Halloween è passato e con esso il pretesto per guardare film dell’orrore. Con Novembre è arrivato il periodo dei film noir, conosciuto meglio come Noirvember. Quale momento migliore se non l’autunno con la sua fitta nebbia, il petricore e le fioche luci dei lampioni che illuminano l’asfalto, per immergersi nelle indagini dei detective più famosi della storia del cinema?
La storia
Il noir è il più affascinante ma, allo stesso tempo, contraddittorio tra i generi cinematografici. Nato come filone del cinema americano è diventato in poco tempo uno dei movimenti più apprezzati e influenti della storia della settima arte. L’espressione “film noir” venne coniata dai francesi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, poiché si constatò una maggior cupezza sia nelle trame che nelle ambientazioni dopo che alcune pellicole d’oltreoceano tornarono a circolare in Europa. Definiti onirici, erotici e crudeli, i film che appartengono a questa categoria sono stati senza dubbio fondamentali per il concepimento di pellicole successive come Chinatown di Polanski (1974), Taxi Driver di Scorsese (1976), Le Iene di Tarantino (1994) e molti altri ancora.
Gli archetipi del genere
I protagonisti del cinema noir spesso si trovano a dover fare i conti con ricordi, incidenti traumatici, rapimenti, indagini e omicidi. In questi ambienti poco luminosi caratterizzati da un forte chiaroscuro e da contrasti tra luci e ombre si muovono personaggi oscuri che diventano simbolo della lotta tra il bene e il male.
Fondamentale nella struttura narrativa dei film noir è il fatalismo: tutti gli eventi sono strettamente collegati da rapporti di causa-effetto e il finale solitamente è ampiamente prevedibile, in quanto gli archetipi rimangono pressoché gli stessi in tutte le pellicole. Un detective deve risolvere un caso che lo vedrà coinvolto su più fronti (morali e sentimentali), una femme fatale diventa sovversivo visto da molti come “l’elemento ribelle che sfida la società patriarcale in un mondo dominato dall’uomo“, e infine il braccato nonché protagonista attorno al quale si sviluppano tutte le indagini, in quanto viene individuato fin da subito come il colpevole.
Ma quali sono le pellicole più rappresentative e che hanno ispirato le future generazioni di cineasti del genere?
La fiamma del peccato (1944)
L’ho ucciso io. L’ho ucciso per denaro e per una donna. E non ho preso il denaro. E non ho preso la donna. Un assicuratore rimane coinvolto dall’amante nel premeditato assassinio del marito.
In questo adattamento del romanzo di James M. Cain, Billy Wilder cura ogni minimo dettaglio sconvolgendo la trama principale facendola ruotare attorno a malviventi borghesi perfettamente estranei alle dinamiche consuete del genere. Adulterio e uxoricidio sono i due temi della pellicola, caratterizzata da un realismo estremamente duro a tratti spietato che all’epoca fece molto scalpore tra il pubblico. La struttura narrativa risultava infatti particolarmente complicata da seguire, poiché si ricorre sovente all’utilizzo di flashback che contribuiscono a rendere il montaggio discontinuo così come la linearità della storia intermittente.
Viale del tramonto (1950)
Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo.
Un aspirante sceneggiatore si ritrova a dover vivere a stretto contatto con una ex diva del cinema muto, ma il suo oscuro passato tenderà a sovrastarla.
Il prologo del film, forse uno dei più famosi nella storia del cinema, ci accompagna in un mondo sospeso tra vivi e morti. Billy Wilder rappresenta il fallimento di una donna ormai giunta da tempo al termine della sua carriera con una crudeltà straziante che si mescola inevitabilmente alla nostalgia nei confronti di una gloria ormai lontana. La casa diroccata in cui si svolge la vicenda è stata spesso paragonata con un significato simbolico alla vecchia Hollywood, un’epoca tramontata a seguito dell’avvento del sonoro. La villa diventa quindi un rifugio sicuro dove tutto è concesso e ognuno è libero di essere chi vuole, anche se a volte l’immaginazione diventa tristemente illusoria.
La morte corre sul fiume (1955)
Tornerò quando sarà buio.
Un pastore protestante uccide alcune donne rimaste vedove per poi impossessarsi del loro denaro, fino a quando due degni rivali non ostacoleranno i suoi piani.
