Per quante paia di mani è passato quell’irresistibile mezzo litro di birra fresca, prima di finire lì nel tuo boccale?
Chi si è occupato della germogliazione dei semi d’orzo per produrre il malto, chi dell’essiccazione del malto, chi della sua macinazione e chi della diluizione del macinato in acqua, chi ha sovrinteso alla filtrazione di questa miscela e chi alla sua bollitura; chi ha seminato i luppoli, chi li ha fatti crescere, chi si è occupato del raccolto, chi della loro aggiunta alla miscela bollente di malto e acqua; chi ha supervisionato la fermentazione primaria, chi la fermentazione secondaria; chi si è dedicato al confezionamento, chi alla spedizione; chi l’ha versata nel bicchiere e, infine, chi te l’ha portata al tavolo. E intendiamoci, dietro a molti di questi “chi” c’è ben più di una persona sola.
E dunque a quanti individui, a quanti perfetti estranei stai per affidare la tua vita – pensaci, la tua vita – nell’apprestarti a ingerire quella birra? Basterebbe che uno di loro, che uno soltanto abbia in qualche modo contaminato il prodotto durante una delle fasi di preparazione, basterebbe questo e la tua salute sarebbe adesso a repentaglio.
La quotidianità della fiducia
Ma fosse soltanto al pub, che si rischia. Ognuno di noi, giorno dopo giorno, ripone la propria fiducia in una moltitudine esorbitante di persone. Dalla maestra a cui lasciamo i nostri bambini al meccanico che ieri ci ha sistemato i freni, dal parrucchiere che ci agita lame intorno alla faccia al supermercato dove abbiamo comprato i fusilli, dal coach che ci tiene il bilanciere mentre facciamo sollevamento pesi all’ente che rifornisce la pompa dove facciamo benzina. Compiamo autentici “salti della fede” costantemente, di continuo.
Eppure, quando si tratta di ascoltare il medico e assumere quel farmaco o farci somministrare quel vaccino, ecco che molti di noi scuotono la testa, o quantomeno esitano.
Sensato? Non è un po’ bizzarra, l’inflessibilità della decisione di non affidarsi alla medicina, se accostata alla leggerezza con cui si butta giù una sorsata di birra o si fa qualunque altra cosa?
I pericoli che la fiducia – la fiducia nella maestra, nel meccanico, nel parrucchiere, nel supermercato, nel coach, nell’ente rifornitore – porta con sé sono enormi, sono spaventosi. Nondimeno, scegliamo ripetutamente di correrli. Scegliamo di fidarci.
Fiducia alla base della società
Ed è una scelta che non saremmo affatto obbligati a intraprendere, sia chiaro. In fondo, potremmo benissimo fare tutto da noi: potremmo dare noi lezioni ai nostri figli, potremmo ripararci noi l’impianto frenante, potremmo tagliarci i capelli da soli, potremmo produrci la pasta per conto nostro, sollevare pesi da soli, produrre carburante per l’auto con la sola forza del nostro ingegno, e ovviamente potremmo rimboccarci le maniche e sudarci in prima persona la preparazione di un boccale di birra.
Si parla di “economia di sussistenza” in riferimento a un tipo di organizzazione tale per cui ciascuno si adopera per soddisfare da sé i propri bisogni. È una strada tortuosa, ma garantisce massimo controllo a chi la intraprende.
L’alternativa, si è detto, è la fiducia: scegliere di affidare a qualcun altro un lavoro e confidare nel risultato. Un sistema di scambio, che presuppone la specializzazione, da parte del singolo, in una determinata attività (la produzione di birra, ad esempio, oppure la produzione di un vaccino): così ognuno offre un servizio agli altri, e può rivolgersi a questi altri per fruire dei servizi in cui sono rispettivamente specializzati.
