Il conto alla rovescia è terminato, il momento è finalmente giunto. Dopo aver debuttato in pompa magna alla Mostra di Venezia, Dune, l’ultimo film diretto da Denis Villeneuve, è stato finalmente rilasciato nelle sale italiane. Il primo giorno di box office segnala dati incoraggianti con un ricavo di circa 420.000 euro che, si spera, possa essere rimpinguato dagli spettacoli del weekend e da un positivo passaparola tra gli spettatori.
Dopo circa un anno di spasmodica attesa la pellicola del regista canadese può dunque mostrarsi in tutta la sua magnificenza, con l’obiettivo dichiarato di sfidare la pandemia e la maledizione che ormai da quasi trent’anni aleggia sui tentativi di adattamento della leggendaria opera fantascientifica di Frank Herbert.
Là dove il progetto di Alejandro Jodorowsky si arenò ancora prima di iniziare, là dove il grande David Lynch fallì, Villeneuve prova a omaggiare degnamente il romanzo che, ha più volte affermato, ha svolto un ruolo importante negli anni della sua formazione, scegliendo una strada diversa dai suoi predecessori. Il cineasta ha infatti intenzione di inaugurare una vera e propria saga, che permetta di sviscerare a pieno le potenzialità, i temi e le atmosfere della controparte letteraria. Ragion per cui questo Dune adatta solo la prima parte del primo libro di Herbert, nella speranza che gli incassi delle sale e di HBO Max convincano la Warner Bros della bontà del progetto e della necessità di dargli seguito.
La domanda sorge spontanea: l’ultima fatica di Villeneuve è davvero un’opera meritevole? Può essere definito un capolavoro inattaccabile o presenta invece alcune debolezze? Scopriamolo insieme.
Un nuovo mondo
Anno 10191. Un futuro lontano, un pianeta desertico, due Case, un impero, un antico ordine, una spezia, un’atmosfera medievaleggiante. Denis Villeneuve ha il compito di costruire un nuovo mondo, definendo regole, personaggi, forze in gioco e un retroterra mistico di carattere messianico. Il risultato è pressoché impeccabile.
Il regista si prende tutto il tempo necessario, dedicando il primo atto del film all’introduzione di appassionati e neofiti all’interno di una architettura politica che necessita di essere ben assimilata. Un world building preciso al millimetro, ben definito in ogni suo dettaglio.
Una prima ora di pellicola che, sebbene caratterizzata da un impianto fortemente didascalico, presenta dinamiche accattivanti, rispondendo alla curiosità dello spettatore tramite una narrazione lenta, ma mai noiosa, capace di catturare l’attenzione nell’attesa di un improvviso punto di rottura.
Un nuovo eroe
Questa prima parte di Dune è soprattutto la storia di Paul, giovane erede della Casa Atreides dal misterioso, ma sfolgorante destino. La pellicola si sofferma sul suo carattere, su una grandezza nascosta dal silenzio e dal timido sguardo. Le sue visioni, le sue parole, le sue decisioni sono intrise di una solennità che pervade il film fin dai primi istanti e il percorso di Paul si fa strada verso una nuova coscienza, una presa di consapevolezza, una rinnovata speranza. Timothée Chalamet si fa carico di un ruolo complesso, di crescita interiore e dal sapore spirituale.
Il giovane attore, salito alla ribalta grazie a Guadagnino, si conferma interprete dalle grandi potenzialità, in grado di restituire il travaglio intestino di un ragazzo in cerca di risposte.
Al suo fianco un cast stellare costituito da personalità riconosciute della grande Hollywood . Rebecca Ferguson, nel ruolo della madre di Paul, veste alla perfezione il ruolo di madre e di Bene Gesserit, dimostrando un’alchimia invidiabile con Chalamet. Buona anche la prova di Oscar Isaac nei panni del duca Leto Atreides, capo forte e onorevole, dal grande senso di giustizia, ma anche padre affettuoso, severo, amorevole. Senza dimenticare l’arcigno Gurney Halleck o il fidato Duncan Idaho, rispettivamente interpretati da Josh Brolin e Jason Momoa. O il terrificante Barone Vladimir Harkonnen, mostruoso nemico degli Atreides a cui Stellan Skarsgård riesce a donare una oscurità opprimente e una malvagità impietosa.
Vi è spazio anche per Dave Bautista, Javier Bardem e Zendaya; per un consorzio attoriale di grande prestigio e talento, talvolta mancante in fase di approfondimento e caratterizzazione, ma che, ai fini narrativi di questa prima pellicola, risulta comunque riuscito.
Immersione totale
Monumentale, mastodontica, incredibile. Molti sono gli aggettivi che i critici di tutto il mondo hanno utilizzato per etichettare quest’ultima opera di Denis Villeneuve. Quel che è certo è che dal punto di vista audiovisivo Dune è senza ombra di dubbio una delle opere più impressionanti della storia del Cinema. Greig Fraser cura un meraviglioso impianto fotografico, proponendo soluzioni in controluce, raffreddando il calore del deserto e donando tonalità più calde alle visioni del protagonista. Notevoli le scelte di trucco e costume, colossali le scenografie e il design delle navicelle spaziali, ciclopici ed entusiasmanti gli effetti speciali.
Un comparto tecnico ornato da un illuminato Villeneuve e da una colonna sonora che porta la firma del solito, gigantesco Hans Zimmer. Regia e musica si fondono a creare un effetto immersivo che ha pochi precedenti, caratterizzato da un costante alternarsi tra campi lunghi e primi piani in grado di restituire le dimensioni elefantiache del mondo esterno e il turbamento intimo dei personaggi che lo popolano. Sensazioni acuite dall’epicità di uno Zimmer in grande spolvero, orientaleggiante, pomposo e stridente secondo necessità.
Qualche falla nel piano
Nonostante Dune risulti a tutti gli effetti un vero e proprio capolavoro dal punto di vista visivo e sonoro, lo sviluppo narrativo e il clima generale della pellicola non possono dirsi perfetti. Sebbene infatti la solennità maestosa del film rappresenti un punto di forza dello stesso e rispetti ammirevolmente l’opera letteraria da cui è tratto, essa finisce per inficiare sulle atmosfere della pellicola, caratterizzata da una freddezza che mina la possibilità di empatizzare con tutti personaggi in maniera convincente.
Inoltre, considerato un primo atto introduttivo e un secondo moderatamente action, dal ritmo sicuramente più sostenuto, dispiace osservare come buona parte del terzo atto torni a rallentare forse in maniera eccessiva, ritardando e quindi depotenziando, almeno parzialmente, il finale. Forse alcuni tagli, accompagnati da scelte di montaggio differenti, sarebbero potuti risultare propedeutici a un maggiore impatto narrativo, senza snaturare la firma autoriale di Villeneuve.
Non un blockbuster, forse, a detta di alcuni, un kolossal. Quel che è certo è che, a dispetto di alcuni difetti, Dune meriti una visione (o anche due) sullo schermo cinematografico più grande che possiate trovare. Uno spettacolo raffinato che il cinema contemporaneo tende spesso a sacrificare sull’altare del profitto e del facile intrattenimento. Un film, anzi un’esperienza maestosa che, speriamo, avrà ancora molto da raccontare.