[…] le nuove forme di arte che si stanno sviluppando grazie all’intelligenza artificiale trasformano il mezzo del fare artistico in un vero e proprio partner dando vita a forme del tutto inedite di interazione
Con queste parole della filosofa specialista in estetica Alice Barale si capisce quanto l’intelligenza artificiale stia progredendo e si stia diffondendo in tutti gli ambiti, procedendo verso sistemi sempre più capaci di interagire e imparare. Non potrebbero questi arrivare a creare anche opere d’arte? Se un computer si rapportasse col mondo, interagisse col mondo, e potesse sviluppare sulla base di questa esperienza propri modi di operare, addirittura unicamente suoi, non potrebbe allora quel computer, così come possono gli esseri umani, diventare un artista?
A questo punto ci si rende conto che gli interrogativi sul rapporto tra intelligenza artificiale e arte sono gli stessi che si pongono in prospettiva quando si parla del rapporto tra intelligenza artificiale e ogni forma umana di creazione.
Cenni storici
Fin dall’inizio dell’avventura dell’elettronica negli anni Sessanta si è provato a implementare l’intelligenza artificiale per produrre immagini artistiche. L’ingegnere Michael Noll, nei Bell Labs (Bell Laboratories) del New Jersey, fu tra i primi a usare calcolatori per produrre immagini.
Oggi le possibilità sono assai maggiori. Nel 2018, per esempio, ha suscitato molto clamore la vendita in un’asta di Christie’s, al prezzo di oltre 400mila dollari, di un’opera, il Ritratto di Edmond de Belamy, proposta dal collettivo francese Obvious, ma realizzata con l’intelligenza artificiale o, qualcuno direbbe, dall’intelligenza artificiale.
La macchina intelligente: solo strumento?
In ambito artistico, per ridimensionare il ruolo dell’A.I., si evoca spesso la nozione di strumento. Per il pittore utilizzare il computer sarebbe, nella sostanza, come usare il pennello. Se pensiamo alla musica equivale all’utilizzo della tromba per un musicista: è vero che senza la tromba non si può suonare, ma senza la capacità e il virtuosismo del trombettista lo strumento rimane un oggetto inerte. Su questo aspetto della creatività ha speso più di due parole il filosofo americano Sean Dorrance Kelly, in un suo saggio del 2019 sulla MIT Tech Review:
[…] La tromba ha aiutato Davis e Coleman a realizzare la loro creatività, ma la tromba non è, di per sé, creativa. E gli algoritmi dell’intelligenza artificiale sono più simili a strumenti musicali che non a persone.
Sulla scia di tali affermazioni si colloca quindi l’installazione dell’artista italiano Maurizio Bolognini, intitolata Programmed Machines, che mescola Digital art e Arte Concettuale, nella quale le idee espresse contano più del risultato estetico-percettivo dell’opera stessa. In questo caso, la programmazione dei computer li porta a proiettare sequenze di immagini digitali invisibili all’occhio umano.
Il fattore imprevedibilità della cyber arte
Ma nel caso dell’intelligenza artificiale si può arrivare anche a situazioni nelle quali l’esito non è pienamente prevedibile. Allora la visione dell’A.I., come semplice strumento, non regge più. Ci si trova, per così dire, in un altro territorio e già fu così nell’esperienza di Noll quando, nella sua prima opera, scelse di inserire nel software un fattore random.
Così accade oggi con un programma come Deep Dream, un software sviluppato nel 2014 che altera una qualsiasi immagine gli venga fornita secondo un preciso schema. Deep Dream cerca nell’immagine una “forma” che trova in un proprio catalogo. Quando la trova, altera l’immagine ricevuta, la rielabora, per avvicinarla alla “forma”. Come specifica l’artista Anna Ridler, specializzata nel rapporto tra A.I. e creatività:
[…] trasforma l’immagine al fine di ottimizzare ciò che vede in essa, ossia di ridurre le differenze (o se vogliamo, accrescere la somiglianza) tra l’immagine e ciò che percepisce.
Deep Dream, il re dell’intelligenza artificiale
Deep Dream è quindi un programma di elaborazione di immagini che, utilizzando un complesso sistema di rete neurale, crea opere dagli effetti deformati che ricordano quelli dei sogni o delle allucinazioni. Come funziona? All’inizio ricerca l’immagine di partenza, l’ispirazione, con un procedimento che lo affianca alla modalità creativa umana. Per esempio si può immaginare una nuvola, che il software rielabora per avvicinarla al soggetto che vuole raffigurare davvero, come un essere umano.
Ma ancora più imprevedibile è l’esito di un’esperienza come quella del Ritratto di Edmond de Belamy. In quel caso, al software è stato fornito un database di 14mila immagini di ritratti per lo più ottocenteschi. La macchina, sulla base di un complesso programma, ne ha prodotto uno suo, diverso da tutti quelli forniti anche se ricordante i tratti di un’opera tipicamente ottocentesca.
Il caso degli NFT e di Beeple
Quando si parla di arte digitale, o comunque “digitalizzata”, però, il caso più recente e famoso, testimoniato anche dal «New York Times» è quello dell’artista Mike Winkelmann, detto Beeple e dei suoi NFT.
L’artista ha iniziato con carta e penna, ma ora utilizza principalmente software per computer, come il programma Cinema 4D. Nel febbraio del 2021 si è tenuta un’asta online gestita da Christie’s e durata due settimane, nella quale per la prima volta nella storia è stata licitata un’opera d’arte esclusivamente digitale, accettando pagamenti con criptovaluta Ether.
Da tempo, infatti, Beeple vende le sue opere come NFT, ovvero oggetti da collezione digitali che utilizzano la tecnologia blockchain come sistema di autenticazione. Un NFT può assumere qualsiasi forma, ma per Beeple di solito consiste in un file di immagine o video, verificato con una firma digitale su una blockchain.
Sono i dati a parlarci di quanto questa nuova tendenza stia prendendo piede. Per gli NFT il valore di mercato è salito alle stelle negli ultimi dodici mesi e continua a crescere. Secondo il NFT Report 2020, pubblicato da L’Atelier BNP Paribas e da Nonfungible.com, il valore del mercato NFT è cresciuto di tre volte nel 2020, con un valore attuale di oltre 250 milioni di dollari.