Il tema della nudità, specialmente quella femminile, tende da sempre a scatenare polemiche e discussioni. Solitamente il dibattito attorno alla questione se sia giusto o no ritrarre – in scultura come in pittura – una donna nuda (o seminuda) si polarizza attorno a due schieramenti. Uno sostiene che ritrarre una donna nuda significhi automaticamente sessualizzarla e quindi considerarla oggetto. L’altro ribatte che “l’arte è arte”, e quindi l’artista deve essere libero di esprimersi come meglio crede.
Come viene rappresentata la nudità nell’arte
Come spesso accade, forse, la verità sta nel mezzo. Da un lato possiamo affermare di trovarci in un’era in cui il corpo femminile si sta – molto lentamente –liberando di tutti quegli stereotipi che lo vedono solo ed esclusivamente come oggetto di scandalo, o come oggetto sessuale. Nonostante ciò, i corpi femminili continuano ad essere oggettificati e sessualizzati ogni giorno. La domanda dunque è: come capire, nella vita come nell’arte, quando ciò accade?
Nel merito della questione potrebbero assurgere ad esempio due statue di donne, realizzate entrambe da scultori uomini, che nelle notizie di cronaca più recente hanno fatto molto discutere. Trattasi della Medusa con testa di Perseo dello scultore Luciano Garbati e della La Spigolatrice di Sapri dello scultore Emanuele Stifano. Entrambe le statue ritraggono personaggi di fantasia ed entrambe si rifanno a fonti letterarie ben precise, che diventa quindi necessario analizzare, o quantomeno individuare.
La Medusa di Garbati e La Spigolatrice di Stifano
La statua di Garbati, rimasta esposta fino al 30 agosto 2021 di fronte al Tribunale penale di New York, ribalta i ruoli del noto racconto ovidiano. Medusa, stuprata da Poseidone nel tempio di Atena e trasformata da questa in mostro, non viene più decapitata dall’eroico Perseo. È lei, in questa nuova versione contemporanea, a tenere la testa mozzata dell’uomo per una ciocca di capelli, rendendo così giustizia alla sua storia di vittima inascoltata.
La statua di Stifano, commissionata dal comune di Sapri ed esposta al pubblico lo scorso 26 settembre, è basata invece su una poesia, La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini. Questa racconta della fallita spedizione di Sapri guidata da Carlo Pisacane, che aveva lo scopo di innescare una rivoluzione antiborbonica nel Regno delle Due Sicilie. A narrare la vicenda è appunto la Spigolatrice la quale, innamorata del comandante della spedizione, lo vedrà restare brutalmente ucciso in battaglia.
La differenza tra le due statue
Entrambe le statue sono state accusate di sessismo, dal momento che entrambi gli scultori hanno ritratto il soggetto nudo (come Garbati) o seminudo (come Stifano). Il problema sta nel fatto che se l’accusa di sessismo parte in automatico quando una donna viene ritratta senza vestiti – o quasi – ci si trova di fronte a un vicolo cieco. Soprattutto, si dà credito a quella retorica patriarcale che vuole il corpo della donna esclusivamente al servizio dell’occhio maschile, giustificato, quindi, a percepirlo come oggetto sessuale.
Medusa & Perseo
Bisognerebbe invece sdoganare il concetto per cui i corpi delle donne sono molto più di questo. Essi hanno infatti mille motivi per andarsene in giro nudi, esattamente come quelli maschili. Ed è qui che risiede la differenza tra le due statue. La Medusa di Garbati è il soggetto di un racconto mitologico, di matrice classica. Medusa “fa il verso” a quel Perseo bellissimo, muscoloso, spavaldo, che è stato replicato innumerevoli volte nella storia dell’arte. Ed è necessario che questa Medusa contemporanea sia bella come lui, che abbia la stessa dignità.
Ma soprattutto: è necessario che sia nuda, proprio come il suo nemico. E, nonostante ciò, la posa che Medusa assume non è ammiccante, sexy o provocatoria, anzi le si leggono in viso rabbia e determinazione. È un personaggio vero, che ha una storia da raccontarci: la sua. In questo modo, la statua di Garbati restituisce al pubblico il contesto storico-artistico della sua fonte.
La Spigolatrice
Diverso è il caso della Spigolatrice di Sapri. Qui la donna non è nuda, ma la veste che la copre è così aderente e trasparente che, se la si guarda da dietro, c’è solo una cosa che dà nell’occhio: i suoi glutei, inverosimilmente tonici, alti, sodi. Nessuno vuole mettere in dubbio che esistano donne con un fondoschiena di queste fattezze, ma viene il dubbio che, di queste, nessuna di loro fosse una spigolatrice di fine Ottocento. Una donna, quindi, appartenente a una delle classi sociali più basse, che per vivere raccoglieva le spighe di grano lasciate cadere dai mietitori, affinché nulla andasse sprecato.
Incuriosisce anche la freschezza che la statua trasmette, l’assenza di fatica sul volto e sul corpo di una donna che lavorava per ore durante il giorno. Infine, il leggero abitino semi trasparente prende il posto di gonne voluminose, grembiuli, cuffie per raccogliere i capelli, che non lasciano spazio a trasparenze di nessun tipo. Insomma, è innegabile che una spigolatrice fosse in tutto e per tutto dissimile da come Stifano l’ha rappresentata.
Dove ha sbagliato Stifano
L’autore, quindi, non ha restituito tutto il contesto in cui il soggetto della sua opera era inserito, non ha considerato il vissuto di una donna che faceva letteralmente la fame. La sua opera vive di una rappresentazione idealizzata e anacronistica, tanto da apparire non solo esteticamente bella, ma anche sessualmente desiderabile. Viene così mortificato il valore simbolico che la spigolatrice rappresentava: fatica, sacrificio, emarginazione sociale.
Il problema della statua non è quindi la semi-nudità, ma tutto l’insieme. La figura della Spigolatrice viene così appiattita e privata di uno spessore -psicologico, filologico, storico, personale- che nella realtà dei fatti aveva. Ed è per questo che Stifano finisce per oggettificarla: la donna diventa più simile ad un oggetto che ad una persona perché viene sottoposta ad uno sguardo terzo, quello maschile, rinunciando ad un bagaglio di elementi che vengono semplicemente ignorati, non considerati.
Quello dell’oggettificazione femminile è un problema che porta con sé delle serie e pericolose conseguenze con cui, purtroppo, la nostra società ha ancora molto a che fare.