I Beni Culturali e il problema della restituzione

Il fenomeno della sottrazione dei beni culturali ai patrimoni dei paesi di origine è un problema antico, come il suo conseguente obbligo di restituzione.

Sono più antichi i beni o i loro problemi?

Storicamente tale pratica avviene in occasione dei conflitti armati, durante i quali l’esercito vincitore si è rivalso nei confronti del paese vinto anche attraverso importanti spoliazioni di beni culturali, furti e scavi clandestini per mano di privati che impoveriscono i patrimoni nazionali. La fuoriuscita dei beni culturali ha generato, sul versante della restituzione, due orientamenti: quello degli Stati importatori, i quali rivendicano la  intervenuta acquisizione al loro patrimonio dei beni esportati, e quello degli Stati esportatori che invece rivendicano i beni come propri.

Lo sguardo internazionale della tutela

La legislazione internazionale, vista l’importanza e la diffusione planetaria del problema, se ne è interessata ripetutamente, adottando varie convenzioni: per proteggere i beni culturali in caso di conflitto armato, attraverso la Convenzione Unesco dell’Aja del 1954; per impedire la loro illecita importazione, esportazione e trasferimento, con la Convenzione Unesco di Parigi del 1970; per ottenere la restituzione dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, sottoscrivendo la Convenzione Unidroit del 1995; ed infine per garantire la tutela del patrimonio archeologico da sfruttamenti illeciti, stilando la Convenzione Unesco di Parigi 2001 e la Convenzione del Consiglio d’Europa di Londra 1969.

Il Codice dei Beni Culturali come punto di riferimento

A livello nazionale, invece, è l’articolo 75 del Codice dei Beni culturali che regola la materia della restituzione dei beni usciti illegalmente dal nostro territorio:

Nell’ambito dell’Unione Europea, la restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro dopo il 31 dicembre 1992 è regolata dalle disposizioni della presente sezione, che recepiscono la direttiva UE.

La restituzione è ammessa per i beni di cui al comma 2 che rientrino in una delle categorie indicate alla lettera a) dell’allegato A, ovvero per quelli che, pur non rientrando in dette categorie, siano inventariati o catalogati come appartenenti a:

  • a) collezioni pubbliche museali, archivi e fondi di conservazione di biblioteche.
  • b) istituzioni ecclesiastiche.

Problema etico o storico-artistico?

Come si può leggere, da un punto di vista normativo il bene esportato illegalmente viene tutelato. Tuttavia la sottrazione crea anche un problema di ordine etico e storico, ed è su questa doppia linea che il dibattito negli ultimi anni: Di chi sono le cose antiche nei musei?

Tutti noi sappiamo dei Marmi del Partenone, che dalla metà dell’Ottocento si trovano a Londra; oppure dell’origine anatolica dei Cavalli di San Marco, così come della controversia recente che ha riguardato l’Italia e Il Getty Museum, in occasione della restituzione dell’Atleta vittorioso di Lisippo.

Reclining Dionysos, from Parthenon east pediment, British Museum, Londra.

Una voce del dibattito

Ioannis Stefanidis, docente di storia della diplomazia all’Università di Salonicco, è uno dei protagonisti del dibattito; lo studioso, riguardo ai Cavalli di San Marco, si chiede:

Chi avrebbe diritto a reclamare il rimpatrio dell’opera? I francesi, che l’hanno rubata per secondi? Dal punto di vista cronologico, la risposta è semplice: Costantinopoli nella sua forma odierna, Istanbul. Sono quindi i turchi che hanno il diritto di reclamare le statue, dato il loro legame con l’ippodromo, e nonostante l’assenza durata nove secoli e sebbene i cavalli non abbiano un legame con la cultura ottomana o turca?

