Fëdor Dostoevskij: 200 anni dopo la nascita di un rivoluzionario della letteratura

Duecento anni fa, l’11 novembre 1821, nasceva a Mosca uno dei più grandi scrittori di tutta la letteratura mondiale. Autore abilissimo, romanziere raffinato e pensatore arguto, Fëdor Dostoevskij ci ha lasciato un patrimonio narrativo dal valore inestimabile. Le sue opere sono tuttora punti di riferimento per intellettuali e studiosi, ma anche per quei lettori assai appassionati e fedeli a una visione profonda e mistica della letteratura. Una letteratura che mescola storie avvincenti e ricche di dettagli con profondi concetti filosofici ed esistenziali, creando un cortocircuito di significati spesso molto complicato da decifrare.

Un universo sconfinato, in cui l’uomo è sommerso dal suo vissuto e dalle sue debolezze, dai suoi demoni interiori e dalle idee che oltrepassano il proprio agire comune. Dostoevskij, attraverso i suoi romanzi, ci ha abituato a tutto questo, e dopo circa due secoli le sue storie sono più attuali che mai. Perciò, approfittando di un anniversario così importante, cogliamo l’occasione per ripercorrere a grandi immagini la vita e le opere di colui che per Sigmund Freud era secondo solo a William Shakespeare.

Primi anni

Fëdor Michajlovič Dostoevskij nasce in una famiglia benestante, secondo di otto figli. Il padre è un medico militare, mentre la madre a sua volta discende da ricchi commercianti. Il carattere paterno molto forte e autoritario viene mediato dal fare mite e allegro della madre, ed è proprio lei ad iniziare il giovane Fëdor alla passione per la musica e la letteratura.

Nel 1831, dopo aver ottenuto la menzione all’interno dell’albo d’oro della nobiltà di Mosca, tutta la famiglia si trasferisce nel governatorato di Tula. Tuttavia, alcuni tristi fatti avvenuti nel medesimo periodo segnano in modo irreversibile Dostoevskij, condizionando per sempre la sua vita e di conseguenza la sua formazione letteraria. La madre, infatti, muore dopo essersi ammalata gravemente di tisi e questo comporta il trasferimento di Fëdor e di suo fratello Michail in un convitto privato a San Pietroburgo. Qui entrambi studiano ingegneria militare; ma per il giovane scrittore, già proiettato verso forti interessi letterari, è una costrizione.

Sotto una cattiva stella

A colpire ancora più duramente l’infanzia di Dostoevskij arriva un altro terribile lutto. Il padre, che ormai aveva iniziato a bere, trova la morte per mano dei suoi stessi dipendenti. I contadini che si occupavano delle sue proprietà terriere, spinti dalle dure condizioni di lavoro, organizzano una rivolta che si conclude con l’uccisione dell’uomo. Per lo scrittore, solo diciassettenne, la conseguenza più forte di questo atto è l’insorgere di attacchi epilettici, con i quali dovrà convivere per il resto della vita.

Nonostante le grosse difficoltà, Fëdor riesce a portare a termine gli studi per diventare ufficiale. Ma capisce che quella non è affatto la strada giusta per lui, così dopo poco inizia a dedicarsi davvero alla scrittura, dando alla luce le prime opere da lui stesso riconosciute. Le condizioni di vita durante questi anni non sono per nulla semplici: la mancanza di denaro e i problemi di salute del giovane Dostoevskij pesano moltissimo sul suo animo e si riversano direttamente su carta.

Ciò è evidente già nel suo primo romanzo, intitolato Povera gente (1843), una cruda disamina della vita vissuta ai margini, di uomini soli e senza denaro, la cui esistenza è vissuta tra ansia e angoscia. Ma anche ne Il Sosia (1846), costruito interamente sul tema del doppio, che diventerà un tòpos letterario nei romanzi della maturità.

