Simone de Beauvoir è famosa per Il secondo sesso (1949), libro così scandaloso e rivoluzionario per l’epoca da essere in gran parte attuale ancora oggi. L’autrice, già affermata all’epoca, raccontò in seguito che aveva voluto scrivere un libro. La prima cosa che le venne in mente di scrivere fu “Sono una donna”. Da qui nacque tutto quello che implicava.
Il secondo sesso, qualche accenno
Il secondo sesso descrive la condizione femminile nella sua contemporaneità, attraversando le epoche precedenti, a partire da mere considerazioni biologiche. Il libro contiene fonti, dati e si concentra su quaderni di psicanalisti, tra cui Stekel, della scuola freudiana. Uno dei problemi centrali si riscontra nell’esistenza del femminile in quanto essere relativo: la maggior parte delle donne non viveva per sé. Infatti non vi è possibilità di autorealizzazione quando il proprio unico scopo è contrarre un buon matrimonio o trovare l’amore.
Si identifica la nascita della condizione femminile che si è protratta per millenni con lo stanziamento delle popolazioni nomadi. Con l’agricoltura e la proprietà privata è fondamentale per l’uomo essere certo del legame di sangue con la propria prole. Dunque sull’adulterio della donna si abbatte lo stigma sociale e alla donna viene preclusa la possibilità di ereditare, per evitare che le sostanze passino a un altro nucleo familiare. Così viene privata a lungo di ogni potere e indipendenza. Considera poi la prostituzione, le relazioni saffiche, la donna nelle diverse fasi dell’esistenza, come vengono delineate da vari autori nella letteratura. Inoltre è sottolineato l’uso del termine “uomo” in quanto essere umano non marcato.
L’opera è stata alla base del movimento neofemminista. Ha avuto successo in America; è stata messa all’Indice in Italia. Ma in che modo una borghese nata a Parigi nel 1908 e cresciuta in una famiglia “perbene” ha avuto tutto questo coraggio di sfidare i tabù e la società?
La giovinezza e l’indipendenza economica
Nel dopoguerra, dopo aver pubblicato il suo primo libro, L’invitata (1943), Simone de Beauvoir inizia ad allargare i suoi orizzonti, facendo nuove conoscenze. Entra in una cerchia di intellettuali e artisti, tra i quali Cocteau, Camus, Picasso e Dora Maar assieme a Sartre. Solo in questo momento dichiara di essersi resa conto dell’esistenza di donne sempre in funzione di qualcun altro, come madri e mogli. Racconta in L’Età forte di aver sempre vissuto per se stessa e cercando di realizzarsi, perché la vita non le ha permesso altro.
Simone de Beauvoir viene da una famiglia borghese, che si trova però economicamente in cattive acque. Questa è stata la sua fortuna: fin da piccola sa che dovrà lavorare. È la differenza sostanziale che la distingue dalla cara amica Zaza. Elisabeth Lacoin proviene dall’ottima società, va all’università a studiare lettere e filosofia con Simone de Beauvoir, ma il suo destino è il matrimonio. Succube della madre, viene soffocata dal moralismo borghese. Viene uccisa da una meningite fulminante, interpretata tragicamente nel suo rifiuto di sottostare alle convenzioni, dato che le veniva impedito di amare il ragazzo di cui era innamorata. Per sfuggire ai propri obblighi era arrivata a colpirsi una caviglia con un’accetta. Dopo anni Simone de Beauvoir riuscirà a raccontare la sua storia in Inseparabili.
Al contrario, Simone de Beauvoir, laureata a ventun anni, scopre la soddisfazione data dall’aggirarsi con i soldi appena guadagnati in tasca. Raggiunge l’indipendenza economica lavorando come insegnante, impiego che le permette di mantenersi e di avere molto tempo libero da dedicare alla scrittura. Farà questo mestiere per dodici anni, quando dovrà trovare un’altra occupazione in radio a causa di uno scandalo, ma sosterrà anche di essersi stancata.
