Her Name Is Revolution

Her Name Is Revolution: corpi nudi per le vie di Bologna

Se vuoi sapere come è fatto davvero un corpo di donna, gira per le strade di Bologna. Alza lo sguardo ogni tanto, non in cerca della Torre degli Asinelli, ma per scovare quei busti femminili che dal primo ottobre tappezzano alcune delle vie centrali della città. Her name is revolution è il nuovo intervento di arte pubblica curato da CHEAP, che vede protagonisti i manifesti realizzati in collaborazione con Rebecca Momoli.

La giovanissima fotografa, poetessa e scultrice con base a Milano coniuga con la sua arte il pensiero femminista e l’attivismo politico. Mira a denunciare disuguaglianze e violenze di genere e a rivendicare il diritto, per tutte le donne, di autodeterminazione sui propri corpi.

Che cos’è CHEAP

CHEAP è un progetto di arte pubblica nato nel 2013 dall’idea di sei donne, con l’obiettivo di riappropriarsi dello spazio urbano attraverso l’affissione di poster e fotografie. Le artiste mirano a instaurare un dialogo diretto con chi, attraversando ogni giorno la città, si ritrova per caso ad alzare lo sguardo. Ed è così che: “dove la città oppone barriere sulla base del genere, della classe e della razza, CHEAP pratica un conflitto simbolico facendo dell’arte pubblica (anche) un luogo di lotta.

In particolare, il progetto Her name is revolution nasce anche in collaborazione con ERT / Teatro Nazionale, in occasione dell’ultimo atto pubblico del progetto europeo Atlas of Transitions, con la presentazione del primo spettacolo italiano della regista argentina Lola Arias, Lingua Madre. Trattasi di un’indagine di teatro documentario sugli immaginari della maternità contemporanea, composta nell’arco di due anni, raccogliendo testimonianze e statistiche sul territorio cittadino. L’artista è entrata a contatto con associazioni e abitanti, studiose e attiviste, doule e medici, operatrici sociali e avvocatesse.

Her Name Is Revolution: il progetto

Le donne che troverete nelle vie di Bologna, quindi, fanno del loro corpo un manifesto, una bandiera. Questa sventola una serie di messaggi, forti e chiari, sui temi legati alla maternità e al pensiero femminista. A partire da “my body my choice, my gender my rule”, slogan caro alle lotte transfemministe contemporanee fino al “No Gods No masters No Commanders”. In questo caso si tratta della riformulazione di uno slogan della newsletter analogica di inizio Novecento realizzata dalla sex educator Margaret Sanger, ma anche, per i fan della serie TV The Handmaid’s Tale, un’eco di matrice Atwoodiana. Non manca poi “Sisterhood is a collective superpower”, un invito a ricordare quanto sia tossica quella retorica che vuole le donne le peggiori nemiche delle donne e infine “Raise Rebellious Girls”, per una maternità all’insegna dell’empowerment femminile.

Her Name Is Revolution

Insomma, come spiega il collettivo stesso:

HER name is Revolution parte dai corpi, dai desideri e dai conflitti per indagare il tema della maternità contemporanea nello spazio pubblico della città. CHEAP ha chiesto a Rebecca Momoli di concentrarsi sul tema della scelta e dell’autodeterminazione per sviluppare un immaginario che rappresenti il desiderio così come il rifiuto della maternità, prospettive che hanno pari dignità.

MAI sentirsi sbagliate

È una lotta dunque a favore di tutte coloro che almeno una volta si sono sentite sbagliate per come gestivano il proprio corpo. Capita troppo spesso, infatti, se si è madre, di sentirsi dire che non si è abbastanza brava, e se non si è madre, invece, sentirsi chiedere perché. Se si volesse diventare madre ma non ci si riesce ci si sentirà dire che non lo si desidera abbastanza. Un circolo vizioso, dunque, in cui l’apparato riproduttivo femminile è alla mercé di tutti, tra parenti, amici, sconosciuti, articoli di giornale.


Ed è per questo che venti donne, tra attiviste, artiste e operatrici di CHEAP, nella notte tra il 30 settembre e l’1 ottobre hanno partecipato all’affissione dei manifesti. Come spiega CHEAP:

Venti donne che prendendo parola rivendicano i propri corpi e l’autodeterminazione su di essi: queste venti donne sono già una dichiarazione politica, sono già un gesto performativo in grado di trasformare la città.

CHEAP festival (@cheap_festival) | Twitter

All’affissione ha partecipato la stessa Momoli, autrice delle fotografie, che letteralmente “ci ha messo la faccia”, prestando il suo volto per la realizzazione di uno dei tanti scatti.

Il tuo corpo è ancora un campo di battaglia

Your body is still a battleground: il tuo corpo è ancora un campo di battaglia”. Dopo decenni di lotta, le donne devono ancora ascoltare politici apertamente antiabortisti, personaggi pubblici che cadono nel delirio dello slutshaming. Si ritrovano a dover leggere titoli di giornale che, tra le righe, recitano il famoso adagio “sotto sotto se l’è cercata: indossava mutande di pizzo”.

Il volto di Rebecca Momoli incarna quindi il messaggio di una generazione di donne non più disposte a sopportare una società intrisa di sessismo e misoginia, troppo spesso giustificata, mai davvero posta sul banco degli imputati.
Bologna propone un’idea di donna finalmente diversa, finalmente nuova e finalmente vera, con corpi reali trasformati non in ingannevole pubblicità, ma in opere d’arte, in cui il nudo femminile non è affronto o volgarità, ma una voce vibrante e sicura che si alza in mezzo al caos della città.

Un’urgente necessità di cambiamento

Cambia il vento, cambiano le lenti attraverso cui guardare i corpi delle donne, da sempre sottoposti a un solo tipo di narrazione binaria: se sono coperti, sono automaticamente rispettosi di sé, se scoperti sono senza dignità, tranne quando sottoposti allo sguardo maschile, dove il nudo è sempre ben accetto.

Come curatrici, sentiamo la responsabilità di aprire spazi a soggetti finora estromessi dall’arte pubblica, dando voce a narrazioni contro egemoniche, cortocircuitando i paradigmi della rappresentazione visiva e culturale, turbando il canone legato ai corpi. Lo stesso canone che proprio in questi giorni ha prodotto la legittimamente criticata statua della Spigolatrice: quel nudo che erotizza il corpo femminile a partire dal male gaze è evidentemente in contrasto col nudo dei poster di HER name is revolution, un nudo che impone un corpo politico.

Sarebbe bello ripartire da queste parole e da queste fotografie. Così da poter parlare di donne e di corpi, di diritti e di scelte, affinché nessuna si senta mai più sola.


CREDITS

Copertina 

Her Name Is Revolution 

I Do Not Answer To Men/God

Foto scattata dall’autrice 

Team Cheap 

Foto scattata dall’autrice

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.