Questo articolo inizia con uno spoiler. Nel secondo episodio di Squid Game, la serie sudcoreana diventata un gran successo su Netflix, i concorrenti protagonisti scelgono di abbandonare il gioco infantile, ma mortale, a cui si erano iscritti nella speranza di vincere un mucchio di soldi. La decisione però ha durata breve: poco dopo li si vede quasi tutti fare marcia indietro. Fuori dal gioco, spiega uno di loro, il mondo reale “può essere un inferno perfino peggiore”. Nella parola “inferno” Hwang Dong-hyuk, regista e autore della serie, racchiude lo stato di perenne stento, indebitamento, emarginazione sociale a cui sono condannati i protagonisti nella vita quotidiana. Eppure, non tutte le versioni di Squid Game in altre lingue la traducono allo stesso modo. Quella inglese la sostituisce con “tortura”, rendendo certo l’idea della sofferenza, ma non del suo infinito protrarsi nel tempo.
Di esempi simili, nelle diverse traduzioni di Squid Game se ne trovano parecchi. Tanto che, in parallelo all’entusiasmo per l’uscita della serie, si è diffuso il dubbio che Netflix non stia investendo abbastanza nella creazione di sottotitoli e doppiaggi accurati per i propri contenuti non anglofoni. Ciò impedirebbe agli utenti di coglierne valore e significati reali; e di riflesso penalizzerebbe le produzioni stesse e il loro obiettivo di far conoscere la propria cultura nel mondo.
Il dibattito
L’intenso dibattito attorno a Squid Game è emerso a fine settembre, un paio di settimane dopo il rilascio della serie. Il punto di origine è un video virale pubblicato su TikTok e Twitter da Youngmi Mayer, una comica coreano-americana che co-conduce un podcast – Feeling Asians – sulle esperienze di vita dei giovani statunitensi di origine asiatica. Nel video, lungo un paio di minuti, Mayer mostra come brevissimi estratti della serie contengano già molteplici inesattezze traduttive.
“Se non capite il coreano, non avete visto davvero la stessa serie,” dice Mayer. “La traduzione è fatta molto male. I dialoghi erano scritti così bene e nessuno di questi è stato preservato”. Il video si focalizza soprattutto sul personaggio di Mi-nyeo (Kim Joo-ryoung), una donna pronta a tutto pur di sopravvivere alle prove mortali di Squid Game, ma al tempo stesso così irriverente da sfidare verbalmente le guardie armate che vigilano sul gioco. “Cosa guardi?”, dice a denti stretti a una di loro. La versione inglese smorza però la durezza della domanda con un più moderato “Vai via”.
Se si considera che in altri punti della serie la crudezza dei dialoghi o di alcune espressioni coreane viene alleviata dalle traduzioni, è facile intuire che molti spettatori possano aver visto una versione più blanda e meno scurrile della serie. Tuttavia secondo Mayer c’è una parte ancora più problematica, e riguarda il modo in cui il passaggio da una lingua all’altra finisce per indebolire il tema centrale di Squid Game: la crescente disparità economica che nutre la disperazione dei protagonisti e che in Corea del Sud rappresenta un problema sociale molto attuale.
ok i made this really fast so it’s not very good but these are the small examples i could find in ten mins pic.twitter.com/5kIsrlWDjq
— youngmi mayer (@ymmayer) September 30, 2021
Gli esempi
Per capirci meglio, prendiamo ancora il personaggio di Mi-nyeo. Nel sesto episodio della serie, la donna rischia di restare senza squadra. Temendo di venire eliminata dal gioco – e perciò morire – Mi-nyeo cerca di convincere disperatamente i compagni a sceglierla. “Non ho potuto studiare, ma sono molto intelligente,” dice nella versione originale mostrata da Mayer. Il messaggio sottostante, molto presente nelle storie sudcorane, è che il futuro dei cittadini spesso viene determinato dalla classe sociale di origine, più che dalle capacità individuali. In alcune versioni di Squid Game questo aspetto tuttavia non si coglie. Quella inglese lo omette completamente, sostituendo la frase con “I’m not a genius, but I still got it work out”, traducibile come “Non sono un genio, ma finora me la sono comunque cavata”. Quella italiana addirittura lo distorce in maniera tale da spostare la critica alla società sul personaggio: “Non ho voluto studiare, ma sono molto intelligente”.
Secondo Mayer si tratta di una grave mancanza di comprensione della cultura popolare sudcoreana, che si ripete in continuazione nelle versioni tradotte della serie. Anche gli epiteti reciproci che i personaggi si attribuiscono, ad esempio, non riescono sempre a tradurre l’idea delle gerarchie della società sudcoreana che si ricreano all’interno del gioco. La parola “oppa”, usata dalle donne per rivolgersi a uomini più grandi di loro con cui hanno un rapporto affettivo, diventa “baby” (“babe” in inglese). O ancora, “capo”, con cui il personaggio pachistano Ali Abdul (Anupam Tripathi) si rivolge ai compagni facendo trapelare un’abitudine alla sottomissione, viene tradotto “signore”. In questo modo, però, la critica al capitalismo e al modo in cui dà forma alle relazioni tra le persone svanisce.
