e crateri e definiscono Burri come un alchimista, oltre che pittore.
Plastica, legno, ferro: la poesia della materia
Burri si avvale di diversi materiali per le sue opere, a partire dalla plastica. Sin dalla sua apparizione, quest’ultima è considerata il materiale meno nobile della modernità. Si rende portatrice di un modello produttivo ed economico basato sulla riproduzione, la copia e la perdita di originalità. Tuttavia, proprio questo materiale, nelle mani di Burri, diviene materia e poesia. Sia nel Grande Nero (1964), che nella Grande Plastica (1963), il rapporto distruttivo tra la fiamma e la materia assume i connotati di strappi, lacerazioni, buchi. Si può dire che Burri rappresenti, oltre che la poesia, l’entropia della materia.
Con il legno nascono invece composizioni più rigorose, proporzionate, meno tendenti all’entropia della materia. I fogli di legno incollati alla tela subiscono comunque azioni di combustione dettate dalla fiamma, ma decisamente di minore impatto ed entità.
Il ferro è la materia ultima, il grande passo di Burri verso una più complessa evoluzione artistica, non necessariamente vincolata a cavalletti e scuole d’arte. La fiamma ossidrica, la siderurgia e la materia della modernità rappresentano infatti il quotidiano corredo del nuovo artista attivo nel contesto italiano degli anni ’60 e ’70.
I cretti
I Cretti costituiscono infine una serie di opere legate al periodo artistico più maturo di Burri. In questa fase, l’artista comincia la realizzazione della più famosa opera di Land Art in Italia: il Cretto di Gibellina, di cui vi abbiamo parlato più nel dettaglio in un precedente articolo.
La fase dei Cretti rappresenta anche uno dei momenti più enigmatici della produzione artistica di Burri, in cui lui racconta il disfacimento della materia, ma anche la volontà di controllarne il processo. In queste opere avviene infatti la rottura del materiale acrilico, in maniera casuale, ma con una forte capacità visiva e di composizione. L’equilibrio di forme e rotture è così bilanciato e violento allo stesso tempo.
La fase finale: il rigore e la classicità
La mostra alla Fondazione Ferrero si chiude con l’ultima fase artistica di Burri, caratterizzata da composizioni armoniose e sezioni auree. Se negli anni ’50 l’artista si serviva del Cellotex come supporto alla tela, per isolare e insonorizzare la composizione, a partire dagli anni Settanta eleva la funzione del materiale: lo incide, lo spella e ne dipinge le superfici. Burri inizia poi a utilizzare l’oro in foglia come strumento pittorico. Le sue opere finali sono così dettate da un forte contrasto cromatico tra nero e oro.
L’identità di Burri come artista
Alla fine del percorso espositivo, l’identità artistica di Burri è sicuramente un tema interessante su cui discutere. Sebbene la critica lo consideri un pittore, in tutte le fasi dell’artista è presente un approccio scultoreo non indifferente. Dall’utilizzo della fiamma ossidrica, fino alla lavorazione del ferro, Burri dimostra di essere prima di tutto un profondo conoscitore dell’essenza della materia. A partire da materiali prevalentemente industriali, come la plastica, il ferro o il Cellotex, Burri eleva la materia, donandole una forte capacità espressiva. Ecco dunque che lo spettatore della mostra si trova a condividere la citazione iniziale di Ungaretti: Burri è stato, prima di tutto, un grande poeta.
CREDITI
Immagini: Giorgia Burzio