Quando tutti vanno nella stessa direzione, il cambiamento è ciò che accade dalla parte opposta. È quel che è successo anche nella moda: all’esplosione della fast fashion e all’omologazione verso l’ultima tendenza è seguito il grande ritorno di un grande classico, il minimalismo essenziale e senza fronzoli.
Nell’era dell’esagerazione, l’essenzialità è la nuova tendenza
Il ritorno del minimalismo
Tagli essenziali, colori neutri, forme e linee semplici, ma d’impatto. Il minimalismo nella moda è una reazione all’eccesso di stampe, colori e tutto ciò che si allontana dall’essenzialità. Ma soprattutto, si tratta anche di una risposta all’eccessiva offerta della moda veloce, che ogni quattordici giorni vede subentrare nuove proposte a tinte o stampe forti.
Niente dettagli particolari o accessori fuori luogo: sono proprio quei look apparentemente banali, ma studiati perfettamente, a colpire l’attenzione della moda di oggi con il loro essere così sofisticati. Eleganza e minimal vanno di pari passo: oggi sono lo stile più ambito di modelle, celebrità e chiunque si destreggi nel settore.
O ancora, di chi sta iniziando a coltivare un approccio più consapevole con l’abbigliamento. Si tratta infatti di una moda più concettuale e ragionata, che guarda al mondo dell’arte e richiede uno sforzo ulteriore rispetto al semplice “prendi e indossa”. Il nuovo obiettivo è quello di riuscire a essere se stessi con meno, per sottrazione, quando lo standard suggerisce di aggiungere e comprare sempre di più per rinnovare la propria apparenza.
Le origini del minimalismo
Come disse Mies Van Der Rohe: “Less is more”. Il minimal nasce a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta in ambito artistico, per poi affermarsi nell’architettura statunitense. Il termine minimalismo è coniato nel contesto di un manifesto artistico, quello della Minimal Art, a cura dell’inglese Richard Wollheim.
Da qui prende piede per il suo approccio innovativo e il suo rapporto con la modernità, quasi indipendente dallo spirito del tempo. Sono predilette forme pure, geometrie, strutture modulari e colori neutri, dal nero al bianco, passando per il beige e il blu navy. Da questo ambiente culturale provengono le costanti che, col finire degli anni Ottanta, iniziano a dominare il guardaroba delle donne che si definiscono minimal.
L’obiettivo dei designer che, durante il periodo degli anni Novanta, hanno segnato l’affermazione del minimalismo erano creazioni senza tempo, pratiche e funzionali all’emancipazione personale. L’esatto opposto della proposta delle aziende che producono moda veloce. Altra differenza rispetto al sistema più classico è poi l’assenza di riconoscibilità del creatore dei capi: niente esibizionismo, maxi loghi o tratti distintivi, perché minimalismo è anche saper restare nell’anonimato.
Il minimalismo di Martin Margiela
Maestro del culto dell’impersonalità è stato Martin Margiela, il cui volto è praticamente sconosciuto al mondo della moda, se non per qualche scatto rubato nei backstage di sfilata. Al posto della sua fama ha lasciato che parlassero le sue collezioni, che queste fossero riconosciute e amate per la loro estetica, piuttosto che per la celebrità del marchio. Eppure, la sua scelta non può che diventare un tratto distintivo: le etichette bianche, facilmente rimovibili per portare il capo nell’anonimato, riportano una serie di numeri di cui uno è cerchiato, quello della linea di appartenenza del prodotto.
Anche le modelle sfilano con il volto coperto, in luoghi estranei al lusso della moda, sempre per esaltare la sobrietà del capo e creare un momento al di fuori dallo spirito del tempo.
Margiela, con il suo approccio decostruttivo, ha lasciato coordinate significative per chi oggi desidera deviare verso uno stile più sofisticato, a partire dall’onnipresenza del bianco e dall’essenzialità delle forme. Il non colore è forse uno dei fili conduttori del minimal di Margiela, trionfante su abiti fluidi, camicie oversize e capispalla geometrici.
Da qui qualche spunto per il minimalismo odierno, più consapevole e legato al tema della sostenibilità. La qualità e la sartorialità che rendono un capo senza tempo non hanno niente a che vedere con la notorietà effimera, spesso legata alla stagionalità.
Calvin Klein
Minimalismo diverso è quello di Calvin Klein; almeno quello che si impone dagli anni Novanta, dopo un periodo fatto di corpi statuari e denim appariscenti. Le collezioni del designer statunitense guardano a una bellezza più contenuta, sofisticata e silenziosa: quella dello stile androgino che si affaccia all’ombra del nuovo millennio. I suoi abiti non rinunciano mai alla sensualità, mantenuta attraverso abiti fluidi che avvolgono il corpo, senza fronzoli, in una palette di colori neutri, che regalano al corpo una femminilità audace e senza tempo.
Ancora oggi questi sono alcuni dei capisaldi dello stile, in particolare l’estetica androgina ha dominato le passerelle delle ultime stagioni: dalle definizioni di genere il focus si sposta sulla vestibilità e sulla scelta dei tessuti, un po’ come fece Armani nella ricerca di perfezione della sua giacca negli anni Ottanta.
Helmut Lang
Infine Helmut Lang, ancora oggi punto di riferimento del less is more, stilista che, fra le tante cose, ha rivoluzionato il sistema delle fashion week, decidendo di sfilare alcune settimane prima delle date ufficiali previste per New York dal 1997. Maestro concettuale, Lang ne è considerato un simbolo, tanto da essere premiato da Artforum per lo stile che ha segnato la moda degli anni Novanta e la sua generazione.
Oltre all’attenzione quasi maniacale per i tagli e le silhouette severe, nella sua estetica domina l’uso imponente e puro del bianco e del nero, semplicemente accostati nelle sue creazioni dai materiali innovativi. Altro suo merito è stato quello di estendere l’estetica minimal anche a tessuti considerati più complessi e sofisticati: non mancano il latex, il vinile, i sintetici e i tessuti tecnici.
Dal 1999 il brand è passato progressivamente sotto la direzione del gruppo Prada, altro marchio che, nel periodo degli anni Novanta, ha rivoluzionato la moda con la sua estetica minimalista e ugly chic.
I lasciti del minimal
Quali sono dunque i capisaldi lasciati dai maestri dello stile minimal?
Capi basici da rendere propri e arricchire con accessori altrettanto essenziali, nelle cromie d’oro o argento; silhouette sartoriali e strutturate; una palette neutra che viaggia dal bianco e nero fino al beige e al blu. I colori e le stampe non sono da bandire, ma da usare con saggezza e in modo quasi concettuale: dagli abbinamenti monocromo fino alle stampe che si inseriscono in silenzio sui grandi classici a tinte neutre.
L’eleganza fa da filo conduttore; una semplicità che forse è la più difficile da ottenere.