Nel mese scorso durante il convegno “Etica e intelligenza artificiale” che si è tenuto a Venezia il ministro Bianchi ha annunciato l’intenzione di portare la filosofia anche negli istituti tecnici attraverso delle riforme che, a suo dire, dovrebbero essere pronte prima dell’estate. Poco dopo questa prima dichiarazione del ministro, il discorso è stato ripreso e portato avanti anche in un liceo bolognese. Ciò che è stato messo in luce è l’importanza di una scuola che sia un luogo in cui tutti abbiano la possibilità di imparare a usare gli strumenti della propria epoca con capacità critica.
L’idea di portare lo studio della filosofia negli istituti tecnici non è però totalmente nuova. Se ne parla da almeno 30 anni e il precedente più recente risale a 18 anni fa, quando si era espressa la necessità di una riforma urgente, secondo l’unanime giudizio dell’intera classe politica nazionale, necessità che finora però ha visto naufragare i diversi tentativi di essere messa in atto. La proposta, infatti, per anni è stata largamente osteggiata e sottoposta a diverse revisioni.
Allo stesso modo, il rilancio dell’idea da parte del ministro Bianchi non ha dissuaso il fronte di coloro che fin dall’inizio si erano dichiarati contrari. Accanto alla proposta di inserire la materia filosofia negli istituti tecnici, non sono state fornite ulteriori informazioni sulla sua applicazione: né come verrebbe insegnata, né per quanto tempo, né da chi. Quello che è certo è che l’idea del ministro dell’istruzione di estendere la filosofia agli istituti tecnici ha senz’altro aperto un dibattito sul tema tra chi è favorevole e chi contrario, anche tra i filosofi più famosi, suscitando entusiasmo e critiche.
Tra ottimismo e pessimismo
La filosofia insegnata soffre, dunque, di pregiudizi. E il dibattito che si è sollevato intorno all notizia di una possibile estensione della filosofia agli istituti tecnici risente certamente di questi pregiudizi. Rilevante è quanto emerge dal sondaggio di Orizzonte Scuola. Dal grafico del risultato finale della rilevazione si nota come non ci sia una posizione netta da parte degli oltre 2500 intervenuti: il 52,29% si è espresso in modo favorevole alla proposta, mentre i contrari, 1207 in totale, ritengono che sarebbe meglio puntare sulle discipline di indirizzo anziché introdurre una materia nuova come la filosofia.
L’ex sindaco di Venezia, nonché filosofo, Massimo Cacciari si è espresso fin da subito contrario all’idea, ritenendo la proposta fuori da ogni contesto:
Sembra una di quelle tante uscite che di tanto in tanto finiscono sui giornali come il cambio degli esami di maturità. Serve ripensare l’insieme dell’ordinamento […] Se vogliono inserirla lo facciano pure, ma non è un’ora o un’ora e mezza di filosofia che cambia la scuola. Bisogna tra l’altro capire che studio si farà: la storia della filosofia o degli elementi di logica?
A sollevare qualche altra perplessità c’è anche Ilaria Rodella, ideatrice di laboratori filosofici per bambini, secondo cui la filosofia in un istituto tecnico non deve diventare una nuova disciplina, ma potrebbe accompagnare tutte le altre materie. La sua posizione si discosta rispetto a quella di Cacciari, ma resta fondamentale l’idea di dover lavorare sulla domanda, partire dalle dimostrazioni e arrivare a dare delle spiegazioni. “Servirà formare i docenti”.
Di parere opposto è invece, ad esempio, Temo Pievani, docente di filosofia delle scienze biologiche: “Va fatta per temi ponendo quesiti vicini ai ragazzi: cos’è l’etica della scienza? Cos’è il metodo scientifico?”.
Più filosofia per tutti
Chiaramente la preoccupazione di questa proposta di inserimento nei curricola degli istituti tecnici sta nel fatto che essa lascia ancora senza risposta delle questioni cruciali: sul perché, sul chi e sul come. Perché si sente il bisogno di estendere lo studio della filosofia agli studenti degli istituti tecnici? Forse perché non li si vuole privare dei tesori di conoscenza e di competenza della disciplina? E chi avrà il compito di insegnarla?
Il problema di avere docenti formati in modo adeguato si porrà in tutta la sua estensione soprattutto se si introdurranno le innovazioni anticipate negli “Orientamenti per l’apprendimento della filosofia” del Miur, lavorare, cioè, per temi e problemi, puntando sulle competenze logico-argomentative per sviluppare il pensiero critico.
