Ogni giorno la nostra vita, come la pagina di un fumetto, si riempie di tante piccole storie. Marginali o importanti, in un’alternanza misteriosa. Avvenimenti quotidiani che subiscono sviluppi fuori dai nostri piani o magari seguono un percorso solo in apparenza monotono celando un finale imprevedibile che potremmo osservare solo guardando davvero troppo lontano. Viviamo in una costante incognita narrativa che tuttavia ci pone come protagonisti assoluti di un finito, seppur ampio, ventaglio di possibilità. Siamo noi a scegliere dove ci porteranno i prossimi passi, se percorrerli da soli, se fermarci o se correre. Il nostro unico nemico è tuttavia lo stesso che non potremo mai battere, il tempo, da cui possiamo solo nasconderci ma che non possiamo ingannare. Strappare lungo i bordi, la serie Netflix di Zerocalcare, ci pone con semplicità davanti ad una serie di pagine di una vita. Pagine familiari, che ci sembra di aver vissuto e che forse, senza volerlo ammettere, ci spaventano.
Pensavamo di avere tutto il tempo del mondo
Zero è un ragazzo di Rebibbia dal cuore un po’ nerd e l’animo punk, che vive la sua adolescenza sul finire degli degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio alla periferia di Roma. Per l’Italia questo è un periodo di tumulto e di profonde trasformazioni e lo stesso vale per i giovani che si affacciano al mondo in quegli anni, il cui pendolo generazionale oscilla tra la tragicità degli eventi del G8 di Genova ed il terzo scudetto della Magica. Così, tra aneddoti d’infanzia e paranoie da sindrome del trentenne, Zerocalcare ci proietta nel suo universo narrativo e di vita, facendoci conoscere gli amici di sempre, Secco e Sarah. Secco racchiude in sé la disillusione assoluta nei confronti di tutto, con la sua apatia e il chiodo fisso del poker online, al contrario Sarah è l’ultima sognatrice del gruppo e nonostante il mondo pare remargli contro come a tutti, continua a credere in una svolta futura.
Tuttavia più degli amici, la presenza costante nella quotidianità di Zero è rappresentata dalla sua coscienza, che ha assunto le sembianze di un Armadillo. La sua voce, prestatagli nella serie dal sempre eccelso Valerio Mastandrea, è quella dei dubbi, delle risposte che non vogliamo sentire e delle domande che non vogliamo porci. Un barlume di lucidità quando sembriamo sull’orlo del baratro, eppure una catena quando dovrebbe essere l’istinto a darci la forza di rischiare. Il rischio è proprio l’elemento che Zero sembra temere di più, soprattutto in ambito sentimentale. Soprattutto quando nella sua vita farà capolino Alice. Sarà lei il cuore della storia e del viaggio che Calcare intraprenderà all’interno della serie e che lo costringerà a fare i conti con le proprie scelte e a maturare abbastanza per conviverci.
L’originalità nella semplicità
I tempi comici risultano perfetti e smorzano determinati momenti introspettivi, senza tuttavia rovinarne il pathos, facendo propria la risata amara tipica della gloriosa commedia italiana del passato. Sempre presenti i riferimenti alla cultura pop e alla musica punk, elementi distintivi di Zerocalcare, che, assieme all’accento romano con cui egli stesso ha doppiato i protagonisti della serie, rappresentano una sua personale firma. Tutto funziona e nulla risulta fuori posto in questo ballo sul ciglio del burrone.
Alla fine noi siamo ‘sta roba qua. Sopravvissuti, imperfetti, pieni di cicatrici…
Ecco, questa è una delle grandi doti di Zerocalcare: la capacità di porre lo spettatore o il lettore in una situazione di sconforto emotivo con l’intenzione di minarne certe false convinzioni, di spingerlo a guardare determinate cose in un modo diverso. Ci riuscì egregiamente con la sua prima opera La profezia dell’Armadillo, ancora oggi uno dei suoi lavori migliori, da cui Strappare lungo i bordi recupera molto a livello di struttura narrativa e tematiche. La storia di Camille, che si trovò a fare i conti con il mostro dell’anoressia che la condusse alla morte, corre su un binario parallelo a quella di Alice. In entrambi i casi l’accento è posto su quanto sia inarrestabile il corso del tempo e su quanto poco possiamo sapere degli spettri di coloro che pensiamo di conoscere e delle loro cicatrici. La chiusura di entrambe le opere non è né ottimistica né pessimistica, ma è vera. Una fine amara che ci lascia qualcosa di importante e che ci fa crescere umanamente, come in una nuova adolescenza.
Però c’è un’altra parte del corpo a cui le risposte non cambiano nulla. Che se ne frega del cervello. È tipo qui, all’altezza dell’esofago, circa. Dove ci sta quel groviglio brutto di nostalgia. E di rimpianti. E di rimorsi. Di quello che non sei riuscito a dire. Di chi non sei riuscito a capire. Finché eri in tempo.
– Zerocalcare, Dimentica il mio nome
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