Sartre, il compagno di una vita
A questo punto ha già incontrato Jean-Paul Sartre, compagno di una vita. Li lega una relazione sentimentale e intellettuale al di là di ogni convenzione e obbligo. I due non vedono un motivo valido per cui valga la pena sposarsi; solo nel caso in cui ci fosse di mezzo un figlio sarebbe diverso. È un desiderio che l’autrice dice di non aver mai provato. Ha sempre voluto dare vita, ma a un romanzo in quanto scrittrice. Secondo i suoi piani, il suo primo romanzo sarebbe dovuto arrivare a ventidue anni, ma arriva solo dopo i trenta. Quando Sartre e Beauvoir abitano in due stanze separate in un albergo di Parigi, sostengono di avere tutti i vantaggi del vivere insieme e nessuna noia.
Fin da subito li uniscono conversazioni intense, condividono idee, ognuno legge quello che scrive l’altro. Negli anni spesso lavorano in città diverse: Simone de Beauvoir ad esempio a Marsiglia, Rouen e Parigi; Sartre trascorre anche un periodo a Berlino. Se abbastanza vicini, corrono alla stazione appena possono, talvolta fingendosi anche malati.
All’inizio, Simone de Beauvoir sperimenta la felicità più assoluta e ammette che avrebbe fatto di tutto per Sartre, anche rinnegare se stessa, proprio perché lui non gliel’ha mai chiesto. Smette di scrivere, poi riprende. Li muove la stessa tensione per la libertà. L’autrice crede di essere padrona del proprio destino, di avere l’esistenza in mano. Il suo spirito vitalistico appare inesauribile. Infatti se la prende per gli attacchi di depressione di Sartre: lo inseguono “i granchi”, finché un giorno non svaniscono.
Frequentano i caffè, cinema e teatri; rimangono fuori fino a tarda notte. Hanno altri partner e stipulano un accordo che prevedeva di separarsi dopo due anni per non annoiarsi, ma non vi tengono fede. Attorno a loro intanto si forma una corolla di amici, che muta con gli anni. Si stabilizza a Parigi con quella che Simone de Beauvoir chiama “la famiglia”, caratterizzata dall’abitudine singolare di privilegiare il tête a tête a tal punto da occupare a coppie tre tavoli diversi nei caffè per accedere a una conversazione più profonda.
I viaggi, la maturità e poi la guerra
Simone de Beauvoir assapora ogni aspetto della vita, prima che s’insinui la frustrazione di essere irrimediabilmente entrata nell’età adulta; in particolare Sartre sente il peso delle responsabilità che comporta. Vedono il mondo: Spagna, Italia, Grecia, Germania, Francia e Marocco. Viaggiano con qualunque mezzo, ritrovandosi spesso senza più un soldo in tasca. Dormono sui ponti delle navi durante le traversate e percorrono anche vari chilometri a piedi, abitudine di Simone de Beauvoir dai tempi di Marsiglia. Anche durante la guerra sfuggono dalla Francia occupata per il gusto di un viaggio e per recuperare contatti con membri della resistenza, anche se alla fine risulteranno poco utili.
Per gran parte degli anni ’30 sono rimasti chiusi nel loro individualismo, ritenendo che la politica non li riguardasse e che le sinistre non avrebbero permesso la salita di Hitler al potere, che la guerra sarebbe una sciocchezza, finché la Storia non entra nelle loro vite. Vivono la guerra, l’occupazione tedesca. Sartre parte prima al fronte, poi viene fatto prigioniero e invia lettere che sfiorano l’assurdo: vuole essere liberato, ma l’importante è che questo non accada prima di Natale perché sta scrivendo una commedia da mettere in scena.
Il clima di incertezza rende Simone de Beauvoir consapevole di non avere il potere di “raccontarsi la propria vita” Non considera più la propria felicità così incredibile e in quei momenti bui durante la guerra, l’autrice legge Hegel. È nella tragedia che decide di abbandonarsi completamente alla letteratura. La sua consapevolezza della vita va di pari passo con quella della morte. E soprattutto negli ultimi mesi della guerra matura un bisogno di barlumi effimeri di vita.
FONTI
Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, 2016
Simone de Beauvoir, L’età forte, Einaudi, 2016
Simone de Beauvoir, Le inseparabili, Ponte alle Grazie, 2020