Condannato e graziato

Nell’aprile del ’43, Dostoevskij, per non perdere l’abitudine degli affanni, viene arrestato. L’accusa è di aver partecipato alle attività del circolo di M. V. Petraševskij per scopi sovversivi. In realtà, pare sia stato soltanto un curioso all’interno della suddetta società socialista; ma questo non gli permette comunque di evitare il carcere né tantomeno la condanna a morte tramite fucilazione. In questo caso, il destino sembra per una volta essere dalla parte di Fëdor, poiché, per un incredibile atto di magnanimità da parte dello zar, la pena capitale è tramutata in lavori forzati. Questo gli viene comunicato quando si trova già sul patibolo, e le conseguenze di una tale esperienza rimangono scolpite nell’animo fragile dello scrittore, sommandosi alle crisi epilettiche.

Nei romanzi successivi, tematiche del genere sono trattate in maniera molto chiara, rendendo visibile ai lettori quel velo autobiografico presente in tutti gli scritti di Dostoevskij. Sarebbe in effetti possibile ricostruire gran parte della complessa personalità dell’autore soltanto attraverso l’analisi dei suoi testi. Alcuni personaggi prendono proprio le sembianze del loro autore, e questo li rende ancora più interessanti da studiare. Tra tutti, ad esempio, il principe Myškin, protagonista de L’idiota, appunto gravemente malato di epilessia.

Una penna instancabile

Dopo aver trascorso un lunghissimo periodo di lavori forzati in Siberia per scontare la condanna, lo scrittore ritorna vicino San Pietroburgo. I primi anni Sessanta dell’Ottocento vedono da una parte la ripubblicazione di alcune opere già edite, in una nuova veste, rivedute e corrette; dall’altra la nascita di nuovi testi, tra cui Le Memorie del sottosuolo. Tuttavia, i problemi con le finanze, a causa del gioco d’azzardo, uniti alla salute sempre più compromessa per via dell’epilessia, lo portano nuovamente a partire, arrivando questa volta in Europa.

Le complicazioni sopraggiunte in un momento così complesso, però, non distolgono Dostoevskij dal suo obiettivo principale, cioè scrivere. È infatti proprio questa la stagione in cui nascono numerosi altri capolavori. Nel 1866 inizia la stesura di Delitto e Castigo, e subito dopo de L’idiota e Il Giocatore. Mentre nel ’70 si dedica alla stesura de I demoni. All’interno di tali opere vengono fuori gli aspetti più torbidi e problematici che hanno segnato drasticamente – e continuano a farlo – l’esistenza dello scrittore. Ma più che un tentativo di esorcizzarli attraverso la scrittura, Fëdor sembra voler riattraversare il suo vissuto tramite le maschere dei propri personaggi.

La gente spesso parla di crudeltà ‘bestiale’ dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie: un animale non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, crudele in maniera così artistica e creativa. 

L’atto finale

La sua vita ormai scorre tra un affanno e l’altro, con gli attacchi epilettici che non gli concedono tregua. Dopo la morte di due dei suoi figli, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, nel 1879 gli viene diagnosticato un enfisema polmonare. Ma lo stesso anno segna l’inizio della stesura di un nuovo capolavoro, forse quello più conosciuto in assoluto, cioè I fratelli Karamazov. Un viaggio nella psiche, nei destini e nei corpi di certi personaggi che varrebbero nella loro singolarità un’opera a sé.

Proprio a causa dell’enfisema, all’inizio del 1881 muore improvvisamente, in un freddo giorno di gennaio. La ricchezza delle opere che Dostoevskij ci ha lasciato è davvero impossibile da considerare nella sua totalità. La capacità analitica di indagare la mente dell’uomo attraversando i suoi demoni interiori e descrivendo le sue debolezze è a dir poco unica e soprattutto in avanti con i tempi.

Nonostante siano trascorsi esattamente 200 anni dalla sua nascita, lo scrittore moscovita continua comunque a parlare una lingua fin troppo contemporanea. Leggere le sue parole è un regalo per noi e per la nostra anima.


 

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