Perché le traduzioni sono inaccurate
Le tante lacune nelle diverse traduzioni di Squid Game sono state interpretate da molti come il risultato di preconcetti culturali e politici. Il «Guardian» ha spiegato tuttavia che si tratta di un dibattito più ampio e annoso, già emerso in passato con altri film e serie tv. Finora però si era questionato perlopiù sulle carenze del doppiaggio, e meno su quelle dei sottotitoli. La spiegazione sarebbe più tecnica, e riguarderebbe le condizioni di lavoro dei traduttori e le normali difficoltà che s’incontrano nel passaggio da una lingua all’altra.
Un copione tradotto, insomma, sarà sempre meno accurato rispetto a quello originale, perché i traduttori devono tenere conto di almeno due piccoli compromessi strutturali. Il primo riguarda la necessità di tradurre le battute in modo tale che per pronunciarle s’impieghi lo stesso tempo di quello richiesto nel copione originale. Le differenze linguistiche complicano però il processo traduttivo: alcune lingue, come l’inglese, il giapponese e il cinese sono più compatte; altre, come l’arabo e lo spagnolo, sono invece più prolisse. Per far sì che le battute rispettino i tempi della scena (la velocità prestabilita di lettura dei sottotitoli si aggira attorno ai 12 caratteri al secondo), bisogna perciò sacrificare alcune parole, come quelle riempitive (ehm, uhm, no?).
Il secondo compromesso, invece, prevede di scegliere parole che combacino con il labiale degli attori ogni qual volta sia possibile. Questo è il motivo per cui, nella versione inglese di Squid Game, l’epiteto “oppa” è stato tradotto con “old man” (cioè “vecchio”) nel doppiaggio e con “babe” nei sottotitoli. Se si considera poi che i sottotitoli per sordi (i cosiddetti closed captions, contenenti anche la descrizione dei rumori) sono una diretta trascrizione del copione destinato al doppiaggio, le lacune traduttive aprono anche un dibattito sull’effettiva possibilità per gli spettatori di accedere ai contenuti in maniera paritaria.
L’organizzazione di Netflix
La discussione innescata da Mayer ha posto inevitabilmente l’attenzione sull’organizzazione e sui metodi di lavoro della struttura traduttiva dei contenuti di Netflix. Bisogna infatti considerare come il fortissimo aumento dei film e delle serie tv prodotti dal servizio streaming abbia avuto forti ricadute sul lavoro dei traduttori.
Su questo tema il «Guardian» ha interpellato Max Deryagin, capo di Subtle, un’associazione internazionale che sta cercando di rendere il lavoro dei sottotitolatori freelance una professione artistica riconosciuta. In 11 anni di esperienza, Deryagin ha tradotto in russo i sottotitoli di parecchi contenuti di Netflix, come i film Birdbox e Mank, la serie Orange Is the New Black e il cortometraggio di David Lynch What Did Jack Do?. Prima tradurre quest’ultimo, Deryagin ha detto di averlo visto 15 volte. “Ogni film complesso è emozionante da tradurre, perché devi prima capirne il senso per poterlo trasmettere,” ha spiegato.
Il problema, però, è che Netflix produce nuovi contenuti con un ritmo molto elevato, e i traduttori in circolazione non sono sufficientemente numerosi da poter gestire un simile carico di lavoro. La qualità delle traduzioni quindi si riduce: manca il tempo per leggere e rileggere il copione originale, capirne i riferimenti culturali, e tradurli in maniera efficace ma rispettosa.
Il futuro
Per questo motivo, dopo l’uscita di Squid Game, tanti utenti di Netflix hanno chiesto all’azienda di investire più soldi nel miglioramento della sua struttura traduttiva. Non solo. La loro richiesta è che Netflix li distribuisca anche in maniera più equa tra il doppiaggio e la sottotitolazione, al momento svantaggiata.
Alcuni giornali credono peraltro che potrebbe essere un’ottima opportunità per Netflix stessa, che sta cercando di smarcarsi dalla crescente concorrenza delle altre piattaforme. Una parte consistente dei suoi contenuti di maggior successo non è anglofona: pensiamo a Lupin (Francia), Dark (Germania), Élite e La casa di carta (Spagna). E per poter continuare a crescere, garantendo un’offerta varia in modo da attrarre abbonati di tutto il mondo, Netflix dovrà contare sempre più sui contenuti in lingua non inglese. Tradurli in maniera appropriata invoglierebbe ancor più i produttori internazionali a presentare i propri progetti senza temere che vengano distorti; inoltre consentirebbe al pubblico di entrare in contatto con nuove culture e capirle davvero. Evitando anche il rischio – spesso rimproverato a Netflix – di appiattire film e serie tv a una monocultura, a una visione unica del mondo.