Agli eventuali lettori
Questo libro è un libro come un altro, ma avrei piacere fosse letto solo da persone dall’anima già formata. Quelle persone sanno come l’avvicinamento a ogni cosa avvenga per gradi e con sofferenza – e passando talvolta attraverso l’opposto di ciò che è la meta. Quelle persone e solo loro capiranno passo per passo che questo libro non toglie nulla a nessuno. A me, per esempio, il personaggio di G.H. ha dato a poco a poco una gioia difficile, eppure il suo nome è gioia.
Con questo incipit spiazzante ci accoglie la scrittrice brasiliana Clarice Lispector in La passione secondo G.H., anche se forse non esistono i lettori prospettati dall’autrice “dall’anima già formata”. O forse, nel caso in cui esistano, stanno per avvicinarsi a un romanzo capace in ogni caso di metterli in discussione, loro e le strutture assiologiche su cui fondano il mondo e la realtà.
Protagoniste di La passione secondo G.H. sono una donna e una blatta che entrano in contatto in una dimensione temporale estremamente dilatata, che pone il pubblico in un’ottica straniante.
Una mattinata come tutte le altre
La donna, G.H., è una signora ricca, della quale non è concesso sapere il nome completo. La possiamo identificare solo grazie alle sue iniziali, incise anche sulle sue valigie, come ci dice lei stessa. G.H. si ritrova sola in casa una mattina. È il giorno di riposo della donna di servizio. Dopo aver sbrigato alcune faccende, decide di entrare nella stanza della domestica, che si aspetta di trovare in condizioni pietose rispetto al resto della casa. È intenzionata a ripulirla. Invece con un certo fastidio G.H. riconosce che la camera è straordinariamente linda.
A infastidirla, quasi a sconvolgerla, è pure un disegno che dovrebbe rappresentarla. La sua reazione è esagerata. Sembra che in qualche modo attraverso questa raffigurazione la donna di servizio sia riuscita ad appropriarsi della sua essenza. Non è una prospettiva così assurda, considerando quanto a più riprese in La passione secondo G.H. si dichiari il fallimento del linguaggio. L’immagine è riuscita dove il linguaggio ha fallito. G.H. è ben consapevole che quest’ultimo, in quanto convenzione, ricrea la realtà, non la rispecchia. Il potere rappresentativo attribuito al disegno potrebbe ricordare poi quello di alcune popolazioni primitive.
Nonostante tutto, a G.H. non è possibile rinunciare al linguaggio che veicola inevitabilmente il racconto in una narrazione che presenta la forma di un monologo interiore. Accade, e ogni parola pare ricrearsi sotto gli occhi del lettore. Eppure i fatti in sé sarebbero qualcosa di già accaduto. La narratrice parla di un evento passato, ma lo processa nell’atto di scrivere reinventandolo. G.H. afferma: “Creerò ciò che mi è accaduto. Solamente perché vivere non è narrabile. Vivere non è vivibile.”
La crisi dell’identità
È l’incontro con la blatta però che spinge G.H. a mettere in discussione se stessa. L’insetto fuoriesce dall’anta dell’armadio. G.H. ripensa la propria identità e si rende conto che la propria natura non è altro che una costruzione, non è detto che la rispecchi. Il punto però non è certo quanto questa costruzione sia calzante o meno rispetto alla verità, ma la sua natura: di essere una costruzione in quanto tale.
La protagonista giunge a sostenere: “No, credo di dover guardare senza che il colore dei miei occhi abbia importanza, devo, per vedere, essere libera da me stessa.”
La crisi esistenziale di G.H., che racchiude un sentire umano, non può essere risolta, dal momento che senza la costruzione di un’identità G.H. non esisterebbe. Infatti G.H. ha un’identità e una solida posizione in quello che chiama il suo ambiente. E dunque le iniziali sulle valigie sono qualcosa di certo, che tutti possono vedere, contribuiscono a definirla. Inoltre si è identificati, quando è qualcosa d’altro da te a identificarti. Infatti G.H. dice: “Ciò che gli altri ricevono da me si riflette allora di rimando a me e va a formare l’atmosfera di quella cosa che si chiama: io”.
D’altra parte anche la stessa blatta si presenta come una netta contrapposizione. È ciò che di più disgustoso e ributtante per la protagonista possa esistere. Si configura pure come qualcosa di diverso da sé, dal punto di vista di G.H.. Costituisce il polo antitetico all’umano: l’inumano. Potrebbe però prospettarsi più umana dell’umano stesso che dovrebbe essere costitutivo di G.H.. La coppia oppositiva attrazione e repulsione guida il rapporto della donna con l’insetto. Il ribrezzo permane, fino alla completa accettazione della propria natura o non-natura da parte di G.H., che avviene attraverso l’assimilazione della blatta.
La dimensione temporale nella narrazione
Il tempo è fondamentale in questa narrazione. È uno dei fattori che manda in crisi G.H.: le blatte sono insetti che esistono da migliaia di anni. Si scontra contro l’eternità, nella limitatezza dell’essenza umana transeunte. G.H. giunge a riflettere anche sul divino e il titolo stesso del romanzo La passione secondo G.H. potrebbe alludere a degli echi biblici. Nella pienezza della visione forse la protagonista a un certo punto smette di pensare, è. Si abbandona al sentire. Allo stesso modo ci si potrebbe avvicinare alla lettura di questo libro, che trabocca di sensazioni, percezioni e immagini, che tentano di cogliere la frammentarietà dell’esistente.
Il tutto si compie attraverso un linguaggio che cerca di sostenere lo sforzo conoscitivo, permeato da una carica estetica senza pari. Ogni parola è una scelta quasi edonistica, pur rimanendo leggera. Potrebbe essere un gioco quello in cui s’intrecciano le frasi.
Così a un tratto G.H. si ritrova:
A un passo dal punto culminante, a un passo dalla rivoluzione, a un passo dalla cosa che si chiama amore. A un passo dalla mia vita – che per una sorta di potente calamita contraria, io non trasformavo in vita; e, inoltre, per un desiderio di ordine. C’è un cattivo gusto nel disordine di vivere. E neppure, se lo avessi desiderato, avrei saputo trasformare quel passo latente in passo reale. Grazie al piacere di una coesione armonica, grazia al piacere avaro e permanentemente promissorio di avere ma di non spendere – io non avevo davvero bisogno del punto culminante o della rivoluzione o di qualcosa in più oltre al preamore, che è tanto più felice dell’amore. La promessa non bastava? Una promessa mi bastava.
Qualcosa sull’autrice
Clarice Lispector nasce nel 1920 in Ucraina, in quel periodo sconvolta dai pogrom e dalla guerra civile. Due anni dopo la sua famiglia si trasferisce in Brasile. Vicino al cuore selvaggio è il suo primo romanzo, pubblicato nel 1944, che la afferma già con una posizione di rilievo nella letteratura brasiliana. L’opera viene accostata a Virginia Woolf e a James Joyce, anche se l’autrice dichiara di aver letto questi scrittori solo in seguito diversi tratti l’accomunano al modernismo europeo. Viaggia in Europa con il marito Maury Gurgel Valente, diplomatico. Tra le sue opere principali ci sono Legami famigliari, Acqua Viva, Un soffio di vita. Nel 1977 muore di cancro.
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