La mossa portata avanti dal ministro è però sicuramente al passo con i tempi proprio perché si interroga su questioni che sono sentite e rivendicate dagli studenti stessi. Prendendo atto del fatto che, per esempio, anche i ragazzi degli istituti tecnici possono finire per scegliere dopo il diploma un corso di laurea come Filosofia o Lettere, è giusto ricordarsi che hanno il diritto di avere più opzioni tra cui scegliere per il proprio futuro, opzioni che non siano necessariamente circoscritte al campo di studi scolastico scelto in contesto ed età ben differenti (e lontani nel tempo).
Senza dubbio il programma di insegnamento degli istituti tecnici ha l’obiettivo di avere risvolti più pratici, ma la dimensione critica del pensiero può essere utile su ogni terreno e in ogni campo disciplinare, dall’analisi linguistica alla matematica. Per riuscire a svilupparsi in profondità, essa ha bisogno di confrontarsi con temi e problemi di natura più profonda e allo stesso tempo più generale, quali quelli che la filosofia può mettere a disposizione, come la natura stessa del pensiero e della conoscenza. Al di là, dunque, dell’aspetto tecnico-strumentale del pensiero critico, nella prospettiva di questa proposta resta centrale la formazione dell’individuo, inteso come attore in grado di agire e interagire consapevolmente nella contemporaneità nella quale è immerso.
Si può insegnare filosofia nei tecnici e nei professionali?
I laboratori di filosofia che organizzo anche all’istituto Marconi di Forlì non hanno niente a che fare con la classica lezione frontale. Ci mettiamo in cerchio e iniziamo a porci delle domande su temi generali come la giustizia e le leggi, l’essere umano e le macchine, giù giù fino alle reti neurali, i big data e le fake news. Io mi limito a fare da facilitatore, nel senso che non fornisco ai ragazzi contenuti presi dal manuale, ma li aiuto a partorire le loro idee
spiega il professore Enrico Liverani.
L’idea alla base del progetto è che la classe debba funzionare come una comunità di ricerca in modo che alla fine ciascun ragazzo riesca a formulare e sviluppare un suo pensiero critico.
In Germania, per esempio, la filosofia si studia partendo dalle 4 domande kantiane: cosa posso sapere? Cosa devo fare? Cosa posso sperare? Cos’è l’uomo? “Alla fine non c’è un’unica risposta giusta, ma si impara a vedere le questioni da più punti di vista”, spiega Sophia Gerber, docente dell’Istituto Superiore di Tecnologia dell’Informazione e della Medicina di Berlino. In Francia, invece, si considera la filosofia come una materia fondamentale al pari dello studio della lingua madre o della matematica, e viene insegnata in tutte le ultime classi sia dei licei che degli istituti tecnici e professionali.
Fréderic Le Plaine, la presidente dell’associazione di promozione dell’insegnamento della filosofia, ha spiegato su «Le Monde» che cosa significhi per gli studenti degli istituti professionali, da sempre tenuti a distanza dallo studio della filosofia, poter mettere piede in quella che è una riserva per i liceali. “Tenere gli alunni dei professionali a distanza da una disciplina come questa che ha in sé una vocazione universalista ed emancipatrice è ingiustificabile. A meno che non li si consideri meno capaci degli altri”.
Il fatto è che dietro l’idea che la filosofia possa essere utile e buona per gli studenti del tecnico, ma non sia adatta per quelli del professionale, c’è un pensiero inconsapevolmente mortificante nei confronti di chi sceglie questi percorsi formativi, come ritiene anche Emanuele Contu, dirigente dell’IS Puecher Olivetti di Rho.
Ripensare la scuola
La madre della separazione tra istruzione professionale e liceale è la riforma Gentile elaborata nel 1923, che prende il nome del filosofo neoidealista Giovanni Gentile, Ministro della Pubblica Istruzione del governo Mussolini. Questa riforma partiva dal presupposto che la formazione classica e umanistica fosse il mezzo di istruzione per formare le future classi dirigenti e fosse quindi destinata quasi unicamente a coloro che potevano ambire a farne parte. Del resto, le conseguenza di questa visione sono evidenti ancora oggi nell’opinione comune: alla fine delle medie, ci si aspetta che i più bravi vadano al liceo, quelli meno bravi negli istituti tecnici e quelli apparentemente poco interessati allo studio negli istituti professionali.
È vero che negli istituti professionali nostrani sono state fatte sperimentazioni anche molto ambiziose, insegnamento della filosofia inclusa, ma fino a adesso nessuno ha mai messo mano a un progetto pedagogico forte per riqualificare l’intero sistema. In questa prospettiva anche l’insegnamento di altre materie fondamentali, come l’economia, e una discussione sui temi del diritto e della legalità dovrebbero avere rilevanza, in tutti gli indirizzi, per avere cittadini più informati e più consapevoli. La scuola va ridiscussa, e da qualche parte bisogna pur iniziare.
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