The Dark Side of the Moon: storia di un capolavoro

Nella storia della musica ci sono album davvero memorabili, dischi composti da canzoni ascoltate da milioni di persone, che lasciano in ognuna di queste segni indelebili. Pezzi che non ci si stanca mai di riascoltare, perché ogni volta rinnovano sensazioni che vanno dritte al cuore. In fondo il potere della musica è proprio questo: saper parlare un linguaggio che oltrepassa qualsiasi confine culturale, andando al di là del tempo e dello spazio. Con The Dark Side of the Moon, i Pink Floyd si pongono perfettamente all’interno di questa sfera e ci regalano un album immortale, nonché un capolavoro di composizione, suoni e parole, risultato di instancabili ricerche e sperimentazioni che ne hanno siglato l’assoluta unicità. Perciò nelle prossime righe racconteremo canzone per canzone la nascita di un’opera d’arte, lasciandoci trasportare dalle note magiche e al tempo stesso misteriose messe insieme da quattro trentenni visionari.

Genesi

Come quasi ogni capolavoro che si rispetti, anche The Dark Side of the Moon ha avuto una gestazione piuttosto lunga, con qualche abbozzo già negli ultimi mesi del 1969, e studi più concreti al riguardo nei primissimi anni Settanta. Stando ad alcune indiscrezioni da parte degli stessi componenti della band, l’idea di costruire un album concettualmente monotematico è nata durante una serata a casa di Mason nel ’71.

Negli anni precedenti, infatti, dopo l’addio di Syd Barrett, che è stato fondatore e leader dei Pink Floyd fino al 1968, Waters, Gilmour, Wright e Mason continuano a comporre dischi che sembrano portarsi dietro ancora una certa influenza “barrettiana”. Tuttavia, dall’inizio del nuovo decennio, si assiste ad un taglio per certi versi netto da quel tipo di rock psichedelico, per rivolgersi non solo ad altre sfaccettature dello stesso genere, come per esempio il progressive, ma anche verso un nuovo modo di scrivere e comporre un disco, che diventa un vero e proprio concept album.

Su questa scia, il primo marzo del 1973 i Pink Floyd pubblicano definitivamente The Dark Side of the Moon, composto da 10 tracce. La sua registrazione passa attraverso due sessioni, tra il ’72 e il ’73, entrambe negli Abbey Road Studios di Londra. Il disco ha un successo immediato: scala in un baleno le maggiori classifiche mondiali, rimanendo in prima posizione per anni, e diventando il loro album di maggior successo, nonché uno dei più venduti di tutta la storia della musica.

Speak to me/Breathe

Si è già detto che il disco costituisce un universo di sperimentazioni e di ricerche, con cui i Pink Floyd vogliono creare qualcosa di unico. Lo si può constatare sin dal primo minuto, in particolare dalla prima traccia, intitolata Speak to me. In realtà non si tratta di una vera canzone, poiché in quei novanta secondi passano in rassegna, uno dietro l’altro, dei particolari effetti sonori. Il batterista, Nick Mason, per la prima volta compositore di un brano, mette insieme suoni come il battito cardiaco, la risata, il ticchettio di un orologio e perfino il rumore prodotto dal registratore di cassa. Ciascuno di questi fungerà da breve premessa per la tracce successive.

L’intro, anziché avere una conclusione netta, sfuma piano piano e muta con vigore sempre maggiore nel successivo brano, Breathe. Questa volta si tratta di una canzone vera e propria, con un’idea solida alla base. L’uomo è costretto a una vita di affanni, che lo portano a un’esistenza a metà: finisce per fare come il coniglio, che dopo aver scavato la propria tana, senza riposo, inizia subito a costruirne un’altra. Solo in Breathe (reprise) – una sorta di coda della quarta traccia – ci sembra di arrivare ad una tregua, c’è il tempo di tornare a casa e “respirare”.

Home, home again

I like to be here when I can

On the run/Time/The Great Gig in the Sky

Con la terza traccia siamo catapultati in uno spazio totalmente differente, per la precisione in un aeroporto. La frenesia di un mondo ritmicamente troppo accelerato, lo stress e la paura di volare sono gli elementi al centro di On the run. Ma il vero punto di forza del brano è senza dubbio l’uso di un EMS Synthi A, un nuovissimo sintetizzatore portatile, in grado di creare suoni unici.

La fine di On the run si fonde con l’inizio della quarta traccia, Time, che di per sé non avrebbe nemmeno bisogno di presentazioni. A introdurla intervengono numerosi effetti sonori che riproducono il ticchettio degli orologi, per poi lasciare spazio alla melodia memorabile e alle parole che fluttuano al suo interno, delicate e taglienti. Lo scorrere inesorabile del tempo e il controllo che assume quest’ultimo sulla vita dell’uomo sono le tematiche di uno dei pochi brani composti “a otto mani”, e cantato sia da Gilmour che da Waters.

Nell’edizione originale il lato A si chiude con una traccia a dir poco sui generis, ovvero The Great Gig in the Sky. Si tratta di una composizione musicale di Richard Wright, sulla quale improvvisa la cantante Clare Torry, proposta da Alan Parsons, capo tecnico audio voluto dai Pink Floyd per lavorare sull’intero album. Alla Torry viene chiesto di improvvisare una melodia pensando alla morte – il titolo ne è un esplicito riferimento –  e quello che viene fuori è un qualcosa di straordinariamente unico, fuori dal tempo.

Money/Us and Them/Any colour you like

Il secondo lato dell’album è altrettanto ricco di sorprese. Ancora una volta ci troviamo ad ascoltare tanti effetti sonori che riproducono ora il rumore delle monetine e del registratore di cassa, e capiamo che sta iniziando Money, un altro classico di Dark Side. Naturalmente, è chiaro che al centro ci sono temi come il consumismo e il forte attaccamento al denaro, trattati con vena ironica e dissacrante, in un sound davvero pazzesco.

Il ritmo così coinvolgente lascia spazio ad una melodia più soft, ed è il turno di Us and Them. Questo brano, in realtà, era stato già scritto, nella parte del pianoforte, nel 1969, perché pensato da Wright per il film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Ma secondo il regista non era indicato per il proprio lungometraggio, per via dell’eccessiva tristezza di quelle note. Solo successivamente, il pezzo viene ripreso e completato per il nuovo album, arricchito dalla presenza di concetti essenziali e dicotomici, presenti nella vita dell’uomo.

Any colour you like, invece, è un brano solo strumentale e congiunge Us and Them con Brain Damage, penultima traccia, creando un equilibrio perfetto musicalmente e concettualmente. Ma è anche un forte richiamo all’immagine della copertina dell’album, cioè ai sette colori prodotti dal fascio di luce che fuoriesce dal prisma triangolare.

Brain Damage/Eclipse

Le ultime due tracce sono una chiusura degna per un album come The Dark Side of the Moon. La prima, Brain Damage è una lettura introspettiva dell’essere umano, che può essere a volte soggetto alla follia. Le parole del testo sono assai esplicative al riguardo:

The lunatic is in my head

The lunatic is in my head

You raise the blade, you make the change

You re-arrange me ‘til I’m sane.

Eclipse è, invece, la conclusione di un processo astronomico che combacia con un processo di evoluzione e di eclissi, appunto, coinvolgendo l’uomo e, ancora di più, la sua interiorità. Ma adesso, giunti alla fine, le parole devono necessariamente lasciare spazio alla musica. Perciò chiudete gli occhi e godetevi un album irripetibile, godetevi The Dark Side of the Moon.


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