Ciò che conta è ciò che appare nella tua anima, non ciò che vedono i tuoi occhi e ciò a cui puoi dare un nome.
Con queste parole, il fotografo, pittore e scultore polacco Zdzisław Beksiński ci dà un assaggio della sua visione del mondo. E, sulla falsariga di un pensiero artistico dominato dal Surrealismo, tratteggia un modo di raffigurare le immagini non schiavo di una storia, ma ricercante le dinamiche del sogno, dove la logica è al massimo chiarezza di pochi attimi.
Il gusto per l’orrore, la desolazione e il deforme potrebbe ricordarci Francis Bacon, a lui contemporaneo. Tuttavia in quest’ultimo, l’attenzione verso la critica sociale emerge spesso vivida, così come in generale affiora il ragionamento ante operam. In Beksiński, invece, il senso, almeno apparentemente, si azzera davanti all’onirico e il pensiero può sembrare addirittura esaurirsi nella tecnica pittorica.
Una vita maledetta
Questo titoletto introduttivo potrà apparire banale, ma chiunque si approcci alla biografia dell’eclettico pittore polacco non potrà descriverla in modo diverso. Nato il 24 febbraio del 1929, a Sanok, nel sud-est del Paese, visse gli anni della giovinezza durante la Seconda guerra mondiale, fattore che poi influenzerà notevolmente la sua arte. Nonostante l’occupazione tedesca in Polonia, l’artista riuscì comunque a diplomarsi.
Dopo il matrimonio con Zofia Stankiewicz e gli studi di architettura, nel 1951 iniziò a lavorare come supervisore nei cantieri edili, ma con scarso interesse. Finalmente, nel 1958, abbracciò la sua vocazione artistica, trascurata negli anni precedenti, dedicandosi alla fotografia e poi alla scultura. I soggetti preferiti erano volti bendati o deturpati che in alcuni casi venivano cancellati col fotomontaggio. Ma spesso Beksiński fotografava anche paesaggi per lo più desolati e oggetti desueti, ottenendo un discreto successo già durante le prime esposizioni.
Inizierà a dipingere solo a partire dalla fine degli anni Sessanta, fino a raggiungere la fama anche negli Stati Uniti e in Giappone. Un percorso apparentemente di successo, contrassegnato da non pochi riconoscimenti. Poi, la tragedia. Nel 1998 muore la moglie. Il giorno della vigilia di Natale dell’anno dopo, suo figlio si suicida. Seguono anni di depressione e isolamento finché anch’egli non muore, nel 2005, accoltellato. Un epilogo dal sapore tanto drammatico quanto misterioso.
Guerra: sogno di disperazione
E c’è di più. Considerando le sue opere a partire dalla biografia, la cosa che subito colpisce è come il lavoro artistico svolto da Zdzisław Beksiński sembri pervasivamente plasmato dalle tragedie, che però colpiranno l’artista solo negli ultimi anni di una vita in gran parte tranquilla. Che i sogni dai quali disse di ispirarsi non fossero altro che vaghe premonizioni del disastro (un po’ come nel film Take Shelter di Jeff Nichols)? Ma è una pura congettura. Un altro elemento che allora possiamo tenere in considerazione, come fattore ispirante, è la Seconda guerra mondiale.
Un evento traumatico che influenzò chiaramente tutta l’enorme produzione dell’artista. E un esempio famoso è spesso citato in un’opera senza titolo raffigurante due figure umane abbracciate, quasi avvinghiate. Non c’è carne a ricoprire le ossa, solo quella che sembra una pelle scura corrotta e dalle tinte arancioni, in linea col paesaggio fosco.
L’olio e acrilico su tavola è asciutto, privo di altri elementi. Tuttavia, il crudo realismo della raffigurazione non può non riportare alla mente immagini di miseria, paura, abbandono e insieme disperato attaccamento verso l’altro.
La figura? Un’evocazione
Stando ad alcune sue dichiarazioni e testimonianze, però, il passaggio, verso l’inizio degli anni ’70, dalla fotografia e dalla scultura alla pittura, con l’inizio del cosiddetto periodo gotico, sarebbe stato però provocato da un evento traumatico. Un incidente che portò Beksiński a un coma di tre mesi, durante il quale disse di aver visto l’Inferno e di doverlo perciò rappresentare costantemente.
Verità o leggenda? Certo è che i soggetti delle sue molte opere senza nome sembrano come evocati sulla tela per necessità, quasi alla ricerca di un senso di liberazione da un ossessivo incubo. I paesaggi non sono sempre assenti, come in Untitled del 1984, ma si ritrovano anche intere città in fiamme, avvolte nel fumo come in “Stone Island” del 1975. Qui una creatura che ricorda solo vagamente un essere umano striscia allontanandosi dall’incendio. Non è diretta verso lo spettatore ma alla sua sinistra, come se quest’ultimo non potesse che assistere impotente.
Architetture fantastiche
È innegabile poi l’influenza che ebbero sul pittore di Sanok gli studi di architettura. L’olio su tavola AA78 ne è un esempio. Quella che sembra una casa abbandonata e avvolta da piante rossicce fantastiche sfuma al suo interno in un confuso amalgama di verde acqua e luce.
Ritornano anche qui i colori scuri, per lo più tendenti a un nebuloso arancione. Questa volta, però, in alto a sinistra, attraverso le nubi si intravede un manto di stelle, forse anche una luna. Ma se in quest’opera sembra esserci un vago senso di tranquillità non è così per i molti altri dipinti che hanno come soggetti edifici.
L’arte post apocalittica di Zdzisław Beksiński, anche quando incontra l’architettura e forse soprattutto in questo caso, trasmette allo spettatore un senso di straniamento. Gli occhi vagano attraverso i paesaggi sconfinati per essere feriti e intimiditi da colossali cattedrali deformate e corrose e costruzioni provenienti da un altro mondo.
Il confronto tra Zdzisław Beksiński e Lovercraft
I due artisti non ebbero l’occasione di incontrarsi ma è probabile che lo scrittore dell’orrore, nato a Providence nel Rhode Island, Howard Philips Lovecraft, avrebbe apprezzato l’arte del polacco. Ed è facile che torni alla mente il racconto del 1928, Il richiamo di Cthulhu, dove una gigantesca creatura proveniente da un altro mondo emerge da una colossale costruzione, tra incubo apocalittico e realtà.
Un gusto, quello per il sublime-orrendo derivato in parte da antiche civiltà terribili ma anche grandiose, si diffuse nel corso dell’Ottocento, continuando però nel Novecento, e ispirò oltre a numerose opere d’arte anche, più tardi, film. Ma tornando a Lovecraft: anche in relazione a lui, come nel caso di Beksiński, molti sono stati indotti a pensare che avesse visto quello che raccontava, o l’avesse conosciuto attraverso la visione di altri. Potremmo citare, ad esempio, lo spesso proposto e mitico Necronomicon, anche per come lo raccontava.
Ma forse per simili artisti l’idea della visione, anche se loro stessi vi alludono, è un inganno. Forse le forme che propongono sono, al di là delle circostanze della vita, simulacro di qualcosa che non ha forma e che attiene piuttosto alla profonda angoscia dell’uomo nel nostro tempo o forse in ogni tempo. Questo sarebbe l’Inferno di cui parlava Zdzisław Beksiński.