Il professore greco quindi solleva il problema dal punto di vista sia artistico che museologico. La definizione stessa di bene culturale abbraccia anche questioni di tipo sociale, in quanto contribuisce alla storia e all’identità di un popolo. Quindi, la sottrazione del bene innesca un doppio meccanismo: da un lato crea un vuoto nel paese di origine e dall’altro arricchisce il paese che si impossessa di quel bene. Riuscireste voi ad immaginare un Louvre senza Gioconda (seppur acquistata legalmente da Napoleone) oppure il Pergamonmuseum senza la sua monumentale Porta di Ishtar?

Il museo come luogo di tutela

Probabilmente no. Ciò avviene perché se un bene per secoli appartiene a quel luogo, questo assume un valore restituito al bene stesso. Molti manufatti che si trovano in musei europei e americani provengono da zone del mondo i cui Stati non possono proteggere il loro patrimonio culturale. Questo avviene sia da un punto di vista storico-artistico che legislativo, in quanto alcuni Stati sembrerebbero non avere un sistema culturale e legislativo tale da garantire la giusta “vita” al bene restituito.

Tutto ciò crea una sorta di cortocircuito. Da un punto di vista storico, artistico e antropologico, la mancanza di beni culturali in questi paesi crea uno scompenso culturale; ma, d’altra parte, appare difficile colmare questo scompenso in modo immediato restituendo i beni. Spesso si tratta infatti di Paesi che non hanno i fondi necessari per adeguare i loro musei agli Standard minimi di qualità individuati dall’Icom (International Conuncil of Museum): conservazione, fruizione e valorizzazione. Pertanto, pur contribuendo ad aumentare il livello del sistema culturale, il rientro di alcuni beni in questi paesi dovrebbe necessariamente rispondere prima di tutto a questi principi. L’auspicio dell’Icom è quello di poter rinforzare il sistema culturale mondiale, in collaborazione con ogni singolo stato membro, al fine di realizzare una rete di controllo, promozione e conservazione attorno al bene culturale.

Il museo, con la sua struttura piramidale e il suo inserimento nel sistema culturale mondiale, può salvaguardare il bene culturale e garantirne la vita ospitandolo al suo interno. Si potrebbe ipotizzare nel frattempo (una prassi che alcuni musei già effettuano: si veda a tal proposito il Museo Egizio di Torino) di sottolinearne la restituzione morale e culturale, ma non fisica. Ossia promuovere incontri tra culture, organizzare convegni internazionali e stipulare accordi con i paesi di origine, al fine di creare una rete culturale veramente mondiale.

Italia, Europa e Mondo per la tutela

Nell’epoca della Cancel Culture, dove il politicamente corretto impazza e si cerca di nascondere le evidenze storico-artistiche, questo discorso è valido per i beni usciti legalmente. Per quelli usciti illegalmente la questione è diversa e la comunità internazionale recentemente è intervenuta su questo tema.

Nello scorso mese di giugno, la 7a Commissione Istruzione pubblica, beni culturali del Senato della Repubblica si è riunita per discutere della questione. L’incontro, che si è svolto con la presenza del Gen. Roberto Ricciardi, Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, ha sottolineato l’importanza sociale e identitaria del nostro patrimonio, auspicando più collaborazione internazionale. Questa, attraverso l’Unesco e i suoi caschi bluè la base per il futuro dei beni usciti illegalmente dal nostro territorio; i quali, grazie alle indagini nazionali e internazionali, vengono conosciuti e sono quindi più facilmente rintracciabili.

Conclusioni

Illegale o meno, la restituzione crea dibattito. C’è chi vorrebbe la restituzione anche in caso del possesso legale, come ad esempio Marie Rodet, storica dell’arte e docente presso la SOAS University of London; mentre a livello mondiale si cerca sempre più di combattere l’illegalità dei traffici commerciali d’opere d’arte. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile va in questo senso. L’obiettivo è quello di educare cittadini e istituzioni alla conoscenza e alla tutela dei beni culturali attraverso la creazione di un Data Base mondiale al quale ogni Stato deve partecipare. Il Patrimonio Culturale è di tutti, da Los Angeles a Brisbane, e per questo ci vuole un impegno collettivo, sia morale che culturale.

 

Leggi anche: Musei, o depositi di beni rubati?

 


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