La storia del cinema internazionale è costellata di grandi pellicole, film che hanno attraversato la storia, diretti da registi straordinari. Tuttavia, esistono lungometraggi che spiccano in maniera particolare, dotati di una luce diversa, quasi magica. Tra questi c’è Psycho, capolavoro girato nel 1960 da Alfred Hitchcock.
La trama e tutto ciò che si nasconde dietro di essa, la colonna sonora, Anthony Perkins nel ruolo di protagonista, la tecnica di montaggio: ogni singolo elemento contribuisce a fare del film un vero e proprio classico, anzi Il classico del cinema di tutti i tempi. Ripercorriamo insieme le tappe principali che ne hanno visto la realizzazione. Curiosi?
Le intenzioni
Quando Hitchcock si imbatte nella novella redatta da Robert Bloch e intitolata appunto Psycho (1959), è già un regista assai affermato, avendo alle spalle pellicole magistrali come La finestra sul cortile (1954) e La donna che visse due volte (1958). Ma non sa ancora che di lì a poco scriverà una delle più importanti pagine della cinematografia internazionale.
A suggerirgli la lettura del racconto di Bloch è la sua segretaria Peggy Robertson, essendone rimasta parecchio colpita. In effetti, i fatti narrati sono basati su una serie di efferati delitti compiuti in quegli stessi anni dal pluriomicida Ed Gein, che ha poi ispirato la figura di Norman Bates nel film. Tuttavia, la Paramount non accoglie in maniera entusiasta l’intenzione di Hitchcock, che alla fine compra personalmente i diritti sul libro, ordinando inoltre di far sparire tutte le copie in circolazione per non svelarne il finale.
I primi fotogrammi
L’11 dicembre 1959 è il giorno esatto in cui l’intreccio di Psycho comincia. Marion Crane, affascinante segretaria di un’agenzia immobiliare, ha una relazione segreta con Sam, proprietario di un negozio di ferramenta. Ma la loro passione, fatta di incontri fugaci, viene improvvisamente sospesa quando la donna si impossessa di un’ingente somma di denaro, sottratta al proprio capo dopo aver concluso un’importante vendita.
Marion fugge da Phoenix e durante il viaggio, pieno di tormenti e rimorsi, si ritrova alle porte del Bates Motel, luogo angusto ma perfetto per trascorrere la notte senza dare troppo nell’occhio. Ad accogliere Crane c’è lo strano proprietario, Norman, che abita insieme alla madre nella vecchia villa sul retro. Nonostante l’atmosfera ambigua e i numerosi animali impagliati sulla pareti, la donna accetta di cenare insieme a Bates, ritirandosi però molto presto nella propria stanza.
La scena della doccia
A questo punto della pellicola, Hitchcock inserisce una delle sequenze più iconiche di tutti i tempi. Se si pensa al genere horror e a un elemento che lo rappresenti al meglio, è impossibile non far riferimento alla celeberrima scena della doccia. Marion, rientrata in camera piuttosto turbata e con l’intento di ripartire l’indomani all’alba, si prepara per fare una doccia. Ma in quell’esatto momento viene colta alle spalle da un’inquietante figura in abiti femminili, che la aggredisce accoltellandola.
Nessun particolare è lasciato al caso
È facile quindi capire come il regista abbia creato una pellicola studiata fin nei minimi particolari e che non smette mai di stupire. Dalla scena della doccia in poi, infatti, Psycho si presenta come un crescendo di tensione e di eventi che si accavallano l’uno sull’altro, diventando sempre più stringenti e inquietanti. Dopo la scomparsa di Marion Crane, sua sorella Lila e Sam iniziano le ricerche, e poco dopo arrivano al motel.
Norman Bates è sempre più preoccupato dalla situazione che man mano si sta richiudendo su di lui. Mentre Sam lo distrae con alcune domande, Lila si intrufola nella villa poco distante per cercare dalla vecchia madre di Norman le risposte sulla scomparsa della sorella. Ma ad attenderla c’è una verità inquietante che prelude alla conclusione dell’intero film.
Le ultime scene di Psycho sono un tripudio di terrore e fascino. Norman ormai si è svelato per quello che realmente è, o meglio, che crede di essere. Tutto sembra avere una spiegazione, anche se permane la sensazione di essere ancora sospesi nel limbo di una storia che continua a spaventare.
Altri dettagli
Al di là della trama in sé, la pellicola di Hitchcock è stata un successo anche perché vede coinvolti una serie di elementi che insieme hanno contribuito a rendere Psycho memorabile. Come ad esempio l’abbondante presenza di linee verticali e orizzontali, che per tutta la durata del film tagliano a metà lo spazio della scena, sdoppiandolo. Questo, infatti, accade a partire dalla grafica dei titoli di testa e torna in numerose scene del lungometraggio, creando duplici livelli di visione.
La presenza del doppio è in ogni caso un leitmotiv del cinema hitchcockiano, accentuato per di più dal grande uso degli specchi sempre presenti negli interni, ma anche in alcuni casi all’esterno, come nella macchina di Marion. E poi lo stesso personaggio di Norman Bates è la massima espressione del doppio, vivendo costantemente in una duplice identità.
Insomma, dietro Psycho si nasconde davvero un mondo oscuro, tra tecniche di narrazione, pratiche cinematografiche e performance attoriali eccellenti. Un film che non è solo un film, ma un viaggio negli spazi più reconditi dell’animo umano, quelli che ci fanno più paura e contemporaneamente ci affascinano maggiormente. Hitchcock è stato uno dei pochi che ne ha saputo fare lo zenit dei propri lungometraggi, creando un legame indissolubile tra realtà e finzione, ed è per questo che ancora oggi le sue pellicole restano tra le migliori di tutti i tempi.