Definito “un film onirico che sprigiona orrore e poesia”, questa pellicola rientra a tutti gli effetti tra le più ipnotiche del genere noir. Ambientato dopo la grande depressione è tangibile la precarietà che accomuna i personaggi e il senso di smarrimento in un’epoca devastata dalla brama verso i beni materiali, primo fra tutti il denaro. L’alienazione che grava sulle vite di queste famiglie è accentuata dalle scelte formali con cui il regista decide di mostrare la storia: inquadrature insolite, stanze claustrofobiche, paesaggi sconfinati caratterizzati da architetture espressioniste e forti contrasti chiaroscurali. Robert Mitchum si muove come un’ombra funesta dilagando terrore tra chi incontra, ma la forza di reagire risiede anche nelle anime più pure, forse anche in un bambino.
L’infernale Quinlan (1958)
Avanti, dimmi il tuo futuro. Non ne hai più. Cosa vuol dire? Il tuo futuro non esiste più.
Un agente della polizia messicana indaga su un’esplosione avvenuta sul confine americano, ma le prove ricondurranno alla persona meno sospetta.
I primi 3 minuti del film sono stati girati senza tagli di montaggio (il cosiddetto piano sequenza) e per la loro potenza drammaturgica si sono aggiudicati un posto d’onore nei libri di storia del cinema. Con questo film Orson Welles torna negli Stati Uniti dopo un’esperienza decennale in Europa. Nonostante vengano riproposte delle tematiche care al regista come il fallimento, la perdita di sé stessi e la corruzione (già presenti in Quarto Potere), in questo capolavoro del genere noir trapela in maniera inconfutabile un tragico esistenzialismo. Dal punto di vista del linguaggio cinematografico la pellicola assume un’importanza tale da sancire la fine del noir classico: l’uso della profondità di campo, del grandangolo e le ricorrenti distorsioni visive regalano inquadrature inquietanti ma sempre di grande effetto.
Tirate sul pianista (1960)
Paura? Io ho paura. Ma sì, ho paura!
Coinvolto in un affare malavitoso il pianista Charlie decide di fuggire insieme alla sua amata.
Il maestro della Nouvelle Vague Françoise Truffaut sperimenta il genere noir in una pellicola in cui le convenzioni cinematografiche vengono ripetutamente stravolte. Il regista infatti ironizza sulle tematiche tipiche del noir-poliziesco giocando con generi come la commedia, il western e il melodramma. Omaggio sincero ai B-movies a lui tanto cari Truffaut riadatta il romanzo omonimo di David Goodis incentrato sulla timidezza e sull’amore provato dal protagonista: è la storia di un uomo riservato e del suo rapporto con tre donne molto diverse, le tre tipologie femminili che ogni uomo vorrebbe incontrare nel corso della vita. Lo stile che contraddistinguerà tutta la sua filmografia emerge soprattutto se confrontato con il precedente I quattrocento colpi (1960).
L’eredità del genere
Tanto controverso quanto rivoluzionario, il noir ha contribuito in maniera indelebile a scrivere la storia del cinema sotto svariati punti di vista. Erede dell’espressionismo tedesco di Lang e Murnau, a sua volta questa categoria ha ispirato numerosi registi moderni dando vita ad un nuovo sottogenere cinematografico: il neo-noir. L’ambiguità e lo smarrimento che permeavano le pellicole degli anni ’40 sono ancora attuali, l’unico cambiamento riguarda le ambientazioni più contemporanee con riferimenti alla tecnologia e alla forte ripercussione che essa ha avuto sulla società.
Tutto parte dal dramma. La tragedia è, per sua stessa definizione, senza speranza. L’Edipo non ha anche un valore esistenziale? Le donne sono fatali; e quando le si descrive così è per venderle. Viene tutto da lì.
Le innovazioni tecniche e stilistiche apportate dai film noir in campo cinematografico soprattutto nel decennio 1940-1950 hanno contribuito a delineare un immaginario filmico che ha ispirato registi di tutto il mondo, ma soprattutto si è rivelato capace di rispecchiare la società contemporanea grazie alla sua continua ed inevitabile evoluzione.
Del resto, se non ci fosse stato Humphrey Bogart con il suo immancabile borsalino, non sarebbero mai esistiti gli indimenticabili Michel Poiccard di Fino all’ultimo respiro e Jake Gittes di Chinatown.