Pubblicità Parmigiano Reggiano: che cosa è andato storto?

«…l’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva 18 anni, tutti i giorni, 365 giorni l’anno»
«Ma davvero lavori 365 giorni l’anno?»
«Sì»
«E non hai mai visto il mare?»
«No»
«Parigi? Sciare?»
«No»
«E sei felice?»
«».

Queste le brevi, semplici battute dello spot di Parmigiano Reggiano che negli ultimi giorni è stato al centro di una bufera mediatica su cui sono stati spesi fiumi di inchiostro e tante parole. L’operazione pubblicitaria prevede spot televisivi, placement e brevi video da trasmettere online, il tutto sotto la direzione sapiente di Paolo Genovese. Innegabile il grosso impegno della famosa ditta di latticini, che per la campagna ha sborsato ben 4 milioni di euro. E allora, cosa è potuto andare storto?

Una legittima reazione di rabbia 

La prima reazione del pubblico, in particolare sul web, è stata storcere il naso. L’accusa è evidentemente quella di inneggiare allo sfruttamento del lavoratore, celebrando lo stakanovista come l’eroe instancabile che tiene in piedi l’intera azienda. I dialoghi dello spot sembrano in effetti condurre proprio a questa lettura, complice anche la faccia stravolta del povero Renatino che sembra davvero voler essere ovunque tranne che lì a lavorare 365 giorni l’anno.

Non è certamente un caso che la sensibilità rispetto a questo argomento sia alle stelle in un’era dove la presenza massiccia della tecnologia nell’ambito lavorativo può condurre a una rapida degenerazione del rapporto tra lavoratore e lavoro.

Il lavoro all’epoca della digitalizzazione

Oggi chiunque abbia un computer o un telefono cellulare con la suoneria attiva può rispondere ai bisogni del cliente potenzialmente 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Il sovraccarico dell’offerta nei servizi, dovuto al cosiddetto processo di terziarizzazione, fa sì che le compagnie spronino sempre di più i propri lavoratori a essere reattivi, in modo da non far aspettare troppo un cliente che, stufo della canzoncina che riempie i tempi di attesa, potrebbe rivolgersi a un’altra azienda.Stress a Lavoro

In fondo anche lo smart working, nuovo strumento che ha svelato il suo potenziale durante la pandemia, ha fatto sperimentare un po’ a tutti la sensazione della connessione perpetua, con gli orari di lavoro – e di studio – che si adagiano mollemente sulla consapevolezza che a ogni ora del giorno il computer o il cellulare si possono accendere per rispondere a quella mail importante.

La tecnologia è un’arma?

Non solo: a volte la tecnologia può trasformarsi in una vera e propria arma di ricatto per rendere più efficienti i lavoratori. Basti pensare ai corrieri del colosso Amazon, controllati a vista da un algoritmo che segnala all’azienda ogni spostamento effettuato durante l’orario di lavoro. Così capita anche che, come denuncia sulle pagine del Manifesto un lavoratore che preferisce mantenere l’anonimato, se si viaggia troppo lentamente si viene immediatamente contattati dagli addetti del controllo delle rotte, sotto segnalazione del sistema di tracciamento.

Cosa c’entra tutto questo con il mondo dei casali di Renatino? Le situazioni sono certamente differenti, ma figlie della stessa concezione svalutata del lavoratore, chiamato a sottostare a ritmi disumani per tenere il passo con i bisogni del mercato. Non c’è dubbio dunque che in una situazione come questa, comune a molti italiani e non solo, lo spot del Parmigiano abbia suscitato una certa collera: con le sue quattro battute la pubblicità riesce a colpire proprio il tasto dolente di un mondo del lavoro opprimente e senza più orari.

Un problema di comunicazione

La società a cui lo spot era rivolto è dunque terreno fertile per le polemiche ed era inevitabile, e anche prevedibile, che le parole di Renatino suscitassero l’indignazione di un pubblico che lo sfruttamento lo vive sulla propria pelle. Riders, fattorini, ma anche giornalisti, dipendenti di aziende private e liberi professionisti: categorie, queste insieme ad altre, che hanno forse percepito nei dialoghi della campagna pubblicitaria il rischio di una normalizzazione di un lavoro totalizzante che non lascia il tempo nemmeno di vedere il mare.

Strano però che un grande maestro del cinema come Paolo Genovese non si sia accorto delle insidie che un dialogo come quello messo in scena poteva riservare.

Secondo un articolo del «Sole24Ore» il grande errore che ha condannato lo spot a un insuccesso clamoroso è stato soprattutto quello di voler far uso del linguaggio cinematografico, di cui Genovese è illustre esponente, nel contesto pubblicitario. Se si riesce a superare l’indignazione iniziale e a mettersi dalla parte dei produttori dello spot il messaggio che voleva essere veicolato risulta abbastanza plausibile: il Parmigiano Reggiano viene lavorato tutti i giorni, in modo da seguirne con cura la preparazione e non lasciare nulla al caso. In quest’ottica Renatino non è che una metafora del duro lavoro di un’intera azienda, il cui impegno si distribuisce ovviamente su più persone.

Gli amigos: il mediometraggio dietro la pubblicità

Quello che nella pubblicità non emerge e che pochi sapranno è che la campagna a opera di Genovese nasce come un mediometraggio di 25 minuti, in cui si raccolta la storia di un gruppo di 5 amici che si uniscono per una sfida di cucina contro altre quattro squadre. A giudicare i piatti sarà un famoso chef pluristellato che ha messo in palio uno stage di sei mesi nella sua cucina per il team vincitore della competizione. Unica richiesta della sfida: usare per ogni piatto un ingrediente che faccia da fil rouge tra le varie pietanze, il Parmigiano Reggiano.

Parmigiano ReggianoComincia così il viaggio dei 5 amici, guidati dalle sagge parole di Stefano Fresi, attraverso l’intera filiera della produzione del famoso formaggio: dalla raccolta del latte, alla produzione in caseificio, fino all’approdo sulla tavola. In questo contesto molto più ampio di rappresentazione allegorica della preparazione del Parmigiano le battute di Renatino non sono così dirompenti come nello spot, perché più diluite e meglio contestualizzate.

Un fatale errore di pigrizia

La pubblicità non ha fatto altro che comprimere i dialoghi del mediometraggio per cogliere solo un piccolo spezzone di un progetto cinematografico più ampio.

Certamente le battute di Renatino restano le meno felici delle riprese, ma se inserite nel progetto iniziale, non emergono come una brutale celebrazione dello sfruttamento del lavoratore. L’errore che è stato fatto dunque è soprattutto un errore di pigrizia, più che di ingenuità: il linguaggio cinematografico risponde a regole comunicative differenti da quello pubblicitario, che deve essere più empatico e incisivo.

Non era pensabile una semplice operazione di taglia e cuci per creare degli spot vincenti. Con la campagna realizzata il significato dell’intero progetto viene completamente perso di vista dal pubblico, che non può che indignarsi davanti a un dialogo effettivamente ambiguo.

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