La scelta di non correre rischi
Nessuno è obbligato a sottostare a questo meccanismo, ovviamente. Se qualcuno non si fida delle case farmaceutiche, se non si fida di quanto l’OMS e i medici dichiarano sui vaccini, se non intende correre il rischio, allora ha pur sempre l’opzione di iscriversi a medicina e, col tempo, assumere conoscenze sufficienti a stabilire se case farmaceutiche, OMS e medici stiano o non stiano mentendo; e se, arrivato a questo punto, starà ancora persistendo a non sentirsi convinto da ciò che gli hanno trasmesso manuali e professori, formattati da una stessa istituzione culturale che potrebbe essere in pugno a qualche losco potente individuo, allora gli toccherà ripercorrere tutte le esperienze scientifiche da loro narrate, gli toccherà replicarle una per una così da verificare con i propri occhi se i “dogmi” alla base della medicina siano o non siano fondati. Un percorso che gli porterà via del tempo, è chiaro, ma se davvero ci tiene a scoprire la verità ha il dovere nei confronti di se stesso di imboccarlo.
Altrimenti prenda la scorciatoia, che come tutte le scorciatoie è piena di insidie ma in compenso permette a chi la segue di risparmiare un po’ di tempo per condurre una vita. Prenda la scorciatoia, si fidi.
La demonizzazione del profitto
Fidarsi di chi, però? Ecco infatti che si apre un ulteriore bivio: medici e case farmaceutiche da una parte, drappelli di blogger dall’altra. Come scegliere chi è nel torto e chi nella ragione? Beh, stabilirlo una volta per tutte è impossibile – è proprio questa, d’altronde, l’incertezza congenita alla via della fiducia.
Ora, è proprio di fronte a questa biforcazione che molti, per decidere di chi fidarsi, prendono come criterio dirimente la quantità di denaro in gioco da una parte e dall’altra. E indignandosi per i presunti guadagni da capogiro che si celano dietro al commercio dei medicinali, molti scelgono di dubitare proprio di medici e case farmaceutiche, sospettando l’esistenza di efferati stratagemmi che permettano loro di massimizzare il profitto; mentre gli umili blogger che popolano internet, al contrario, sono percepiti come salvatori disinteressati, dediti anima e corpo allo svelamento e alla diffusione della Verità.
I complotti a cui non si pensa
Ma l’adozione di questo criterio comporta due grossi limiti. In primo luogo, ragionando in termini di profitto, non ci sarebbe alcun motivo di diffidare del servizio offerto dalla medicina senza diffidare del servizio offerto da qualunque altro settore: anche i supermercati e i ristoranti puntano a lucrare, altroché!, eppure non circola nessuna teoria del complotto che veda complici le aziende e gli Ispettori della sicurezza alimentare in una cospirazione che utilizzi materie prime scadenti per produrre pietanze a costi infimi poi vendute a molto più del loro valore, contraffacendo l’elenco degli ingredienti riportato sulla confezione.
I complottismi più diffusi accusano le spietate “Big Pharma” di propinare volutamente cure non definitive per poterle vendere e rivendere all’infinito, assicurandosi un guadagno perenne: per fare un esempio semplice, l’antistaminico non cura l’allergia ma la tiene a bada, e quindi funziona solo per assunzione ripetuta. Ma allora il meccanico non avrebbe tutto l’interesse a montare componenti di bassa qualità, così da garantirsi che presto il cliente avrà ancora bisogno dei suoi servizi? E non si provi a obiettare, a questo paragone, che in tal caso il cliente può sempre rivolgersi a un altro meccanico: perché lo stesso tipo di complotto che coinvolgerebbe tutte quante le case farmaceutiche potrebbe valere per quanto riguarda tutte quante le officine… eppure, di teorie in merito non se ne sentono.
La garanzia di professionalità
Il secondo grande limite di fondare la propria scelta di fiducia esclusivamente sugli interessi economici è questo: così ragionando, non si prendono in considerazione le garanzie che i soldi si portano dietro. Dopotutto, è presumibile che i blogger di cui leggi le parole sul web siano gente come te, gente che, lavorando dodici ore al giorno per tirare avanti la baracca, non avendo il tempo né di iscriversi a medicina né tantomeno di mettere in discussione le dichiarazioni di professori e manuali con
Fanno loro quel lavoro, cosicché non debba imbarcartelo tu. E, sì, la fiducia nel lavoro altrui si trascina dietro un rischio, nemmeno insignificante: il rischio di un lavoro mal fatto, involontariamente o di proposito. Ma è a costo di questo azzardo che puoi scolarti la tua birra senza dover prima trasformare casa in un birrificio.