Chiunque era presente il 23 novembre 1980, quarantuno anni fa, si ricorda che cosa stava facendo alle 19:34.
Una tranquilla domenica di fine novembre
Era una domenica e gli abitanti dell’Irpinia in quel 23 novembre del 1980 avevano probabilmente sfruttato al meglio il giorno libero dal lavoro. I molti rimasti a casa stavano forse seguendo la sintesi del primo tempo della partita Juventus-Inter, una concessione del programma televisivo 90° minuto di far vedere la propria squadra del cuore ai tifosi di tutta l’Italia; mentre chi aveva approfittato per fare una gita fuori porta non aveva potuto fare a meno di notare che quella giornata era stata strana, anomala ed estremamente calda per essere fine novembre.
L’inizio della tragedia
In meno di un minuto, una scossa di magnitudo massima di 6.9 si è verificata in rapida successione in Irpinia e nelle province di Salerno e Potenza. Secondo stime ufficiali, il terremoto ha causato 2.914 morti e ha danneggiato 362.000 edifici in 687 comuni, compresi Benevento, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia. L’evento sismico è stato tra i più forti e disastrosi mai avvenuti in Italia, in quanto ha colpito una zona rurale già considerata tra le più povere del paese. La regione presentava centri abitati isolati e mal collegati, alcuni dei quali sono stati quasi completamente rasi al suolo, provocando oltre trecentomila sfollati.
L’epicentro delle tre scosse principali è stato individuato tra i comuni campani di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. A quindici chilometri di profondità, si sono verificate in successione tre distinte rotture, che hanno raggiunto la crosta terrestre provocando uno squarcio tuttora visibile lungo 35 chilometri. Gli effetti del terremoto sono stati percepiti in quasi tutta la penisola italiana, ma i danni maggiori si sono concentrati tra l’Irpinia e la Basilicata, dove le scosse sono continuate anche il giorno successivo.
Stato e mass-media: tra inadempienza e impreparazione
Nonostante la gravità, i principali notiziari hanno inizialmente sottostimato l’evento. Coloro che si occupavano di riportare l’accaduto hanno parlato di una scossa lieve, dando la notizia della presenza di solo qualche ferito. Ma il problema non è stato solamente dei principali media italiani. La Protezione Civile all’epoca era in fase di istituzionalizzazione e, proprio in occasione di questo evento, ha poi avuto la sua definizione legislativa definitiva. Inoltre, i sismografi non erano ancora collegati in un unico centro dati e quindi la trasmissione della portata dell’evento è stata ulteriormente rallentata.
Interi paesi rasi al suolo e collegamenti interrotti hanno reso tutto più complicato per gli sfollati e per chi ha cercato di prestare immediato soccorso.
L’intervento del Presidente Sandro Pertini
A due giorni dall’evento sismico, gli abitanti dell’Irpinia non hanno ancora ricevuto alcun soccorso. Memorabile è stato l’intervento di Sandro Pertini, all’epoca Presidente della Repubblica:
Sono tornato ieri sera dalle zone devastate dal terremoto. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò: interi paesi rasi al suolo, la disperazione dei sopravvissuti. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma. Ebbene, a distanza di 48 ore non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi.
L’inizio della rinascita
Pertanto la macchina dei soccorsi si avvia. Le dure parole del presidente della Repubblica causano l’immediata rimozione del prefetto di Avellino Attilio Lobefalo, e le dimissioni (in seguito respinte) del Ministro dell’Interno Virgilio Rognoni. Il discorso del Capo dello Stato ha come ulteriore effetto quello di mobilitare un gran numero di volontari, di grande aiuto in particolare durante la prima settimana dal sisma. L’opera dei volontari è stata in seguito pubblicamente riconosciuta anche con una cerimonia a loro dedicata in Campidoglio, a Roma.
Vengono stanziati inizialmente circa 8 miliardi di lire, seguendo il modello del terremoto in Friuli del 1976. Tuttavia in Irpinia la situazione è diversa. Simili eventi sismici avevano già colpito la zona, una delle più povere del paese, nel 1930 e nel 1962. Su tutto questo si aggiunge la speculazione.
Ricostruzione: tra speranze e corruzione
La ricostruzione è stata lunga e mal gestita, con zone d’ombra che persistono anche oggi. Infatti, come testimoniano tutta una serie di inchieste della magistratura, durante gli anni si sono inseriti interessi poco puliti che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 339 paesi in un primo momento che diventano 643 in seguito a un decreto dell’allora Presidente del Consiglio Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia quasi l’8,4% del totale dei comuni italiani.
Più di settanta centri sono stati integralmente distrutti o seriamente danneggiati e oltre duecento hanno avuto consistenti danni al patrimonio edilizio. Centinaia di edifici produttivi e artigianali sono stati cancellati, causando la perdita di migliaia di posti di lavoro e soprattutto danni patrimoniali per decine di migliaia di miliardi di lire.
I primi tentativi di indagine
Nel 1989 si istituisce con la legge 7 aprile 1989 n. 128 la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981 della Campania e della Basilicata. La relazione finale decreta che la somma totale dei fondi stanziati dal Governo italiano raggiungerà la cifra di 50.620 miliardi di lire; costi lievitati nel corso degli anni, fino a superare i 60.000 miliardi di lire nel 2000.
L’inchiesta Mani Pulite, a partire dal 1992, ha rivelato i nomi di importanti esponenti politici della zona, come De Mita e Cirino Pomicino e ha cercato di tracciare il percorso dei fondi stanziati. Il risultato è sconcertante. Molti dei soldi destinati ad industriali per sanare le fabbriche (in una zona che ha il minor numero di edifici di questo genere, primo campanello di allarme per una gestione nata male) sono finiti per coprire i danni di abitazioni private, oltretutto mai ultimate.
Irpinia 1980: cosa resta di quel minuto devastante
Tuttavia, anche se molto è stato ricostruito, sia fisicamente sia giuridicamente, parecchi sono gli interrogativi ancora in sospeso, soprattutto per quanto riguarda il patrimonio artistico. Per gestire meglio la situazione, il governo aveva creato un’apposita soprintendenza provinciale; tuttavia, molte opere risultano ancora disperse. Tra i tanti esempi, si potrebbe citare quello della Chiesa madre di Villanova del Battista, un paesino di pochi abitanti ma che nel proprio luogo di preghiera aveva un gran numero di arredi liturgici di interesse storico. Come ad esempio un dipinto, che le foto in bianco e nero dell’epoca ricordano bellissimo, proveniente dalla scuola seicentesca di Luca Giordano; in molti oggi si chiedono dove sia finito quel quadro che fino al 1980 ha accolto i fedeli della piccola comunità.
Memorie dal sottosuolo
Tutto questo è ancora oggi non rintracciabile. Tuttavia, lo sono le memorie di chi ha vissuto quel minuto che ha portato via molto più di opere d’arte preziose. Il terremoto del 23 novembre 1980 ha portato via con sé case, terreni e vite, simboli di una terra viva; che ha offerto e continua ad offrire manodopera e soprattutto uomini e donne a tutta l’Italia e non solo. Una terra ferita, colpita dalla speculazione ma che si è rialzata e oggi continua a conservare la sua memoria.
Fonti
Generoso Picone, Paesaggio con rovine, Mondadori, Milano, 2020.